| 9 Settembre 2025

Ritorno alle Foreste Casentinesi, tra eremi, santuari e… diari

CAMALDOLI – Tutto è cominciato l’anno scorso, quando eravamo stati invitati alla pedalata gravel di Unpaved Roads. Da allora le Foreste Casentinesi, tra Toscana ed Emilia, ci sono entrate dentro ed è stato naturale proporle agli amici che hanno condiviso con noi i cicloviaggi estivi degli ultimi anni: Davide, Stefano e Daniele.

L’occasione buona si è presentata lo scorso weekend, quando abbiamo deciso di fare tappa per due notti al Sacro Eremo di Camaldoli, incastonato sui verdi pendii dell’Appennino a nord di Arezzo.

In verità abbiamo scelto una sistemazione meno spartana rispetto al pernottamento con sacco a pelo nelle celle messe a disposizione dai frati, optando per una quadrupla alla Foresteria del Monastero che si trova tre chilometri più a valle. Il rigore, però, è il medesimo. Lo capiamo quando al check-in chiediamo l’orario della cena: «La cena si fa tutti insieme alle 19,30. Non dalle 19,30: alle 19,30. Se dopo cena volete uscire – ci ammonisce una signora dalla testa bianca e squadrata, di là dal vetro – ricordate che il portone chiude alle 22. E non viene riaperto». Chiaro?

Il via dall’Eremo di Camaldoli

Abbiamo tutto il pomeriggio davanti e come prima tappa decidiamo per un anello che esce dalle Foreste per arrivare al Santuario de La Verna e ritornare da Bibbiena. Fatta una visita all’Antica Farmacia adiacente il Monastero, sistemiamo le bici e percorriamo i tre ripidi chilometri di salita che portano all’Eremo, da qui ci immergiamo nella selva seguendo la Strada Provinciale che scollina a 1.300 metri e poi diventa sterrata e veloce (a tratti sconnessa), giù fino a Badia Prataglia, dove incrociamo la Statale Umbro-Casentinese che sale al Passo dei Mandrioli. 

Noi invece proseguiamo su asfalto verso Sud-Est, ma al chilometro 29 ecco la temuta svolta a sinistra che ci propone la nostra traccia. Una mulattiera che sale fino a La Verna. C’è una fontana al bivio ma c’è anche un cancello per il pascolo degli animali. Appena lo richiudiamo, sbuca alle nostre spalle una jeep dei Carabinieri Forestali della zona, probabilmente per fare scorta d’acqua: «Siete in difficoltà?» ci chiedono. «No, non ancora almeno. Stiamo salendo al Santuario». «Ma da qui è dura – si sorprendono – noi sono anni che non ci passiamo…». Ma la nostra fede nella traccia è incrollabile e a loro non rimane che congedarsi con un semi-serio «Poi non ci disturbate…».

La Verna, santuario francescano

Avevano ragione i Forestali. Per giungere a La Verna dobbiamo fare un lungo tratto a spinta nel bosco, ma alla fine arriviamo nel luogo dove, secondo la tradizione cristiana, Francesco d’Assisi ricevette le stimmate. Visitiamo il suo giaciglio sulla nuda pietra mentre sul piazzale del Santuario che si affaccia sul Casentino abbiamo lasciato le bici accanto ad alcune suore vietnamite appoggiate al muretto in pietra (foto in apertura).

Per tornare sulla Provinciale scendiamo su un selciato degno del Koppenberg del Giro delle Fiandre, poi planiamo verso Bibbiena e ripuntiamo verso nord attraverso la ciclopedonale sterrata dell’Archiano, che risale l’omonimo torrente. I minuti passano, il sole sta per tramontare e l’ultima salita per rientrare alla foresteria taglia le gambe. Ma alle 19.28 l’ultimo di noi quattro ha concluso la sua doccia.

Persi nella Foresta

L’indomani, sabato, c’è il vero percorso nelle Foreste Casentinesi. Circa 70 chilometri e 2.000 metri di dislivello quasi interamente sterrati e soprattutto pressoché isolati. Per cui, oltre alle solite barrette, al mattino ci facciamo preparare quattro schiacciatine (focacce) ripiene con cotto e formaggio, dallo spaccio dirimpetto alla Foresteria.

