«Era tardi quel giorno a Murghab. Il sole stava tramontando e io ancora non avevo montato la tenda. In più ero ancora alto di quota. Dovevo scendere. All’improvviso, vidi delle pecore e un pastore tagiko. Parlavamo a gesti. Mi fece capire che aveva una “casa” e che potevo dormire da lui. Ma la sua dimora era arroccata e la mia bici troppo pesante. Il fondo sconnesso. Mi fece aiutare da uno dei suoi figli. Mi offrirono la cena. Mangiai nel loro piatto. Anche per quella notte me l’ero cavata e fu una notte bellissima». Giorgio Lucarelli ci porta subito nel cuore della sua avventura in Tagikistan, lungo la Pamir Highway.
Lucarelli si definisce un cicloviaggiatore. E’ un laziale, di Sora, Frosinone. Ha 60 anni ed è un istruttore Isef. Appassionato di montagna, scopre la bici quasi per caso oltre 30 anni fa. Non la mollerà più. Inizia i suoi viaggi nel mondo. Da quelli “dietro casa”, come il primo in Salento a Santa Maria di Leuca, a quelli più remoti: Capo Nord, la Siberia, l’Asia Centrale.
Verso il Pamir
E proprio di queste ultime avventure ci racconta Giorgio. Del suo “anello” con partenza e arrivo a Dushanbe, capitale del Tagikistan: 1.800 chilometri, quasi 22.000 metri di dislivello molti dei quali lungo la mitica Pamir Highway o strada M41, la seconda strada carreggiabile più alta del mondo. Secondo recenti misurazioni la prima è la Suge-la, in Tibet che unisce Raka a Tsochen e che tocca quota 5.430 metri.
Di certo la Pamir Highway è più accessibile, nonostante le tante difficoltà logistiche, tecniche, politiche e geomorfologiche che la contornano.
«Il mio viaggio – racconta Lucarelli – è durato 24 giorni in tutto, 21 di pedalata. Prima di partire mi ero informato parecchio e devo dire che già la sola organizzazione di un viaggio simile è bellissima. Mi ero informato soprattutto sul fondo stradale e su come trovare il gas per il mio fornellino. Sapevo che a Dushanbe non era facile. Il Tagikistan è uno degli Stati più poveri al mondo e magari avevano altri tipi di carburanti. Spesso dettagli simili non sono scontati in certi luoghi del pianeta».
Tra vento e quota
Giorgio quindi lascia la capitale tagika sul finire di luglio. E’ questo il periodo migliore per quelle zone, anche se in basso il caldo si faceva sentire. In programma tre settimane piene di pedalate.
«C’erano 45 gradi e Dushanbe è a 800 metri di quota. Come mia abitudine, nella prima settimana, essendo più fresco cerco di accumulare più chilometri possibile, in vista di imprevisti o per godermi al meglio poi la fase finale. E così ho fatto anche stavolta. Nei primi giorni accumulavo anche mille metri di dislivello al giorno.
«Bisogna considerare che soprattutto in pieno Pamir, non sempre le strade erano asfaltate e le discese con una bici pesante non erano facili. In più spesso le stesse strade erano bloccate da frane. Da quelle parti è quasi una normalità restare fermi 6-8 ore in attesa che vengano liberate dai massi».
Lucarelli pedalava dall’alba sin verso le 16,30-17, quando cercava un posto per montare la tenda. Con sé aveva i cibi che si usano per questo genere di viaggi: tonno e carne in scatola, alimenti liofilizzati, latte in polvere. Vento e sole gli avversari principali. Senza dimenticare la quota chiaramente. Ma almeno quella “andava e veniva”.
«L’acqua la cercavo sul posto. Ho anche acquistato un filtro purificatore per queste mie avventure e spesso la prendevo dai torrenti che scendevano dalle montagne e mai dal fiume principale. Cercavo di capire se a monte ci fossero case, pascoli… in quel caso evitavo. Quando possibile la compravo e cercavo di avere sempre almeno dai 3 ai 6 litri di acqua con me».
Avventura in quota
Il viaggio va dunque da ovest verso est. Da Dushanbe a Khorugh e poi a Murghob (o Murghab). Il vento è una costante. E complica le cose. Leviga l’anima oltre che la pelle.
I valichi si susseguono. Qualche macchina, qualche altro viaggiatore, ma sostanzialmente Giorgio è solo. Da Khorugh imbocca la vera M41 (in verde nella mappa in alto) e inizia ad inerpicarsi verso i 4.655 metri del mitico Ak-Bajtal Pass. La quota si fa sentire. E il ritmo è lento. Ogni pedalata è una conquista, ma ne vale la pena.
Scende a Murghob e risale verso nord fino a Karakul, in scenari a dir poco unici, tra vette, deserti e cime che superano anche i 6.000 metri di quota. Karakul è anche il punto più orientale toccato da Lucarelli: il confine con la Cina è a meno di 20 chilometri, ma non ci sono strade dirette, almeno da Karakul.
