LANGKAWI (Malesia) – Immaginate velieri e galere di legno, pirati con i piedi nudi e il coltello tra i denti. Poi immaginate isole verdi, mare turchese e tesori nascosti. E’ questo lo scenario di Pirati della Malesia di Emilio Salgari, ma anche dell’arcipelago di Lankgawi.
Siamo proprio in Malesia e migliaia di bandiere in ogni angolo ce lo ricordano. Siamo nell’arcipelago che sorge sullo stretto di Malacca tra la Malesia continentale e la Thailandia. Grazie al Tour de Langkawi, gara riservata ai professionisti, abbiamo scoperto che questa terra può essere, ed è, anche per i ciclisti.
Tutta pianura e una salita
La bici non finisce mai di stupire e spunta persino laddove sembrava impossibile possa affacciarsi. Langkawi è una città, un’isola e un arcipelago. Ci ha colpito non poco. E lo ha fatto perché è un’isola a misura di bici.
Per carità, guai a pensare a tradizioni ciclistiche, diremmo una baggianata. Ma all’occhio del praticante non sono sfuggite alcune caratteristiche che la rendono idonea al ciclismo. E al cicloturismo in particolare.
Perché dunque va bene per le bici? Per prima cosa perché l’isola non è troppo trafficata. A parte le zone delle due cittadine maggiori, Khua e appunto Langkawi City, per il resto il traffico è davvero scarso. Secondo: le strade sono ampie e tenute molto bene. Terzo, e non ultimo, perché i panorami sono unici.
Sostanzialmente i percorsi sono due: il “periplo” (che periplo preciso non è) dell’isola e la scalata al Gunung Raya, che con i suoi circa 800 metri di quota è il punto più alto dell’isola e offre una vista a 360° su Langkawi e i suoi “satelliti”.
In bici all’equatore
Ci si può dunque mettere in sella e partire alla scoperta di questo pezzetto di paradiso tropicale. La prima cosa da ricordarsi è che qui si guida a destra. Sembra una banalità ma nella nostra breve pedalata, adattarci non è stato così facile.
Poi anche se fa caldo, non bisogna assolutamente scordare di avere dietro un k-way o comunque una mantellina protettiva: essendo all’equatore gli scrosci d’acqua sono all’ordine del giorno. E sempre per questo motivo è d’obbligo avere dietro una crema protettiva. Le temperature sono sempre attorno ai 30 gradi, ma da gennaio a fine marzo sono un pelo più alte e piove poco: la questione potrebbe pertanto diventare rovente. E sempre in questo periodo ci ha detto Datò Alexander, armatore di un tour operator di barche e proprietario di due dei ristoranti più noti dell’isola: «Da dicembre ad aprile, c’è più caos, oltre che un sole più forte. In quei mesi del vostro inverno molti europei e molti russi vengono da noi».
Altro aspetto a cui prestare attenzione sono le scimmie. E’ vero che Langkawi è l’isola delle aquile e i vari monumenti lo ricordano spesso. Ma più che le aquile, che abbiamo avuto la fortuna di vedere, sono presenti le scimmie.
Sono tantissime. Sono grandi come un cagnolino o un gatto bello grosso (i maschi anziani un po’ di più), sono di colore grigiastro e hanno un musetto davvero simpatico. Spesso queste scimmie stazionano proprio a bordo strada, aspettando che qualche passante, solitamente un turista, dia loro qualcosa.
Ci hanno raccontato che in qualche caso sono state un po’ dispettose. Sono attratte dai cappelli: li rubano con facilità. Ma col casco della bici non sono un pericolo.
Tutta pianura e una salita
Da dovunque si parta, al netto della salita di Gunung Raya, l’isola è pianeggiante. Ci sono degli strappi ma sono quasi tutti molto, molto dolci, brevi e dai dislivelli di 150 metri al massimo.
Si entra e si esce dalle foreste in continuazione e ogni tanto all’improvviso si pedala al bordo del mare.
E allora ecco prendere corpo le immagini tipiche dell’Asia Meridionale con queste barche lunghe dalla punta rialzata e il tettino per il sole. Qualche palafitta, palme e mangrovie fin sulle spiagge.
Certo, non manca anche qualche segno tipico di un Paese che non ha del tutto completato il suo sviluppo. E così capita di vedere palazzi moderni, vicino a case dal tetto in lamiera decisamente più spartane. Ma il bello di un viaggio in bici è anche questo. La bici non mente mai: né alla gambe, né agli occhi. La bici non ti chiude in un resort a cinque stelle. Lì ci puoi anche dormire, ma prima o poi esci.
E poi questo è anche un aspetto tipico dei tropici, anche quelli caraibici: nei Paesi in cui fa caldo e si tende molto a vivere all’aperto. Bancarelle, verande, portici, spesso sono più grandi della casa stessa.
Le strade di Langkawi da seguire sono le quattro principali: 112, 113, 114, 115, da fare senza un ordine preciso. Alcune zone costiere sono più frastagliate e lì le strade non ci sono proprio. Neanche a dire che si possa fare un periplo preciso dunque, che in qualche modo impone una direzione. E poi parliamo di un’isola la cui estensione massima è di 50 chilometri scarsi.
Quindi una volta percorse le strade costiere e la 112 che divide l’isola in due e attraversa Langkawi City, il più è fatto. Tra l’altro è da qui che si attacca la “Cima Coppi” dell’isola, appunto Gunung Raya: 14 chilometri ad una media del 6 per cento. In cima ci sono diversi punti panoramici. Assolutamente va affrontata, magari al tramonto: vedrete colori che difficilmente dimenticherete.
Il rifugio dei pirati
Un altro luogo che assolutamente va visitato è l’Oriental Village e il suo Skycab Langkawi, nell’Ovest dell’isola. Si tratta di un Geoparco, patrimonio Unesco, che offre un vero spaccato sulla natura di questo arcipelago.
Una cabinovia porta sulla seconda vetta più alta di Langkawi, che è anche la più panoramica. Da qui si vede benissimo la foresta tropicale. C’è una cascata da film che sbuca proprio nel cuore della foresta, un piccolo parco divertimenti e soprattutto c’è un panorama assurdo. Si vede la Thailandia e gran parte delle 99 isole dell’arcipelago.
Alla vista di queste isole, di questo mare placido che oltre le stesse isole diventa blu scuro, la leggenda e la storia si fondono. Si capisce perché i pirati frequentassero queste acque.
Dai ricchi porti di Singapore e Malacca, entrambi più a Sud, i pirati facevano razzia delle navi che andavano e venivano. Quindi si spostavano in questo dedalo di isole a nascondere i loro tesori. E’ facile dunque immaginare come scendessero su un’isola, si arrampicassero sulle cime e aprissero varchi nella foresta a colpi di machete.
Anche per questo motivo consigliamo una gita in barca. Cambierà il vostro punto di vista in merito. Noi abbiamo fatto questo tour in barca con la Tropical Charters di Datò, una vera sicurezza e con ottimi standard di qualità anche nel cibo offerto a bordo.
Il Geoparco offre anche dei brividi. Lasciata la bici a valle (al sicuro alla base della cabinovia) si può camminare su un affaccio vetrato sospeso nel vuoto a forma di aquila e anche su un ponte circolare che unisce due cime (portatevi scarpe comode). E’ davvero un’emozione da provare, prima di rimettersi in sella e tornare a pedalare in questo paradiso.