L’evoluzione della moda nel ciclismo negli ultimi anni ha avvicinato a questo mondo tanti nuovi utenti. Questi praticano discipline diverse dalla strada o se lo fanno non hanno sempre in testa il raggiungimento di una prestazione. La bici diventa il mezzo attraverso il quale allenarsi e divertirsi, senza però particolari stress. Anzi, in questa nuova gamma di utenti entra in gioco anche il fattore estetico.
Si sceglie una maglia perché è tecnica e risponde a delle esigenze, ma anche perché colpisce per il tessuto e il gusto. La parte creativa diventa centrale. Una delle figure con cui spesso ci confrontiamo quando si parla di creatività e tessuti è Fergus Niland: direttore creativo di Santini Cycling Wear.
Rivoluzione in atto
Partiamo con una domanda semplice ma che apre un mondo intero sul quale discutere e approfondire: come si abbinano la moda e i capi di abbigliamento dedicati al ciclismo?
«E’ un bel discorso – attacca subito Fergus Niland – ne parlavo pochi giorni fa con alcuni produttori di telai italiani. Si tratta di una argomento che in generale abbraccia l’universo ciclismo. Negli ultimi cinque o sei anni l’evoluzione è stata pressoché totale, se un prodotto è altamente tecnico non vuol dire che deve essere poco curato. In certi casi prima deve attrarre il cliente e soddisfare il suo gusto estetico, poi deve essere performante. In altri Paesi diversi dall’Italia questo cambiamento era arrivato già prima».
Spiegaci meglio.
L’abbigliamento sportivo legato al ciclismo deve soddisfare la domanda di performance, utilizzando tuttavia colori di moda e tendenza. Vi faccio un esempio: prima le giacche altamente tecniche avevano due colori: nero e fluo. Nel primo caso si dava importanza al lato prestazionale rinunciando alla fantasia. Mentre nel secondo si rispondeva alla domanda di avere un prodotto in grado di aumentare la visibilità dall’utente. Per farlo si prendeva la strada semplice: usare un colore fluo, come il giallo.
Ora questa tendenza si è invertita.
La stessa giacca adesso non dico che è cambiata radicalmente, perché dal lato tecnico c’è sempre la volontà da parte di Santini di dare il meglio. Ma se si parla di estetica il pubblico non vuole più la giacca fluorescente, ma un colore vibrante. Magari semplice, però in grado di distinguersi.
C’è una maggior cura dei dettagli…
Nel mondo dell’outdoor questo avviene da tempo. Se pensiamo allo sci da anni tanti marchi propongono prodotti tecnici ma anche molto belli. Certi utenti li usano a casa nella vita di tutti i giorni, per intenderci. Ora si guarda molto il mondo della moda, per prendere ispirazione e capire quali sono le tendenze del momento.
Come si trova il giusto equilibrio nei capi da ciclismo?
C’è sempre un limite, perché noi come Santini abbiamo un DNA, ovvero essere l’azienda che produce capi per l’UCI (Union Cycliste International), ASO e il mondo dei professionisti. Quindi c’è da rispondere in primis alla domanda tecnica. Non possiamo perdere il contatto con la nostra storia per una tendenza che magari dura solamente un anno. Però si possono utilizzare tessuti e applicazione che prima erano impensabili. Magari taglie e vestibilità, o come capire in che modo un capo si muove sul corpo dell’utente. Non si può cambiare tutto, ma alcune cose in base al mondo della moda sì. In più c’è la parte di graphic design.
Ovvero?
Conta tanto l’immagine social, di photo shooting. Su Instagram dobbiamo proporre un’identità che rispecchia i nostri prodotti. Tutto deve andare di pari passo.
Forse la parte che dà più libertà e creatività è il gravel?
E’ una disciplina che ha un’estetica molto particolare. Con questi prodotti si riesce a uscire dalla natura estetica del capo. L’utente compra una maglia gravel di Santini perché è accattivante e bella, non perché conosce il nostro marchio. Si tratta di una questione di equilibrio. Sappiamo che tra i nostri clienti c’è gente che ci ha scelto 30 anni fa per la qualità dei nostri prodotti. Allo stesso modo il ciclismo si è evoluto e ci sono persone che ci scelgono perché i nostri capi sono belli, accattivanti e alla moda. Sembra semplice ma è un gioco difficile. Bisogna portare avanti il marchio senza farlo sembrare “vecchio” ma allo stesso tempo si deve ricordare da dove si è partiti.