Quindi ridiscende a Murghob e stavolta continua verso Sud, in direzione di Alichur e…
«E lì si rompe il perno che regge la sella – dice Giorgio – è il panico. Una sorta di tragedia in quella situazione. Avevo un paio di fascette da elettricista e la “fisso” con quelle. Per 50 chilometri ho dovuto tenere una posizione strana, fissa e in equilibrio sulla sella stessa o in piedi, tanto che poi ho avuto dolori per diversi giorni».
«Verso Alichur incontro un altro cicloviaggiatore, un francese. Dà un’occhiata, ma neanche lui può aiutarmi. Arrivo in una guest house ad Alichur e scorgo un’officina non lontano. La signora parla un discreto inglese e le spiego il mio problema. Fa una chiamata. Poco dopo arriva un ragazzo con le mani sporche di grasso. E‘ un meccanico. Penso: “E’ fatta”.
Lui guarda la sella. E va via. Ritorna con tre bulloni. Il primo non va. Il secondo neanche. Mi faccio il segno della croce… il terzo è quello giusto. Se non avessi risolto il problema, mi sarei perso la Wakhan Valley che in qualche modo era il cuore del viaggio».
Il corridoio Wakan
Passato lo shock della sella, Lucarelli si dirige sul Kargush Pass ancora a quote elevatissime con i suoi 4.434 metri, e costeggia così il famigerato e insidioso Corridoio Wakhan. Si tratta di una zona di “rispetto” lunga 250 chilometri e larga mediamente 20, creata da Inglesi e Russi nel 1895 e presidiato dai militari americani fino a pochissimi anni fa. E’ dunque un territorio cuscinetto fra Tagikistan, Afghanistan (che ne detiene il territorio appunto) e Cina.
«A segnare il vero confine tra Afghanistan e Tagikistan è il fiume Panj – spiega Lucarelli – sono molte le storie controverse di questo territorio. Ho sentito di qualche viaggiatore rapito. Di una guerriglia che c’era stata appena un mese prima del mio passaggio tra i due Stati. Sostanzialmente è la via con cui si fa uscire l’oppio dallo Stato talebano. C’è un forte presidio militare.
«E’ proprio qui, nella Wakhan Valley che sono stato fermato dai militari dell’esercito tagiko. Credevano portassi droga, immagino. Avevo fatto anche il permesso per questo tratto, avevo il visto sul passaporto, tutto era in regola. Ma loro quasi per sbeffeggiarmi mi tenevano fermo lì. Loro parlavano. Dopo mezz’ora, mentre ripetevo che non avevo droga gli dissi di aprire la sbarra. Mi sono alzato e, spingendo la bici per mano, ho proseguito sulla mia strada. Pensavo: “Ora mi sparano”. E invece non mi hanno detto nulla».
A quel punto il viaggio di Lucarelli prosegue. Con le difficoltà “canoniche”, come la fatica e l’essere in un luogo diverso dal modo occidentale, ma prosegue regolare. Arriva a Khorugh, dove chiude l’anello del Pamir.
I tempi però stringono e per non perdere l’aereo del ritorno, Giorgio affronta 240 chilometri in taxi. Ma il finale per rientrare a Dushanbe non può che essere in bici.
Consigli utili
Un viaggio simile chiaramente non è per tutti. E neanche per tutti i giorni. Servono una certa preparazione fisica, una grande esperienza, un po’ di coraggio e tanto spirito di adattamento.
«Però – conclude Lucarelli – si può fare. All’inizio dei miei viaggi ero insicuro, poi ho preso fiducia. Bisogna essere consapevoli e se ne esce più forti mentalmente. In Tagikistan l’ospitalità è sacra. Loro sono gentilissimi. Sulla Pamir Highway i viaggiatori non mancano. Io ho incontrato indiani, americani, francesi, inglesi…
«Servono i visti sul passaporto prima di partire. Si può dormire in tenda e, nei villaggi lungo la strada, non mancano le guest house a 10 dollari. Anche il cibo costa poco. Una volta in loco si può acquistare una normale sim tagika per il telefono. Ma occhio, perché non sempre il segnale è presente. La spesa maggiore è rappresentata dall’aereo. Io ho pagato 1.250 euro, bici inclusa, andata e ritorno».
A proposito di bici. Come tutti i viaggiatori di questo tipo, il “cavallo” deve essere robusto. Niente ammortizzatori (una cosa in più che si può rompere). Giorgio aveva con sé un minimo di attrezzatura di scorta (una catena, qualche raggio, camere d’aria e qualche attrezzo).
«La mia bici è rinforzata. Da sola pesa 17 chili. In più avevo un bagaglio di 45 chili, tenda Ferrino inclusa. Per quanto riguarda il vestiario ho portato sia l’estivo che l’invernale, comunque in certi punti si sfioravano gli zero gradi. Il Gore-Tex è per me il miglior capo tecnico per questo tipo di viaggio. Non dimenticate poi una crema protezione 50. Io ho avuto diversi eritemi».