Eravamo all’Italian Bike Festival di Misano quando Maurizio Fondriest ci disse che l’operazione Gravel Burn, di cui parlammo quasi un anno fa, era ormai pronta e ufficiale. Per festeggiare i suoi 60 anni e contestualmente alzare i fari sulla nuova gravel di casa, la Ardenne, il trentino avrebbe affrontato la Gravel Burn in Sudafrica. La gara a tappe gemella della Cape Epic, per intenderci. Quindi percorsi di un certo livello, vita selvaggia e soprattutto l’emozione di farla fianco a fianco di sua figlia Carlotta.
Un’avventura, una sfida e un’impresa. La Gravel Burn si svolge nella regione del Karoo, un territorio semidesertico a nord di Città del Capo. Il suo nome in lingua locale significa “terra della sete”. Un’area che è in gran parte Parco Nazionale, con enormi ranch e un impegno crescente per tutelare le specie selvatiche. E’ dunque in questo scenario che la Gravel Burn si è sviluppata in sette tappe, per un totale di 800 chilometri e 11.000 metri di dislivello (in apertura e nel resto dell’articolo foto Nedbank Gravel Burn).




All’avventura
«Siamo partiti con mia figlia Carlotta – racconta Fondriest – con l’idea di vivere un’esperienza comune. Sapevamo il giusto prima di partire. Chiaramente ci eravamo informati su altimetrie e tipologie di fondo, ma poi ciò che avremmo trovato davvero lo abbiamo scoperto solo sul posto».
E l’avventura è iniziata subito. «La prima tappa è stata già epica – dice Fondriest – il primo giorno abbiamo corso sotto un diluvio enorme. L’acqua scendeva fittissima e ho anche pensato: “Ma chi me lo ha fatto fare?”. Ma è stato un attimo, perché poi tutti intorno a noi, e anche noi, avevamo il sorriso stampato in faccia. Questo è stato un leitmotiv dell’intera settimana. E credetemi se dico che è stata dura».


Organizzazione top
Grazie anche a un’organizzazione eccezionale, l’evento esalta il gusto dell’avventura e del contatto con la natura. I partecipanti, circa 500 da tutto il mondo, dormivano ognuno nella propria tenda, all’interno di un grande villaggio che veniva allestito di volta in volta. C’era una grande struttura centrale che fungeva da bar, ritrovo, palco per le premiazioni, poi i bagni e le docce: tutto era nel campo.
«Davvero un’organizzazione super – prosegue Maurizio – grande efficienza in tutto. Una mattina c’è stato un vento fortissimo, da non stare in piedi. Hanno deciso di annullare la tappa ai fini del tempo, ma di poterla percorrere liberamente. Tutti hanno accettato di buon grado. Questa mentalità e questo spirito di adattamento mi hanno colpito. Per dire: una sera ci siamo ritrovati attorno a un grande fuoco ad asciugare le scarpe in vista del giorno dopo con Tom Pidcock (campione olimpico di mountain bike, ndr). E lui come tutti era lì, sereno, tranquillo. Un top rider che non si lamentava.
«Oppure il dover fare i conti con il freddo: una mattina ci siamo svegliati con il ghiaccio sulle tende. Non me lo sarei aspettato. Un’escursione termica enorme: di giorno si arrivava a 25 gradi, ma tutti continuavano a ridere, nonostante alle 5 del mattino si andasse a fare colazione coperti come in pieno inverno».




Dal Tour al Sudafrica
Questa avventura padre e figlia nasce proprio da uno slancio di entusiasmo di Carlotta. L’organizzatore è Kevin Vermaak, il fondatore della Cape Epic. Fondriest, tra le altre cose, è anche testimonial di Alpecin, e una sera durante le giornate dedicate agli sponsor al Tour de France, parlando con Vermaak, viene a sapere proprio da lui che si sta cercando di organizzare questa Gravel Burn.
Racconta Maurizio: «A quel punto gli dico: “Kevin, se la organizzi davvero, vengo a farla”. Un mese e mezzo dopo mi telefona e mi dice che è tutto pronto. Mia figlia allora fa: “Papà, vengo con te”. E da lì, con mia grande gioia e sorpresa, è nato tutto. Si è aggregato anche il suo fidanzato, Giovanni Stefania, che è un biomeccanico».


Brava Carlotta
«Devo dire che si è allenata per bene. Io non tantissimo, quando potevo secondo i miei impegni. La regola era: vado con Carlotta, secondo il suo passo. E’ stato bellissimo. L’ho vista combattere con tenacia, affrontare ogni difficoltà con lo spirito giusto. Ha sofferto parecchio in una tappa, ma poi si è ripresa. E il caso ha voluto che a un certo punto fosse in lotta per la maglia di leader della sua categoria. L’aveva persa quel giorno che era andata in crisi, ma poi l’ha ripresa. Davvero brava. Ma il bello è stato fare questo viaggio insieme».
«Alla fine – prosegue Fondriest – se chiudo gli occhi, il momento più bello è proprio quello dei sorrisi. Pensate che subito dopo la prima tappa Vermaak è venuto da noi e ci ha detto: “Maurizio, non sai che bello vedervi con questo sorriso stampato in faccia nonostante la pioggia”. Ed aveva ragione. Erano sorrisi veri, e quello spirito di adattamento è qualcosa che spesso non siamo più abituati ad accettare. Le docce, per esempio, erano per tutti. Magari c’era la fila. Un giorno quella di Carlotta era fredda. Lei ha iniziato a lavarsi lo stesso e poi l’ho fatta passare nella mia. Ma non è stato un dramma».




Percorsi e bici
E poi c’è anche l’aspetto tecnico della Gravel Burn. E’ stato il primo vero test, la prova di fuoco per la nuova Fondriest Ardenne: una bici gravel dal DNA racing, ma costruita secondo i criteri ideali per questa disciplina. Ce ne eravamo già accorti a Misano, quando si levarono i veli.
«I percorsi erano tecnici – spiega Fondriest – ma non impossibili. Certo, l’altimetria non era da poco, ma questo è un altro discorso. Solo in una tappa forse si è andati un po’ oltre, ma ci sta: sono errori di gioventù. In ogni caso ci è anche capitato di affrontare dei guadi con l’acqua che arrivava al movimento centrale. Ma la cosa più dura erano quelle “ondine” sulle strade bianche, un po’ come in Toscana, solo che laggiù erano più marcate. Ci passavi sopra per chilometri, per giorni. Quelle, per comfort e fatica, sono state un bell’ostacolo.


Il setup giusto
«Forse anche per questo dico che, tornando indietro, monterei gomme da 50 millimetri, anziché da 45», ha aggiunto Maurizio. Pensate che nessuno del trio, Maurizio, Carlotta e Giovanni, ha mai forato. Segno che le scelte tecniche sono state azzeccate.
«Per l’Ardenne – conclude Maurizio – in fase di allestimento ho scelto le ultime ruote Vision (le SC 48, ndr) con canale interno largo: questo ha consentito alle gomme Vittoria di lavorare al meglio, con pressioni di 0,2-0,3 bar più alte rispetto a quelle ottimali, per ridurre il rischio di forature. Ed è andata bene. Anche il manubrio integrato ha fatto la sua parte, consentendo una presa comoda nella parte alta e smorzando molte vibrazioni.







