A Montegallo il silenzio non deve vincere. E’ difficile capirlo se non ci passi qualche ora in una sera d’estate in cui sfidi le mille curve per lasciarti dietro l’afa di pianura. Le persone fanno capannello e si raccontano quello che hanno fatto durante il giorno. Prima lo facevano nella piazzetta su in alto oppure dentro uno dei bar, adesso hanno i pochi metri quadri davanti ai ristoranti, per dove li hanno costruiti. Montegallo vive un po’ sopra e un po’ sotto: fra muri ristrutturati e nelle casette del terremoto da quasi otto anni. Da quando il 24 agosto del 2016 la montagna che campeggia sulle nostre teste decise di spostarsi. E gigantesco e goffo come è sempre stato, il Vettore smosse i destini di migliaia di persone. Se adesso lo guardi, ferito e tagliente al sole di luglio, sembra che gli dispiaccia e ne porta a sua volta il segno.
Montegallo e i Sibillini sono la destinazione perfetta per chi si muova su due ruote o a dorso di mulo. Il Grande Anello lo carezza e ne fa una stazione di sosta. E’ recente l’installazione di una colonnina per e-bike in cui si può ravvivare la batteria in modo gratuito, magari mentre si fa uno spuntino. Poi, ripartiti, i sentieri e le strade bianche si inoltrano con garbo verso il monte, solcandone i prati e sparendo a tratti nel bosco. Ed è proprio lungo essi che domenica scorsa si è svolta la settima edizione del Montegallo Bike Tour, una cicloturistica nata dalla passione dei ragazzi che al silenzio non si vogliono arrendere.
Amici per forza
Montegallo ha mille voci e sguardi accoglienti. Al punto che la sera a cena trovi la famiglia di tedeschi che viene qui regolarmente da vent’anni, da quando quei due genitori dall’aspetto simpatico avevano poco più degli anni della figlia maggiore. Ci sono i locali di sempre, appoggiati spalla a spalla nello stesso piazzale ed è stato difficile, soprattutto all’inizio, avviare una convivenza che fosse almeno serena. Il terremoto ha costretto i cani a stare accanto ai gatti, don Camillo nella stessa stanza con Peppone. Ha imposto la vicinanza. Eppure qua, fra queste poche anime che una volta d’estate dovevi moltiplicarle per cento, si respira una sorta di tregua raggiunta forse a suon di cattivi pensieri, ma ormai assodata.
E per la cicloturistica della domenica, ancora una volta si sono ritrovati tutti assieme. Quelli che l’hanno organizzata e quelli che gli hanno dato una mano, magari cucinando e preparando il condimento per la pasta alla amatriciana. La base ha smesso di essere la pineta della parte alta, perché lì sta nascendo un parco avventura. E allora ne hanno trovata un’altra, ugualmente verde e accogliente e questa volta hanno noleggiato una cucina da campo e i ristoratori ci hanno messo l’arte.
340 partenti
Sono partiti in 340 distribuiti lungo i tre percorsi. Quello da 20 chilometri con 800 metri di dislivello, quello da 2 con 1.200 metri e quello da 38 con 1.450 metri. Lungo il tracciato hanno trovato 4 ristori e alla fine c’era il pasta party. Sul passo del Galluccio c’erano pizze rustiche, crostate e ciambelloni. A Santa Maria in Pantano, dove c’era la chiesetta più bella ora sbriciolata, nella “fonte santa” li aspettavano i cocomeri. Nel terzo e nel quarto ristoro… arrosticini!
E come succede di solito quando hai la sensazione di aver partecipato a qualcosa di bello, nelle foto scattate dopo la fine i sorrisi non sono di circostanza, ma nascono da dentro. E altrettanto belli erano i sorrisi dello staff che ancora una volta ha tirato fuori un gioiello, ripulendo i sentieri e raccontando l’evento come meglio non si potrebbe. Un gruppo di 25 fra ragazzi e ragazze che fino alla tarda serata del sabato erano con il sindaco a discutere gli aspetti più delicati e poi si sono ritrovati davanti a una pizza in uno dei posti aperti. Ruotando, una sera qua e una là, perché i soldi girino in tutte le tasche.
A Montegallo il silenzio non vincerà, almeno finché ci saranno loro. E l’auspicio è che questi sentieri diventino terreno permanente di caccia alla bellezza. Perché se è vero che nessuno muore finché ne è vivo il ricordo nel cuore di chi gli ha voluto bene, allora forse il paese tornerà come prima fra un secolo o non tornerà affatto. Ma è altrettanto vero che questi prati, le creste e i boschi sono qua in attesa di ruote che vogliano riscoprirli. E non sono le mura, ma le persone a rendere accogliente un posto. E quassù, che sia per sport o per sfuggire l’afa della pianura, si trova sempre un sorriso o un piatto in tavola. Si chiama ospitalità, sono i Monti Sibillini. Territorio di salite, scenari, leggende, sapori e storie che meritano di essere raccontati per sempre.