Da una Etape all’altra: dopo l’Alpe d’Huez di ieri, oggi tocca all’Etape du Tour Femmes, seconda edizione in chiave femminile, ma sempre con lo stesso fascino. Il mito del Tour de France, tanti partenti al via, la condivisione del tracciato con le professioniste e le salite leggendarie. E oggi il mito è quello del Mont Ventoux.
Di nuovo il nostro interlocutore è Claudio Chiappucci. L’esperto varesino ha affrontato più volte il Gigante di Provenza e conosce bene anche le strade di avvicinamento, che possono nascondere molte insidie. Vento e caldo in primis, ma soprattutto quell’inganno che è la “pianura provenzale”: che vera pianura non è mai.
Il territorio, Mont Ventoux a parte, è un susseguirsi di vigneti, piccoli borghi, distese di lavanda. Fiumi silenziosi che solcano le vallate e che d’estate vengono spesso presi d’assalto dai bagnanti, molti dei quali sono anche ciclisti. L’Etape du Tour Femmes misura 120 chilometri con 3.000 metri di dislivello. Partenza da Vaison-la-Romaine e arrivo in cima al Ventoux, salendo da Bédoin, lo stesso versante che vide trionfare lo scorso anno Valentin Paret-Peintre. La sfida quest’anno è prevista per il 6 agosto, vale a dire il giorno prima delle ragazze impegnate nella Grande Boucle.


Claudio, Etape du Tour Femmes: il Ventoux è il grande spauracchio, ma anche l’inizio è alquanto insidioso…
Esatto, ci sono i famosi saliscendi della Provenza, spesso lunghi falsopiani. Come per le salite alpine di ieri, anche qui il caldo si fa sentire, forse ancora di più perché siamo nel sud della Francia.
E come erano quelle zone per pedalare?
Certamente molto belle. E’ l’unica montagna che si vede ed è proprio il Mont Ventoux, la grande cima che domina quelle terre. E’ una montagna ventosa, calda, e soprattutto una scalata che racchiude tutti gli aggettivi di una salita: arcigna, dura, difficile, lunga, in quota. Spesso fa caldo e tira vento, ma può anche capitare di trovarci la nebbia in cima: le nuvole si fermano lì e a volte non vedi neanche dove sei.
Una scena fantozziana quasi… Vai avanti!
Scherzi a parte, da lassù il panorama è spettacolare. Vedi tutta la pianura attorno, spazi immensi: non sei tra le montagne come sulle Alpi. Guardando verso sud puoi scorgere persino il mare. Un balcone sul mondo, fatto di sassi e pietre nella parte alta e di verde scuro in quella più bassa e lontana.


Tu, Claudio, che ricordi hai di quando l’hai fatta in corsa?
Ricordo che mi piaceva soprattutto il versante classico, lo stesso che si affronta nell’Etape du Tour, quello di Bedoin. Lì morì Tom Simpson nel Tour del 1967, ben prima che corressi io, ma già allora era una montagna mitica. Con i rapporti che avevamo all’epoca, però, diventava davvero dura.
Perché, ricordiamo, non c’erano rapporti così corti: al massimo un 39×25…
Come dicevamo ieri, con i rapporti attuali riesci a superare tutto più facilmente. Quando invece arrivavano salite dure come il Mont Ventoux, con i rapporti di allora c’era da spingere davvero. Era un continuo gioco di forze da dosare: non potevi dire, come si fa oggi, “faccio girare la gamba”. C’era poco da farla girare, con quegli sviluppi metrici: bisognava spingere e basta.
Prima abbiamo parlato dell’avvicinamento al Ventoux, che non è affatto scontato. Cosa ci puoi dire di quella “pianura” provenzale?
C’è il rischio di farsi prendere la mano e sfinirsi in quei saliscendi. Quando il percorso è così mosso ti invita a stare davanti, a cercare di tenere il gruppetto, a inseguire il miglior risultato. Mentre sulle salite vere, per certi aspetti, è più facile: prendi un tuo passo e vai. Anche in questo caso serve una gestione oculata e più difficile.




Perché?
Perché devi saper tenere a freno la gamba molte volte. Ma poi subentra il discorso della condizione: se sei al top tutto scorre, se invece hai dubbi o non sei al massimo, serve esperienza. Devi capire momento per momento, ascoltare le tue sensazioni. Tutto ciò che si racconta sono esperienze che puoi mettere in atto solo valutando l’attimo.
C’è un momento chiave nella salita del Ventoux, un passaggio più tosto o decisivo?
Direi quello iniziale. L’attacco è tosto, secondo me è la parte più dura. Poi è ovvio che alla fine arrivi senza energie ed è un altro discorso. Se vai piano perdi, se vai forte rischi di bruciarti: bisogna trovare il giusto equilibrio, e non è facile, perché quella è una salita difficile da gestire. E bisogna considerare che durerà ben più di un’ora.




Ma è vera questa cosa dell’ossigeno che sul Ventoux si sente di meno rispetto ad altre salite di pari quota?
E’ un aspetto molto personale. Io, per esempio, con l’altura andavo bene. Tanti altri invece soffrivano. E’ il metabolismo di ciascuno a gestire le sensazioni in bici. Quindi non c’è una regola assoluta: per me può andare bene, per te male. Certo, siamo quasi a 2.000 metri e non è facile in senso assoluto, ma non è poi così diverso da altre scalate… almeno per me.
Ultima domanda, Claudio: da dove nasce questa idea che il Ventoux sia diverso da tutte le altre montagne?
Per tutto quello che abbiamo detto prima: la durezza, il paesaggio lunare, ma anche – da un punto di vista tecnico – perché ha pochi tornanti ed è molto dritta. Il tornante ti permette di respirare, anche solo mentalmente. Quando invece la strada è tutta dritta, sembra che non finisca mai. E’ una sensazione unica, che amplifica la leggenda del Ventoux.







