Ci sono storie che solamente la bicicletta può farti raccontare. E solamente le sue ruote possono chiudere un cerchio di sfide lasciate in sospeso o mai prese in considerazione. Puoi avere fatto un milione di chilometri e migliaia di gare, ma la bici in modo molto democratico ti farà vivere sempre “una prima volta”. E’ quello che è successo a Mirko Gualdi ad inizio settembre.
Il bergamasco non è proprio uno qualunque nel ciclismo. Classe ’68, campione del mondo dei dilettanti ad Utsonomiya in Giappone nel 1990, partecipazione alle Olimpiadi di Barcellona, otto stagioni da pro’ con una vittoria al Giro d’Italia nel ’97 a Verona sul circuito delle Torricelle dopo una lunga fuga. Gualdi però non aveva mai fatto il Passo dello Stelvio, fino a qualche settimana fa. Ed ha tutto un altro sapore. Quello della compagnia degli amici. Quello dei ristori a base di speck, strudel e birra.
Il mezzo precedente
Andando a rovistare tra le pieghe delle informazioni del passato, Mirko Gualdi a dire il vero aveva già avuto un appuntamento con Sua Sovranità Stelvio, che tuttavia sfumò proprio alla vigilia. Con la macchina del tempo bisogna tornare indietro al Giro del ’94, quello in cui nacque Pantani.
«Parliamo di trent’anni fa – spiega – ma ricordo quel periodo. Correvo con la Lampre-Panaria e il nostro leader era Tonkov. Dopo il Giro del Trentino, che allora si correva a metà maggio, andammo a fare una ricognizione sullo Stelvio che avremmo trovato un mese dopo al Giro. Quell’anno si saliva dal versante altoatesino e noi partimmo qualche chilometro prima di Prato allo Stelvio per scaldarci un po’. Arrivammo fino a 7 chilometri dallo scollinamento perché oltre non si poteva salire. C’era ancora la strada chiusa per la neve e per il pericolo valanghe. D’altronde da lì in poi inizia la parte più esposta ed eravamo a primavera inoltrata. Da quel punto ti si apre una vista pazzesca sui tornanti che si arrampicano fino alla vetta e che sembrano interminabili.
«Avrei scoperto quegli ultimi chilometri in gara al Giro – va avanti Gualdi – ma non fu così. Nei giorni precedenti avevo preso una brutta bronchite che mi stavo trascinando e dovetti abbandonare la corsa alla fine della quattordicesima tappa, proprio la sera prima dello Stelvio. Ricordo che sul gpm transitò per primo Franco Vona, ma in entrambi i giorni vinse Pantani. Uno spettacolo. Quest’anno però ho riempito quel vuoto. Sono salito da Bormio e poi sono sceso fino per quei famosi ultimi 7 chilometri prima di Trafoi dove c’è un hotel-ristorante. Sosta doverosa per ricaricarsi con un panino e una birra e poi tornare indietro».
La scalata al Re
Il Passo dello Stelvio è un totem per gli amanti del ciclismo. C’è chi se lo regala dopo la maturità a mo’ di promessa, chi lo fa sotto la neve anche a luglio, chi in Graziella, chi in gara e così via. E poi c’è Gualdi che lo affronta con una condizione minima necessaria per non soffrire oltremodo.
«Questa pedalata – racconta – era già in programma da un po’. Ho un cugino sciatore ed un gruppo di amici che sono anche appassionati ciclisti che mi avevano coinvolto per la Enjoy Stelvio Valtellina. Mi avevano detto che non sarei potuto mancare, quindi mi avevano incentivato a prepararmi un po’ (sorride, ndr). Così mi sono subito messo ad allenarmi. La prima uscita l’ho fatta il 7 luglio, il giorno del mio compleanno, in occasione della GF Casartelli. Poi avevo pedalato ancora dalle mie parti per il 25° anniversario della vittoria di Guerini sull’Alpe d’Huez e ci avevo messo in mezzo anche una mezza maratona. Insomma, avevo giri da quattro ore al massimo e quella sullo Stelvio era la mia sesta uscita stagionale (sorride nuovamente, ndr)».
Missione compiuta
Quando Mirko Gualdi correva le sue caratteristiche erano quelle del passista veloce che tiene bene su salite brevi e sugli strappi. Ad inizio settembre ha dovuto reinventarsi scalatore e dare fondo a tutta la sua esperienza per salire da Bormio al Passo dello Stelvio, una strada che nel 2025 compirà 200 anni e che magari potrebbe essere teatro nuovamente di una tappa del Giro d’Italia vista la cancellazione per maltempo di quest’anno.
«Ho fatto volentieri questo giro – conclude l’ex iridato e pro’ bergamasco – perché c’erano la compagnia giusta, il clima ideale e panorami mozzafiato. Ecco, con la scusa di fare foto al paesaggio, potevo fermarmi un attimo e rifiatare. Abbiamo incontrato un sacco di gente, ma io l’ho fatto con gli altri sei miei amici. Ognuno è salito del proprio passo o per lo meno io non mi sono fatto influenzare o invogliare di dover tenere il ritmo di qualcun altro. Anche perché poi paghi certi sforzi. A 5 chilometri dalla vetta, dove c’è quel lungo tratto di falsopiano avevamo pure il vento a favore ed è stato uno spasso, altrimenti anche in quel caso sarebbe stata un’agonia.»
«Siamo partiti alle 10,15 – prosegue Gualdi – e siamo arrivati in cima attorno alle 12 con diverse soste. Come rapporto più agile avevo un 34×34 e mi ritengo soddisfatto della mia prestazione. Anzi, nonostante lavori per un’azienda che produce e-bike (è responsabile commerciale della Brinke che ha sede a Desenzano del Garda, ndr), non ho avuto il pensiero di volerla salire su una bici a pedalata assistita. L’unico neo è che gli ultimi 200 metri li abbiamo fatti a piedi per il traffico di bici che c’era. Magari per le prossime volte sarebbe bello che gli organizzatori dividessero quei metri con delle transenne in modo da veicolare il deflusso per chi inizia a scendere. Però il vero divertimento è stato quando verso le 16 siamo tornati verso Bormio. Dopo aver scalato il Re Stelvio da un versante e mezzo, mi sono proprio goduto la discesa».