Con la presentazione del Tour de France, ASO, la società organizzatrice della Grande Boucle, ha annunciato anche l’evento dedicato agli appassionati: l’Etape du Tour. Non solo: quest’anno ASO ha bissato e, oltre alla classica Etape, ha introdotto anche l’Etape du Tour Femmes (di cui parleremo domani). Entrambe ripercorreranno le frazioni simbolo delle due competizioni, offrendo la possibilità di rivivere metro dopo metro un’intera tappa del Grande Giro francese.
Tra l’altro, quest’anno, l’Etape si correrà prima dei pro’: il 19 luglio spazio agli appassionati e il 25 toccherà ai pro’.
Partiamo dall’Etape du Tour classica, legata alla Grande Boucle maschile. Si parte da Bourg d’Oisans per arrivare all’Alpe d’Huez. Tragitto breve, direte voi. E invece il percorso si articola in un grande anello, molto simile a quello della Marmotte, per poi risalire all’Alpe dal Col de Sarenne. A guidarci in questa avventura è uno dei ciclisti più popolari d’Italia e non solo: il Diablo, Claudio Chiappucci.
L’avventura propone un tracciato di 170 chilometri e 5.400 metri di dislivello: un grande bailamme fra l’Oisans e la Maurienne, due vallate francesi circondate da cime storiche e salite ancora più leggendarie, rese iconiche dal Tour de France e dai suoi campioni. E uno di quei campioni, capace di regalare emozioni proprio su queste strade, è stato lo stesso Chiappucci.


Claudio, si va da Bourg d’Oisans all’Alpe d’Huez: in teoria sarebbero i 14 chilometri della classica scalata, ma in realtà c’è un giro da 170 chilometri con Croix de Fer, Télégraphe, Galibier e Col de Sarenne. Al Diablo sarebbe piaciuta una tappa così?
Una tappona! Quelle che ho vinto sono sempre state su percorsi del genere, con tanto dislivello. La differenza oggi è un chilometraggio più lungo, quindi molto più selettivo. Una tappa del Tour, e quindi anche questa Etape, non è mai semplice, specie in queste zone alpine. E’ una tappa dove c’è da fare tanta fatica. Questo va messo in conto prima di partire.
Con quelle salite poi: solo di GPM ci sono circa 67 chilometri…
Esattamente. E poi parliamo di un periodo che può essere molto caldo e questo influisce tantissimo. Quando salivo l’Alpe d’Huez non vedevo l’ora di arrivare in cima: all’inizio, con queste pietre, l’asfalto… il caldo ti ammazzava. Almeno arrivare più in alto vuol dire trovare anche un po’ di frescura.
Che tipo di salite sono?
Sono salite lunghissime, immense. Quando superano un certo chilometraggio diventano difficili da gestire, soprattutto perché vai molto in alto: il Galibier arriva oltre i 2.600 metri. Gli ultimi chilometri sono i più impegnativi sia per pendenze (tra il 9 e il 12 per cento, ndr) che per l’altitudine. E’ ancora più complicato sapersi gestire: non bisogna andare fuori giri.


Questa frase si sente spesso, Claudio: ma come si fa?
Ognuno deve conoscere il proprio limite. Non devi dare tutto quando senti di averne, perché poi rischi di restare senza energie alla fine. Oggi abbiamo rapporti più corti e facili rispetto al passato: con quelli che ci sono ora si sale quasi ovunque. Ma questa è la teoria…
Cioè?
La gestione. Una volta, senza misuratore di potenza, si diceva “bisogna sentire la catena”. Cioè che bisognava andare né troppo duri né troppo agili. La gestione è personale: non posso dirti di usare un rapporto se tu vai meglio con un altro. La frase che riassume tutto è proprio “sentire la catena”.
E cosa vuol dire?
Vuol dire che senti che stai pedalando: non stai andando a vuoto, ma non stai nemmeno spingendo troppo.


Invece, che ricordi hai di queste salite?
Erano salite ideali per me: lunghe, a sfinimento. Dove c’era da andare a sfinimento io stavo bene.
Qualche duello particolare?
Quelli con Indurain. Pensavo che su salite così dure, per rapporto peso-potenza, nella parte finale avrei potuto fare la differenza. E invece spesso Indurain era lì. Si staccavano gli altri, ma non lui. Ti giravi e lo vedevi sempre alla tua ruota, con quel ghigno… difficile da interpretare.
Del Col de Sarenne cosa ci dici? Una salita selvaggia, diversa dal versante classico dell’Alpe…
E’ la meno conosciuta del lotto, ma non è da meno. Va rispettata, anche perché è quella dell’arrivo. Le salite finali sono sempre più complicate, anche quando sono meno dure (e questa non lo è). La pendenza morde.


Il Sarenne è meno regolare…
Va su a strappi e la strada è molto meno ampia rispetto alla classica Alpe d’Huez. E se è a strappi, vuol dire che quando spiana poi c’è una “rampa”.
E come si affronta questo genere di scalate?
Si va a sensazione. A volte è meglio spingere quando spiana, altre quando si impenna: è una scelta del tutto personale. Bisogna tenere la gamba sempre in tiro per non avere troppi picchi di frequenza cardiaca e di potenza. Non ti puoi rilassare: se lo fai, paghi. Ma neanche puoi “scattare”. Come dicevamo prima: bisogna sentire la catena… senza esagerare quando spiana.
Per finire: un giudizio estetico. Ti piacevano questi luoghi?
Sì, molto. In particolare perché sopra una certa quota non c’è nulla. Arrivi in cima e trovi solo spazio, montagne, cime… soprattutto alla Croix de Fer e al Galibier. Sei fuori dal mondo, sembra quasi di essere sulla Luna.







