Ruanda Federico DamianiRuanda Federico Damiani

| 15 Ottobre 2025

Pedalare in Rwanda (prima dei mondiali): l’esperienza di Damiani

Il Rwanda è ultimamente salito alla ribalta del ciclismo grazie ai mondiali di Kigali. Mentre guardavamo le fatiche e i trionfi dei grandi (e piccoli) campioni, abbiamo anche scoperto un Paese in cui la bicicletta è dappertutto, e con paesaggi che invogliano a caricarla sull’aereo e partire.

Per saperne di più abbiamo parlato con qualcuno che in Rwanda ha già pedalato, e per un bel po’ di chilometri. Quel qualcuno è Federico Damiani, co fondatore del collettivo Enough Cycling, che nel 2023 ha preso parte alla Race Around Rwanda.

Ruanda Federico Damiani
Sullo sfondo le montagne, che coprono la maggior parte del Ruanda (foto Chiara Redaschi)
Ruanda Federico Damiani
Sullo sfondo le montagne, che coprono la maggior parte del Ruanda (foto Chiara Redaschi)
Federico, iniziamo dall’inizio. Cos’è la Race Around Rwanda?

E’ una gara gravel che c’è da qualche anno, è abbastanza stabile nel calendario. Ma è molto diversa dai mondiali che si sono corsi poco fa e anche dalle normali gravel race. La definirei più una adventure race, con un percorso di circa 1.000 chilometri che fa un po’ tutto il giro del Paese. Non so dire quanto dislivello totale, ma comunque tanto, perché lì pianura praticamente non ce n’è, quasi tutto colline e montagne. Il fondo era un misto tra strada e sterrato. Le strade asfaltate sono bellissime, meglio che da noi. E la parte gravel era quasi sempre molto scorrevole, di terra rossa battuta, diversa da quella solita a cui siamo abituati. Quindi una bella scoperta anche quella. 

Sappiamo che la gara non l’ha finita, cos’è successo?

Ho avuto un problema al ginocchio, stavo usando dei nuovi pedali che con le scarpe che avevo facevano muovere troppo il piede e alla lunga mi è venuto fuori questo dolore, e mi sono fermato dopo circa 450 chilometri. Eravamo in due, io e Manuel Truccolo, che invece l’ha finita, anche se pure lui ha avuto un problema. Gli si è rotto il manubrio e ha continuato usando il mio. Ma a quel punto non era più “unsupported” e l’ha finita in modalità turistica, diciamo… 

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Il gravel del Rwanda è una terra rossa compatta, bellissima e molto scorrevole (foto Chiara Redaschi)
Il gravel del Rwanda è una terra rossa compatta, bellissima e molto scorrevole (foto Chiara Redaschi)
Cosa ti ha colpito di quel Paese?

E’ un posto molto bello, da tanti punti di vista. Il paesaggio è molto inusuale per noi, e soprattutto molto vario, ti trovi a pedalare in tanti paesaggi diversi. Come ho detto ci sono molte montagne, ma anche un lago vastissimo, il lago Kivu, poi si passa per esempio in mezzo a delle enormi piantagioni di tè. Rispetto ad altri posti ha il grande vantaggio che in 4-5 giorni vedi tante cose diverse.

Anche rispetto ad altri posti in Africa? 

Sì. E rispetto ad altri Paesi africani mi ha colpito la tantissima gente che abbiamo trovato, al punto che era quasi impossibile rimanere da soli come nelle altre gare del genere. Quasi troppo, fai fatica a fermarti una volta senza che arrivi qualcuno. Ho trovato dei bambini che mi hanno seguito per 3 chilometri in salita correndo, oppure passando per una piantagione tutti si fermavano a guardarmi. Ad un certo punto Manuel si è fermato a cambiare le pastiglie dei freni in un villaggio e in breve si è creato un capannello di quasi 200 persone. Al punto che il capo villaggio ad un certo punto ci ha chiesto di andare, perché si era bloccato tutto il paese.

Ruanda Federico Damiani
Fermarsi in Rwanda significa diventare immediatamente il centro delle attenzioni dei locali (foto Chiara Redaschi)
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Fermarsi in Rwanda significa diventare immediatamente il centro delle attenzioni dei locali (foto Chiara Redaschi)
Una prospettiva diversa rispetto a quella a cui siamo abituati.