Dopo il tratto iniziale lungo la Statale Umbro-Casentinese, all’altezza del parcheggio sterrato di Cancellino entriamo nelle strade forestali bandite alle auto. Ci fa piacere incrociare sia escursionisti a piedi che in bici e, ripercorrendo lo stesso tratto dell’Unpaved Roads di un anno fa, riviviamo le stesse sensazioni: quello stare per 20 chilometri di sterrato senza vedere quasi mai la luce del sole è ciò che ci ha fatto ritornare qui. Prima un lunga discesa non ripida ma a tratti sconnessa, poi la salita di 5 chilometri all’8 per cento. Ma al chilometro 44 dobbiamo lasciare il tratto noto per svoltare a sinistra e scendere per un ripido sentiero. Anche qui siamo costretti a proseguire a piedi, ma non c’è alternativa se non allungare di molto il giro. Il sentiero non è battuto e ci aiutiamo col Gps. Arrivati al fossato siamo circondati da una vegetazione rigogliosa e dobbiamo solo decidere se consumare le schiacciate cotto e formaggio lì o risalire sull’altro versante, da qualche parte, ma sicuramente ancora a spinta. Decide Daniele: «Meglio perdersi a pancia piena».

Il Passo della Calla e la Giogana

Risaliti da quella gola infernale torniamo a trovare anima viva sull’ampia strada forestale delle Cullacce. Escursionisti e camminatori vanno avanti e dietro per i suoi cinque chilometri pianeggianti. «Penso che bacerò l’asfalto appena ci arriviamo» dice Stefano presso una salvifica fonte di acqua.

E in effetti l’asfalto arriva. Sono i tre chilometri all’insù per il Passo della Calla, che di recente ha visto il passaggio della Gran Fondo del Mito, i quali si trasformano nell’impegnativo sentiero della Giogana. Esso corre sul crinale che divide la Toscana dall’Emilia-Romagna e costeggia la Riserva di Sasso Fratino che, a causa delle sue faggete vetuste, dal 2017 è patrimonio Unesco. Scolliniamo a 1.500 metri di quota e scendiamo dapprima all’Eremo e poi, finalmente, alla Foresteria.

A cena, puntuali, ci sono giovani seminaristi, comitive in ritiro spirituale ma anche gruppi di passaggio. A tavola nasce il nostro programma del terzo e ultimo giorno. Un impegno più blando, superando Chiusi della Verna, il Valico dello Spino e chiudendo il tour a Pieve Santo Stefano. «Qui c’è il Piccolo museo del diario che dovete vedere», ci convince Davide.

Il Piccolo museo del diario

Ed aveva ragione. La domenica Luigi, una delle guide del museo, ci racconta come siano giunte a Pieve Santo Stefano decine di migliaia diari negli ultimi quarant’anni, scritti da persone comuni e capaci di offrire uno spaccato degli ultimi 250 anni di storia d’Italia. La storia da una prospettiva diversa: quella della gente. Le installazioni multimediali fanno rivivere la voce di chi, emigrato nel dopoguerra, vede dalla nave il porto di New York. Chi negli anni Sessanta sfugge ad un marito violento, chi vede spezzato il proprio filo con la vita alle Fosse Ardeatine, chi si definisce “un rapinatore di banche, ma onesto”, chi per superare la perdita del proprio sposo scrive il romanzo della sua vita sul lenzuolo del corredo matrimoniale. Storie, storie, storie. Fissate qui in un luogo che custodisce la memoria e che invece doveva essere sacrificato per la Linea Gotica della ritirata nazista.

Il Piccolo museo del diario di Pieve Santo Stefano è la degna conclusione del nostro weekend casentinese, perché è una delle perle nascoste che solo l’Appennino sa regalare. Assieme ad eremi, santuari francescani e strade forestali su cui far correre il proprio bisogno di libertà. 

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