| 12 Aprile 2025

Franchi di nuovo in Africa. Per chiudere il discorso

Vi ricordate di Dario Franchi? L’avevamo lasciato a metà del suo progetto di pedalare dalla natia Toscana fino all’estremo sud del mondo, toccando Cape Town in Sud Africa, ma era stato costretto a interrompere il suo viaggio all’altezza della Guinea Bissau. La situazione politica aveva costretto Dario e il suo compagno di viaggio a tornare indietro. Ma anche nei racconti, nelle proiezioni pubbliche di video e foto, Franchi non nascondeva la sua irresistibile voglia di riprendere da dove aveva lasciato. E così ha fatto.

Sulla maglietta il disegno del percorso che Franchi ha affrontato, in due diversi periodi
Sulla maglietta il disegno del percorso che Franchi ha affrontato, in due diversi periodi

In viaggio dal 24 agosto

Il pedalatore toscano ha preso il volo il 24 agosto verso Dakar, la capitale del Senegal e ha iniziato da lì la sua seconda avventura africana, ripercorrendo per la prima parte il tragitto già affrontato per poi proseguire verso la meta. Un viaggio lunghissimo nei chilometri come nel tempo e denso di avventure, di mille capitoli, quasi il resoconto moderno di un viaggiatore pronto a vergare sulle pagine quel che vedeva, sentiva, provava. Oggi però ci sono strumenti più immediati come foto e video.

«Ho ripreso l’antico progetto, che prevedeva di scendere per tutta la costa occidentale dell’Africa e nella prima parte ho ritrovato esattamente quel che avevo lasciato. Non è che in quei mesi la situazione politica locale si fosse tranquillizzata, anzi… A questo però va aggiunto che ho affrontato il viaggio nel periodo delle piogge. Sapevo che sarebbe stata dura, lo avevo messo in preventivo, ma ci sono stati frangenti davvero difficili, impensabili».

Franchi ha affrontato il viaggio durante la stagione delle piogge. In molti casi era difficile proseguire
Franchi ha affrontato il viaggio durante la stagione delle piogge. In molti casi era difficile proseguire
Ad esempio?

Bisogna innanzitutto immaginare che le piogge non sono quelle alle quali siamo abituati. Sono molto simili alle nostre bombe d’acqua, ma prolungate nel tempo. Le strade diventano veri fiumi. Un giorno mi sono ritrovato nella giungla a camminare con l’acqua alle ginocchia che saliva, saliva sempre di più, mi è arrivata al collo… Non nascondo che ho avuto un po’ paura, ma sono andato comunque avanti perché era l’unica cosa da fare, l’unica via di salvezza. E questo per una cinquantina di chilometri, con la bici sempre da spingere portando tutto il necessario appesantito dall’acqua.

A Conakry hai detto che la situazione politica non era diventata più agevole…

Fosse stato solo quello! Avevo intenzione di passare brevemente, invece mi sono preso la malaria. Sono stato malissimo, alcuni giorni non riuscivo a toccare cibo. Avevo le medicine con me, ma a un certo punto ho capito che dovevo affidarmi a una struttura locale. Sapevo che lungo il percorso potevo trovare una clinica, ma era a 14 chilometri da dov’ero e sono stati chilometri lunghissimi. Arrivato, mi sono trovato davanti una struttura che definire fatiscente e poco igienica è poco. Ma ho fatto buon viso a cattivo gioco, mi hanno ricoverato e curato per vari giorni, riuscendo pian piano a farmi tornare a mangiare.

La bici a un certo punto era completamente sommersa, la strada trasformata in un fiume
La bici a un certo punto era completamente sommersa, la strada trasformata in un fiume
Quando ti sei ripreso dove ti sei diretto?

Ho affrontato quei Paesi che vengono considerati i più socialmente avanzati del Continente Nero, come Costa d’Avorio, Ghana, fino ad approdare in Nigeria. Sapevo che sarebbe stato davvero complicato passare per quel Paese e così è stato.  E’ la parte più difficile di tutto il viaggio.