Sì, perché lì sei tu il diverso. Pensiamo sempre di essere noi lo standard, ma queste esperienze ti fanno capire come sia solo una prospettiva. E’ uno degli aspetti più belli di viaggiare in bici. In quei momenti sei tu quello fragile, quello che non conosce, quello che ha bisogno di qualcuno o di qualcosa. E’ un cambio di prospettiva che poi ti serve moltissimo quando torni a casa.

Hai notato una particolare passione per il ciclismo?

Il Rwanda è uno dei Paesi africani più avanzati in questo sport. Il primo checkpoint era dentro una struttura della federazione, una struttura nuova e fatta bene, con molti ragazzi che uscivano ad allenarsi. Poi la bici lì è il mezzo di trasporto principale, sia per le persone che per le cose. Ti trovi a pedalare accanto ad uno con la bici anni ‘70 con i freni a bacchetta che trasporta cento canne di bambù, o latte di materiale. La bici diventa quasi una carretto, non hanno i cambi quindi magari in salita la spingono, poi però in discesa vanno come i matti. E in generale quando possono cercano di starti dietro.

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Una delle cose più belle di pedalare in quel paese è la grande varietà di paesaggi (foto Chiara Redaschi)
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Una delle cose più belle di pedalare in quel paese è la grande varietà di paesaggi (foto Chiara Redaschi)
Scene che abbiamo visto anche ai mondiali di Kigali, con i ragazzi locali che pedalavano assieme ai campioni in ricognizione.

Esatto. Lì mi spiegavano addirittura che tanti atleti li scoprono così. Quando la nazionale esce ad allenarsi e arriva qualcuno che si accoda e gli resta dietro per 20 chilometri loro gli dicono di andare a provare a correre.

A proposito che idea ti sei fatto del movimento ciclistico ruandese?

So che da un paio d’anno nel Team Amani, ci sono anche due ragazzi del Rwanda. Di certo sta crescendo e anche il mondiale darà una bella spinta. La bici è uno sport di endurance, come la maratona, quindi il fatto che ci siano ancora pochi corridori africani è solo una questione di tradizione e di cultura. Se iniziassero da piccoli ad allenarsi e ad imparare a stare in gruppo, credo che a vent’anni andrebbero sicuramente più forte dei bianchi. D’altronde è così un po’ in tutti gli sport.

Che consigli daresti a chi volesse andare a pedalare in Rwanda? 

Arrivarci è più semplice di quanto si pensi. Si prende un volo e si arriva a Kigali e si può partire da lì. Non ci sono vaccini obbligatori, solo quello per la malaria che è opzionale, io per esempio non l’ho fatto. Poi è un Paese molto sicuro, al contrario di quello che si potrebbe pensare. A tratti è anche molto più occidentale, come per esempio la Capitale, dove vivono anche molti europei. Nelle zone più rurali invece è diverso ovviamente, ma anche lì un piccolo alberghetto si trova, magari non ogni 20 chilometri, ma ogni 100 sì, quindi con un po’ di organizzazione è fattibile.

Ruanda Federico Damiani
Gli incontri sono, come sempre, tra le parti più belle del viaggio (foto Chiara Redaschi)
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Gli incontri sono, come sempre, tra le parti più belle del viaggio (foto Chiara Redaschi)
Anche col mangiare e bere non hai avuto problemi?

Devi stare un po’ attento come sempre quando sei in giro fuori dall’Europa. Ma anche nei villaggi più piccoli si trovano dei minishop con qualcosa di confezionato da mangiare e bere finché non si trova un posto un po’ più grande con una cucina affidabile.

Negozi o meccanici di bici ce ne sono?

A Kigali sì, anche se mancano spesso i pezzi di ricambio. Fuori dalla Capitale invece meno, ci sono più che altro fabbri, che magari ti sistemano il telaio ma non sanno mettere mani su un cambio moderno. A noi avevano chiesto di portare giù pezzi di ricambio, perché spesso trovi persone con la camera d’aria con 70 toppe. Quindi il mio consiglio è quello di partire avendo dietro tutto quello che può servire. Anzi, se si va lì una bella cosa potrebbe essere portare giù un po’ di pezzi usati, perché sono sicuramente molto apprezzati.

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