Una traccia da inseguire con il fiato, con il cuore e con le gambe. E’ la Grande Escursione Appenninica, o più semplicemente GEA: una linea invisibile che corre lungo la dorsale dell’Appennino Tosco-Emiliano, da Arezzo fino a Monterosso al Mare. Quasi 600 chilometri per oltre 20.000 metri di dislivello, in un continuo saliscendi fra boschi, crinali e parchi naturali. Un’avventura per spiriti liberi, bikepacker, escursionisti, viaggiatori e sognatori a pedali.
Se fossimo in America si chiamerebbe molto probabilmente “divide”, visto che per lunghi tratti si pedala sul crinale che fa da spartiacque fra i corsi d’acqua che finiscono nel Mar Tirreno e quelli che terminano nel Mare Adriatico. E’ un’avventura dunque con la A maiuscola. E come tutte le avventure in Italia non implica “solo” natura: ma anche storia e cultura, borghi e sapori.


Lo zampino di Messner
La GEA nasce dal sogno di collegare tutto l’Appennino Tosco-Emiliano seguendo la linea di crinale. E’ uno dei primi grandi percorsi escursionistici italiani, ideato negli anni ’80 grazie anche all’impulso di Reinhold Messner, che fu tra i primi a sostenere un’idea di montagna “a misura d’uomo”, vissuta lentamente, a piedi o in bici.
Il tracciato è nato per i camminatori, ma da alcuni anni è stato adattato anche al bikepacking grazie all’associazione GEA Bike, di Samuele Baldinotti. Il progetto ha recuperato vecchie mulattiere, sentieri CAI e strade forestali, mantenendo intatto lo spirito originale: percorrere l’Appennino dal cuore della Toscana fino al mare, senza mai abbandonare l’anima delle sue montagne.
E’ un viaggio totale: in se stessi, in natura, in foresta, in montagna, in bici… Ed è incredibile vedere paesaggi così remoti. Il mondo all’improvviso sembra lontanissimo. E toccare con mano tutto ciò è un’esperienza vera.
Descrizione del percorso
La GEA parte dalle colline sopra Arezzo e si lancia verso il Casentino, passando tra le faggete del Parco delle Foreste Casentinesi. Da lì punta verso il Mugello, supera l’Appennino fiorentino e poi si innesta sulla dorsale principale, che non lascerà più fino al mare. Attraversa il Corno alle Scale, il Monte Cimone e il Passo del Lagastrello, tocca il crinale della Lunigiana e infine piega verso le Cinque Terre, con l’arrivo a Monterosso al Mare. Non è una linea retta, ma una un bailamme di emozioni: si passa dai 200 ai 1.800 metri di quota, con tratti tecnici, rilanci continui e discese adrenaliniche.
Alcuni segmenti sono molto impegnativi e richiedono spinta o portage, ma regalano scenari che valgono ogni sforzo.
La parte più tecnica coincide, più o meno, con quella più elevata: quindi nella zona che va da Corno alle Scale all’Abetone, dal Passo dello Strofinatoio a Lago Nero. Ma in generale tutto il tracciato è piuttosto esigente dal punto di vista tecnico. Bisogna pensare che il 90 per cento è offroad e la metà su single track e di questo almeno il 10 per cento è di portage, cioè bici in spalla.
Pedalare in cresta
Pedalare sulla GEA significa cavalcare il crinale, spesso in completa solitudine, con le valli che si aprono a destra e sinistra: una divide, come dicevamo prima. E’ una condizione mentale oltre che fisica: si è sempre sospesi, con il cielo vicino e l’orizzonte libero. Una grande parte del percorso coincide con l’Alta Via dei Parchi, un itinerario escursionistico che attraversa alcuni dei più importanti parchi naturali dell’Appennino settentrionale, come il Parco dell’Appennino Tosco-Emiliano o quello delle Foreste Casentinesi.
Tutto questo rende la GEA non solo un’esperienza sportiva, ma anche ambientale: si passa in ecosistemi protetti, si incontrano cervi, rapaci e silenzi antichi. Pensate che in tutto i Parchi attraversati sono dieci. Lontani dall’asfalto e dalle città, ci si riappropria del ritmo lento della montagna.
E’ qui, nel centro della GEA che emergono le difficoltà, stando ai racconti di patron Samuele Baldinotti. E’ qui che il gioco si fa duro e fare 10 chilometri può davvero essere un’impresa.
Diventare finisher
La GEA non è una gara, ma ogni anno alcuni rider scelgono di affrontarla in modalità “self-supported”, cercando di completarla in pochi giorni. I finisher si contano a decine, e ognuno ha una storia diversa da raccontare. C’è chi la fa in bikepacking puro, dormendo in tenda o bivaccando, e chi preferisce rifugi e agriturismi che proprio non mancano lungo il cammino.
L’importante è essere preparati: serve una bici adatta e senza dubbio la mtb è il mezzo migliore. E se non è un’e-bike che si assolutamente una bici leggera, proprio pensando ai tratti di portage. Anche se ultimamente si è visto qualche temerario affrontare la GEA in gravel. Servono anche un’ottima capacità di gestione dell’autonomia e un buon allenamento, anche se poi tutto sta al ritmo che s’intende mantenere.
Infatti, c’è chi la fa in quattro giorni e chi in 8. E ancora meglio, se si è poco allenati e non si ha troppo tempo consecutivo a disposizione è farla a più riprese. Magari in più weekend. Si arriva in treno, si fa una parte del percorso e lo si lascia. La volta dopo si riparte da dove ci si era interrotti: una “tattica” che sempre più appassionati sta sfruttando.
Il percorso è aperto dal 1° luglio al 30 settembre: chiaramente andando in luoghi tanto remoti si prediligono periodi in cui meteo si presume sia più clemente. Gea.Bike fornisce la traccia, l’elenco delle strutture ricettive e l’attestato di finisher e il costo parte da 70 euro. Ma ci sono anche pacchetti più corposi. Disporre della traccia ufficiale è fondamentale: alcuni tratti infatti non sono segnalati perfettamente e perdersi è un attimo. Se poi si perde sé stessi e ci si ritrova tra le montagne… tanto meglio!