Eppure tutti dicono che la Nigeria è un po’ la locomotiva dell’Africa, ha anche richiesto l’adesione al G20 e al Brics

E’ una contraddizione reale, quel Paese. E’ molto complicato. La ricchezza c’è, ci sono risorse notevoli a cominciare dal petrolio, ma quella ricchezza risiede nelle mani di pochissimi, c’è una sperequazione enorme. Inoltre non è un Paese unito: al nord c’è Boko Haram che terrorizza la popolazione, nel centro ci sono piccoli gruppi di malavita che vivono di rapimenti, infatti c’è il più alto tasso di tutta l’Africa. Al Sud c’è il Biafra, che è un po’ più calmo, dove ci sono i giacimenti petroliferi, ma ci sono varie organizzazioni criminali che governano il territorio. Inoltre c’è grande nervosismo politico perché la regione al confine con il Camerun vuole staccarsi dal governo centrale e questo ha portato alla chiusura dei passaggi. Per me era un problema.

Come lo hai risolto?

Visto che i confini erano chiusi, c’era un solo modo per passare: attraverso le montagne. Così sono riuscito ad attraversare senza essere visto dai soldati, attraverso una pista sperduta a oltre 2.000 metri di altitudine. Sapevo del problema e mi ero studiato con attenzione la cartina. Questo è un aspetto fondamentale del viaggio: non si può improvvisare. Io ho trascorso mesi sulla Rete e sui libri, guardando cartine, studiando le app. Bisogna essere molto accurati, avere anche soluzioni di riserva.

Hai rischiato in Nigeria?

Non poco. Dormivo sempre nei check point guardati a vista dai soldati e in alcuni casi mi hanno detto apertamente che costituivo un problema, una sorta di richiamo, dovevano stare di sentinella ed erano preoccupati per loro e per me. Ma ho rischiato di più in Guinea, dove mi hanno inseguito con i machete per rubarmi la bici.

Per uscire dalla Nigeria, Franchi ha dovuto trovare una via alternativa
Per uscire dalla Nigeria, Franchi ha dovuto trovare una via alternativa
E’ stato quello il momento peggiore?

No, in Namibia. In un luogo abbastanza tranquillo. Ero al nord ma mi sono ritrovato a discutere con un camionista che mi aveva sfiorato. Per tutta risposta questo mi ha puntato la pistola in faccia… Un’altra disavventura è successa in Costa d’Avorio dove mi hanno rubato il cellulare: per fortuna avevo la geolocalizzazione accesa, sono andato alla polizia e questi con i motorini hanno seguito il segnale e me l’hanno recuperato. C’era tutto il materiale del viaggio.

Proviamo a trovare anche qualcosa di positivo…

Qualcosa? No, ben di più, è la maggioranza dei miei ricordi, quel che mi porto dietro. Quel che fa dell’Africa qualcosa di unico. In cima alla classifica ci metto paradossalmente proprio la Nigeria, perché ho trovato un calore umano incredibile, quell’ospitalità frutto della curiosità verso un uomo bianco solitario in giro con la bici. In pochissimo tempo si costruivano rapporti umani davvero speciali, posso dire di aver lasciato amici veri, con i quali sono rimasto in contatto. Poi c’è la parte naturalistica…

Facile immaginare che in tanti ti abbiamo chiesto della fauna locale…

Leoni, elefanti, zebre: non ho visto niente di tutto ciò. Ma non mi lamento certo per questo. Il posto più bello è stato nella provincia congolese di Kabinda. Sembrava di essere in Amazzonia, con rampe al 20 per cento, in mezzo alla giungla, con un paesaggio che cambiava sempre. Poi i deserti della Namibia, con il cielo alla sera che diventava un contrappunto di stelle. Di animali ricordo le iene, che in una notte mi hanno circondato senza però avvicinarsi, oppure antilopi, serpenti, babbuini.

E poi l’arrivo…

La conclusione del viaggio, che come sempre succede ti lascia da una parte grande gioia e dall’altra la nostalgia. Io sono rimasto in Sud Africa per qualche settimana, girando il Paese sfruttando i pochi soldi che mi sono rimasti, dormendo sempre in tenda. Ma la conclusione vera del viaggio è stata quando ho toccato la punta estrema dell’Africa, a Capo Agulhas. Avevo detto che l’avrei fatto e l’ho fatto…

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