All’inizio dell’Ottocento il collegamento fra la Val Venosta, la Valtellina e di lì Milano era assicurato da un sentiero, che non poteva più bastare. Il progetto per una strada fu commissionato nel 1812, ma nel pieno delle Guerre Napoleoniche, tempo e risorse per costruire una strada di montagna larga poco meno di 3 metri non si trovavano. Fu Federico II d’Asburgo a riprendere in mano il progetto nel 1818 e affidò l’incarico a Carlo Donegani, l’ingegnere di Sondrio che aveva già progettato il Passo dello Spluga. Forse per una diversa cultura del lavoro o perché l’incarico di un imperatore non ammette tentennamenti, dopo 63 mesi i lavori finirono e si inaugurò la nuova strada. Era il 1825, 200 anni fa: era nato il Passo dello Stelvio, a 2.758 metri sul livello del mare (in apertura immagine depositphotos.com).
La strada attuale, consolidata e resa fruibile nel 1928, è la stessa per la quale Donegani ricevette svariate onorificenze. Durante la Prima Guerra Mondiale fu teatro degli scontri tra italiani e austriaci. La prima volta che lo Stelvio comparve nel Giro d’Italia fu nel 1953 e ad inaugurarlo giunse puntuale un’impresa di Fausto Coppi. Il Campionissimo se ne servì come trampolino per ribaltare la classifica generale e strappare la maglia rosa dalle spalle dello svizzero Koblet. Il Giro d’Italia lo ha affrontato 13 volte: 8 dal versante valtellinese, 5 da quello altoatesino. Quattro volte la tappa si è conclusa in cima. Negli anni però le biciclette sono diventate sempre più audaci e oggi non puoi dire di essere un appassionato ciclista se non sei salito in cima almeno una volta. E’ la teoria di Mario Zangrando, uno che di Stelvio e ciclismo se ne intende, organizzando lassù alcune tra le manifestazioni cicloturistiche più celebrate.

Lo Stelvio compie 200 anni, ma tu non c’eri ancora…
Però c’ero quando ne ha compiuti 150 e sulla cima fecero l’arrivo del Giro d’Italia, con la vittoria di Bertoglio su Galdos. Era il 1975, fu una delle prime volte che andavo in bicicletta sullo Stelvio.
Che cosa rappresenta lo Stelvio per chi vive a Bormio?
Magari cambio un po’ il target, tra gli anni 60 e gli 80 lo Stelvio è stato un centro particolarmente importante per lo sci estivo. Mio zio era maestro di sci, mentre con mio papà facevamo i fornitori di bibite e d’estate lassù girava un mare di gente. Scuole sci, tutte le nazionali, tutti gli sci club. Anche mio papà era un appassionato di ciclismo, per cui dal 1953, dalla prima scalata di Coppi, anche dal punto di vista ciclistico diventò qualcosa di assolutamente raggiungibile.
Non a caso, ogni volta che il Giro d’Italia passa sullo Stelvio, la strada è piena delle bici dei tifosi saliti pedalando…
Mi ricordo quando c’è stata la tappa del 2012 vinta da De Gendt. Fui invitato in RAI al Processo alla Tappa condotto da Alessandra De Stefano e dissi che secondo me lo Stelvio è come la cattedrale di San Pietro per i cattolici e la Mecca per i musulmani. Un vero ciclista non può non andarci almeno una volta nella vita.
Tanti ti hanno preso alla lettera, visto il quantitativo di bici che ogni giorno si cimenta.
A livello amatoriale, abbiamo organizzato la prima scalata allo Stelvio 40 anni fa, a traffico aperto. Poi dal 2005 trovammo come sponsor Mapei e la Re Stelvio Mapei è diventata molto più importante. Ormai siamo sempre sui 3.000 partecipanti, con il numero chiuso. E poi c’è la Stelvio Santini, gli eventi sono tanti e frequentati.
La gente dello Stelvio ha sempre amato i ciclisti? Ricordiamo qualche velata protesta…
Neanche tanto velata, a dire la verità. Soprattutto all’inizio, il ciclista non era così ben visto dagli operatori. Più di 30 anni fa ormai, qualcuno particolarmente… determinato venne a dirci di non rompere le balle con le biciclette sullo Stelvio. Perché secondo lui lo Stelvio non sarebbe per le biciclette, ma per le moto e le auto, non dimostrando una grande lungimiranza.
In certi giorni, soprattutto in estate, il valico è preso d’assalto.
In tempi più recenti, in occasione di manifestazioni come la Restelvio o la Enjoy Stelvio Valtellina per le quali si chiude la strada, ci sono stati molti malumori, perché magari i motociclisti non riuscivano a passare. Però mi sento di dire che l’hanno capita.
Che cosa?
Che il ciclismo e gli eventi legati al ciclismo magari ti penalizzano per il passaggio delle moto, ma ti danno una visibilità che nessun altro sport ti può dare. Faccio l’esempio del team di Bormio di cui sono presidente. Quindici anni fa feci togliere dalla maglia tutti i piccoli sponsor: quei francobollini che sono sempre presenti sulle maglie delle società amatoriali. Mettemmo solo la scritta Stelvio-Bormio con il logo istituzionale e l’effetto è stato immediato.
Quale effetto?
Con la bici ho girato un po’ il mondo e se indosso questa maglietta – che sia negli Stati Uniti, in Norvegia piuttosto che in Francia – appena vedono la scritta Stelvio sgranano gli occhi. Perché è un marchio ben riconoscibile.
Vivendo nella zona di Bormio, lo Stelvio è anche un passo di collegamento con l’Alto Adige?
Lo è da fine maggio a fine ottobre. Poi se dobbiamo andare a Bolzano, dobbiamo fare Aprica, Tonale, Palade o piuttosto Merano. Purtroppo d’inverno è chiuso ed è chiuso anche l’Umbrail, che porta in Svizzera, mentre una volta la tenevano aperta per il collegamento Milano-Vienna. Adesso è molto comodo come collegamento d’estate, se dobbiamo andare in Val Venosta. Ma di sicuro ormai è soprattutto una strada importante per il turismo.
Chi abita lì va spesso in cima, oppure anche per voi è una conquista rara?
Lo facciamo più volte all’anno, ma confesso che mi piacerebbe fosse una strada con maggior rispetto. Ci sarebbe da regolamentare il passaggio come sul Rombo in Austria, imponendo il pagamento ed evitare così le gare fra auto e moto. Cose che purtroppo ci sono e creano qualche problema. E poi, soprattutto da parte del Parco dello Stelvio, si potrebbe fare qualcosa per migliorare alcune situazioni lungo la strada. Parlo di muretti e di cantoniere un po’ decrepite. Sono cose che mi fanno arrabbiare perché ho la sensazione che non si capisca che servirebbe per assicurare una migliore accoglienza al turista.
E’ una strada di 2 secoli fa, costruita in cinque anni, che avrebbe bisogno di un po’ di make-up?
Furono impiegate quasi 3.000 persone, che lavorarono anche durante l’inverno. Una cosa che a pensarci adesso è pazzesca. Da Prato a Bormio costruirono quasi 100 tornanti, più le gallerie. E’ una strada veramente bella, si potrebbe renderla ancora migliore. E comunque resta una strada che porta benissimo la sua età.