La Treviso-Ostiglia è davvero un “work in progress”, pur essendo già oggi una delle ciclovie più frequentate e basilari per il cicloturismo italiano. La notizia emersa in questi giorni ha però significati che vanno anche al di là e che interessano e coinvolgono un po’ tutto il territorio del Bel Paese. Partiamo allora dalla notizia stessa.
La Provincia di Padova ha avviato una ricognizione esplorativa per vendere quattro fabbricati lungo il suo percorso, quattro stabili che erano fondamentali quando la Treviso-Ostiglia era ancora un tracciato ferroviario e che, da quando la ferrovia è stata dismessa sono stati abbandonati. Nello specifico si tratta dell’ex stazione ferroviaria di Campodoro, del magazzino merci di Piazzola sul Brenta, delle ex stazioni di Loreggia e Piombino Dese.
Si tratta di un impegno importante, ma anche di un “exemplum” per il resto d’Italia dove gli stabili abbandonati sono migliaia e potrebbero essere riciclati con beneficio di tutta la popolazione. Com’è nata questa scelta di riallocarli e in quale maniera? A fare chiarezza è il Vicepresidente Vicario alla Provincia di Padova e consigliere delegato al Patrimonio Daniele Canella.
«Negli anni l’ente provincia di Padova, con le passate amministrazioni, aveva più volte provato a mettere in concessione questi caselli. Per vedere se c’era qualcuno che voleva prendersi l’onere di ristrutturarli e gestirli per 20, 30 anni. Questa iniziativa non ha mai portato a un reale successo, un paio che erano stati allocati sono stati disdetti. La sensazione è che con le ristrutturazioni profonde da fare, chi vuole lo stabile lo vuole acquistare e non in affitto».
C’era quindi bisogno di una nuova impostazione?
Esattamente. La ciclovia è frequentatissima e i tanti cicloturisti hanno diritto ad avere il massimo dei servizi, ottenibili sfruttando anche questi spazi. Con lo schema della concessione non si raccoglievano frutti, allora abbiamo pensato alla vendita subordinata all’utilizzo proprio in funzione della ciclovia e dei suoi usufruttuari. Sappiamo bene che gli immobili vanno anche sistemati, ci sono interventi strutturali da farci e quindi in quest’ottica abbiamo ritenuto di fare un’iniziativa esplorativa che non ci vincola comunque alla vendita, per capire se ci sono delle proposte imprenditoriali concrete.
Perché la Provincia si spoglia di questi beni?
Certamente non per fare cassa. Il bilancio della Provincia è attivo e solido, introiti di 200 mila euro, per fare una cifra, non vanno a incidere. A noi interessa trovare una soluzione perché questi stabili non crollino e perché vadano invece valorizzati, tenendo in considerazione che la Provincia di Padova è proprietaria della pista ciclabile nel passaggio sul suo territorio. A noi interessa creare valore per la pista.
Che risposta c’è stata?
Qualcuno si è già fatto avanti, dobbiamo capire se ci sono iniziative tese a fare servizi, utilizzare questi immobili per dare servizi per la ricettività e per il cicloturismo. Quindi penso ai B&B, alle strutture di ristoro, a luoghi di noleggio e manutenzione bici, a qualcosa che possa essere di riferimento per attività tipo camper, glamping, campeggi. Insomma luoghi che diventino punti di riferimento per servizi dislocati lungo l’intera ciclovia, che è in pieno sviluppo e che entro un paio d’anni arriverà ai confini con la Lombardia.
Il vostro esempio sta raccogliendo interesse anche da parte delle altre province, Verona e Treviso, legate alla ciclovia?
Per il momento no e spiego il perché: Padova come Provincia è proprietaria della tratta e degli annessi immobili. Nelle altre province c’è ancora una situazione complessa che vede la proprietà frammentata, tra RFI con concessione alla regione, quindi non c’è una situazione analoga. In più va detto che il tratto padovano è quello che è stato realizzato per primo, più di 10 anni fa. Diciamo che il territorio ha già capito le potenzialità della pista in termini di sviluppo economico e creazione di posti di lavoro.
Anche in altre zone d’Italia è stato fatto lo stesso, nel senso sono state riutilizzate stazioni, caselli dismessi, anche sui tratti stradali legandoli al cicloturismo?
La nostra è una pista particolarissima perché corre sul sedivo di un ex ferrovia, quindi è naturale che gli immobili che erano legati alla ferrovia diventino ora immobili legati all’infrastruttura cicloturistica. E’ però probabile e anzi auspicabile che ce ne siano altri di esempi simili. Dirò di più, qualcosa è già stato fatto, nel senso che nel piccolo tratto trevigiano dentro il parco del fiume Sile, c’era un casello che RFI aveva venduto a un privato. E’ già stato ristrutturato, ampliato, reso un gioiellino nel comune di Morgano. Casello 104, così si chiama, è diventato un luogo di grande richiamo nel mondo della ristorazione. Quindi l’idea sarebbe un po’ mutuare questa esperienza, con la regia pubblica dell’ente provinciale.