Davide Ghiotto è a suo modo un personaggio, forse anche grazie a questo è diventato uno dei campioni di riferimento dello sport italiano, una sorta di contraltare invernale a Jannik Sinner, almeno in quanto a quel delicatissimo connubio fra vittorie e popolarità. Laureatosi in filosofia, Ghiotto ha impiegato qualche anno per emergere in una disciplina, il pattinaggio di velocità, dove non c’è una grande tradizione italiana, al di là delle vittorie di Enrico Fabris ai Giochi di Torino 2006.
Il suo primo squillo risale al bronzo olimpico 2022, da lì è esploso, battendo anche i campioni olandesi che tutto dominavano e anche quest’anno ha portato all’Italia l’oro mondiale sui 10000 metri e nell’inseguimento a squadre e l’argento sui 5000.
La bici, strumento di lavoro
Ghiotto però ha anche uno stretto rapporto con la bici, che è entrata nella sua vita molto presto e ne fa parte quasi quanto i pattini da ghiaccio.
«Il ciclismo è una parte importante della nostra preparazione – dice – direi quasi preponderante. Noi non possiamo pattinare tutto l’anno, quindi il nostro allenamento prevede, insieme alla palestra, importanti sessioni in bicicletta, che vanno dalle 3 alle 5 ore giornaliere, non molto diverse e distanti da quelle di un ciclista professionista.
«Un rapporto così stretto è dettato dal fatto che i distretti muscolari interessati dai due sport sono pressoché gli stessi, il ciclismo consente di fare i necessari lavori aerobici avendo un apporto molto meno impattante di quello che potrebbe avere la corsa a piedi, ad esempio. Nel periodo da aprile a settembre usciamo in bici quasi ogni giorno, con sessioni mattutine o pomeridiane e con lavori in salita, con ripetute, con tabelle che permettono di allenare il nostro ritmo cardiaco. Molti non associano il pattinaggio con il ciclismo per le forti differenze che ci sono soprattutto in termini di durata dello sforzo e di caratteristiche, invece i punti in comune sono tanti».
L’eredità di papà ciclista
Nel caso del pattinatore di Altavilla Vicentina, il rapporto con la bici ha radici antiche: «Mio padre Federico è stato ciclista professionista dal 1986 al ’93, vincendo anche una tappa alla Tirreno-Adriatico ma lavorando soprattutto per Moreno Argentin. Io sono nato quando lui aveva smesso, ma mi ha inculcato l’amore per il suo sport. Vedevamo insieme le grandi classiche e presto mi sono ritrovato in bici. Da lui ho soprattutto imparato come il ciclismo sia sì fatica e sacrificio, ma sono aspetti che passano in secondo piano rispetto all’obiettivo, all’impegno, ed è così anche per il pattinaggio».
Il ciclismo ha anche un significato escursionistico nel suo caso? «Qui un po’ meno, ma è normale perché per me la bici è soprattutto uno strumento di lavoro. In questo caso, negli equilibri familiari, prevale un po’ la mia compagna Susy, ogni tanto mi chiede di fare qualche gita cicloturistica e non posso negare che acconsento sì, ma senza troppo entusiasmo proprio perché quando non devo allenarmi preferirei lasciarla da parte».
I colli, palestra all’aria aperta
Quali sono i luoghi principali degli allenamenti ma anche delle cicloescursioni? «Venendo io da Altavilla Vicentina, i Colli Berici sono un teatro ideale per le mie uscite sia per le loro caratteristiche orografiche utilissime per i lavori che devo fare, ma anche per la bellezza dei paesaggi. Spesso mi alleno anche sui Colli Euganei quando sono di stanza a Padova. Con la nazionale poi facciamo periodi di ritiro al centro olimpico di Formia (dove si stava dirigendo nel corso della chiacchierata, ndr) e lì tra Sperlonga e Cassino possiamo svolgere importanti lavori sfruttando il lungomare. Infine facciamo due periodi di altura, a giugno e settembre, a Livigno, dove pure i lavori in bici sono importantissimi e lì di itinerari ce ne sono molti».
In Olanda, che è un po’ la patria di questo sport, il legame fra pattinaggio e ciclismo è molto stretto, tanto è vero che la Visma-Lease a Bike ha un team in entrambe le discipline e molto spesso i pattinatori di primo piano fanno anche attività agonistica nel ciclismo. Nel caso di Ghiotto, considerando anche le sue radici familiari, c’è mai stata questa ambizione o l’agonismo a fine stagione invernale porta a una sorta di saturazione?
La voglia di gareggiare
«Spesso mi hanno chiesto di gareggiare a livello amatoriale, nelle granfondo e mi sarebbe anche piaciuto. Il problema è che spesso le gare coincidono con i nostri raduni prestagionali. La nostra attività ha pochissimi momenti di sosta, anche se le gare sono racchiuse in un periodo abbastanza ridotto. Così mi trovo a dover rinunciare, anche perché si preferisce sempre non rischiare qualche infortunio. Lo scorso anno avevo preso parte alla 24 Ore della Castelli, quest’anno avrei voluto rifarlo ma non è possibile».
Uno sport in evoluzione
Che peso hanno avuto nell’evoluzione della sua disciplina i suoi successi e soprattutto la parabola ascendente della sua popolarità fino a livelli inesplorati per un pattinatore?
«Mi fa molto piacere, so che le mie gare sui social sono seguitissime, a livello dei principali campioni dello sport italiano e per me è un onore, anche perché considerando che a Milano/Cortina avrò 32 anni, non è che dopo abbia ancora tanto tempo per gareggiare. Mi piace pensare che nel mio piccolo ho fatto qualcosa per diffondere il mio bellissimo sport, pur dovendo fare i conti con le carenze strutturali del nostro Paese.
«Io spero che i miei successi possano dare fiducia ai giovani ad avvicinarsi alla mia disciplina. Poi magari, quando avrò finito la carriera, avrò più tempo e piacere nel fare qualche uscita in bici con la mia famiglia, allora me la godrò di più…».