Immagina di alzarti la mattina, dopo una vita dedicata al ciclismo professionistico, e renderti conto che il mondo per come l’hai conosciuto fino ad ora non è più la tua priorità. Formato per le più arcigne gare del Nord e baciato dalla grazia olimpica, Greg Van Avermaet ha incarnato la classe che ogni corridore dovrebbe avere: umiltà, fame, carisma, cuore. Un mix che il pubblico ha salutato con nostalgia lo scorso anno, quando GVA – come lo chiamano – si è ritirato dalle scene dopo 17 anni di carriera nel ciclismo professionistico. Ma nessuna bici appesa al chiodo, sia chiaro. Il belga infatti non ha perso tempo, switchando subito da road a gravel per rendere meno traumatico – e più stimolante – il distacco.
«Ho vissuto una lunga carriera – spiega Van Avermaet – per me era importante non fermarsi da un giorno all’altro. Volevo restare ancora attivo fisicamente e amo troppo quello che faccio per privarmene perciò ho pensato che il gravel potesse essere una bella alternativa per continuare a godermi bei momenti in sella alla mia bici. Chiaramente parliamo di un set up piuttosto differente ma la parte migliore è la possibilità di viaggiare, scoprire posti nuovi. Voglio divertirmi, esplorare, provare cose che non ho mai fatto prima».
La libertà di scoprire nuove rotte
Nuovi set-up, ruote differenti, competizioni che inneggiano al ritorno al lato più selvaggio e autentico dello sport: il gravel è chiaramente la nuova frontiera della sfida. Secondo Greg Van Avermaet è anche la disciplina perfetta per dare libero sfogo a quell’inclinazione avventurosa che ha sempre contraddistinto il suo rapporto con il ciclismo.
«Viaggiare in bici e restare per molto tempo a contatto con la natura – ha spiegato – ti fa sentire libero. Puoi prendere le strade che vuoi e scegliere cosa vedere. Questa era una cosa che amavo fare anche quando ero un pro’: su Strava cercavo di tracciare percorsi che includessero punti panoramici o monumenti. Penso sia questo il punto, pedalare e vedere il mondo con la libertà di andare e fermarsi dove ci piace».
Un autentico detox dal ciclismo su strada, come lui stesso ha dichiarato, che permette di approcciarsi al ciclismo in modo differente, più leggero e allo stesso tempo maggiormente intenso a livello di sensazioni e prospettive interiori.
«Il ciclismo su strada è sempre stata la mia passione – ha puntualizzato – l’ho sempre amato e continuerò a praticarlo, ma sono curioso di scoprire che cosa può offrirmi questa disciplina che è completamente diversa da quello a cui sono abituato. Prima di tutto è un’immersione nella natura e attorno c’è un’atmosfera che mi piace parecchio. La filosofia di condivisione e divertimento è qualcosa che condivido e che non vedo l’ora di vivere ancora più da vicino».
Dagli USA alla Finlandia
Dopo le prime due gare gravel disputate lo scorso anno – il Campionato del mondo in Italia e i nazionali in Belgio – GVA è impaziente di testare la sua condizione a seguito del primo inverno da ex professionista. Il programma della prima stagione da graveller prevede una decina di competizioni tra le più prestigiose e famose del calendario, compresa la leggendaria Unbound e il nuovissimo evento organizzato dal pilota di F1 Vallteri Bottas nella sua suggestiva terra natale.
«I campionati del mondo in Italia – racconta – sono stati veramente spettacolari. Mi è piaciuto l’ambiente, il percorso e la grande atmosfera. E’ qualcosa che sicuramente voglio rivivere in questa stagione, durante le gare alle quali mi iscriverò. Non vedo l’ora di volare negli Stati Uniti per partecipare alla Unbound Gravel e poi sarò alla Traka e forse correrò in Finlandia alla nuova corsa organizzata da Bottas. Sono luoghi che non ho mai visto e sono curioso di scoprire nuove cose. Sarà entusiasmante! Non ho mai avuto problemi con le lunghe distanze, anzi la resistenza è sempre stato uno dei miei punti forti. Ma ora, con meno chilometri nelle gambe, la cosa mi spaventa un po’ di più. Il risultato non è l’obiettivo principale, è prima di tutto una sfida aperta anche con me stesso e questo mi piace».
Pedalare (e dormire) a 4.000 metri
A testimoniare il desiderio di avventura del campione belga c’è sicuramente il recente bikepacking in Perù con Conor Dunne. I due hanno potuto vivere un’autentica esperienza a stretto contatto con il lato più selvaggio del Paese, pedalando su strade quasi impraticabili per le biciclette e dormendo su altissime vette, come ha raccontato.
«E’ stato divertente, un’esperienza bellissima che volevo fare da molto tempo. Abbiamo vissuto situazioni straordinarie, ma anche complicate perché pedalavamo ad una quota molto elevata di 4.600 metri sul mare. Proseguire in certi punti è stato complicato, proprio per via dell’aria rarefatta. Abbiamo passato anche momenti divertenti perché le strade non erano propriamente adatte ad essere percorse in sella, in molti tratti dovevamo andare a piedi. Abbiamo anche dormito in cima alla montagna ed è stato pazzesco. Scoprire le bellezze e le tradizioni dei luoghi in questo modo è qualcosa di straordinario».
Esperienze uniche che arricchiscono il bagaglio umano oltre che quello sportivo. Greg Van Avermaet si dice propenso a cambiare le prospettive per trovarne di nuove e a coinvolgere, in questo percorso, anche le persone che ama.
«Mi piacerebbe vivere questi viaggi con la mia famiglia», conclude. «Viaggiare in bici ti fa tornare al nucleo delle cose, seleziona l’essenziale, ciò che ti serve realmente. In futuro, quando i miei figli saranno più grandi, vorrei trasmettere loro questa cultura e organizzare una vacanza così tutti insieme. Scappare dal mondo, pedalare. Vivere».