| 15 Luglio 2025

Grecia a 30 km/h: Matteo Dondé ed il ruolo delle università

Dal prossimo mese di settembre anche la Grecia (dopo Spagna e Galles) adotterà il limite dei 30 km/h in tutti i centri urbani del Paese. Ci ha incuriosito un post di Matteo Dondé, architetto urbanista molto attivo nel settore della mobilità sostenibile, tanto da insegnare al Master RIDEF 2.0 del Politecnico di Milano. In quel post, Dondé scriveva dell’importanza che le università greche hanno avuto nel portare la nazione ellenica a questo traguardo. Lo abbiamo contattato per sviscerare il concetto.

«Fondamentalmente – inizia – la Grecia ha replicato il modello spagnolo, ovvero limite dei 30 orari nelle strade urbane con la sola eccezione delle strade a due corsie per senso di marcia, dove il limite è rimasto a 50 km/h. Quindi il concetto si ribalta: i 30 orari sono la regola, i 50 l’eccezione».

All’ombra del Partenone si potrà circolare con maggiore sicurezza per tutti. Da noi solo poche città hanno il limite a 30 km/h
All’ombra del Partenone si potrà circolare con maggiore sicurezza per tutti. Da noi solo poche città hanno il limite a 30 km/h
Ci sono state resistenze in Grecia per questa novità?

Certamente, come ci furono già nell’Olanda degli anni ‘70. Quando c’è un cambiamento culturale, c’è sempre resistenza. Poi, però, i risultati ed i dati sono stati messi in evidenza e proprio sui dati ci si basa. Ovunque siano stati fatte le zone 30, fin dalla fine degli anni ‘60, la prima “città 30” (Graz, nel 1992), si deve sempre partire dai dati. La ricerca in questo senso è fondamentale

E veniamo allora al ruolo delle università. Cos’è successo in Grecia?

Un professore (George Yannis, ndr) ha iniziato a fare ricerca, è andato in giro per l’Europa, si è confrontato con gli altri tecnici, gli altri amministratori, ha valutato tutti i dati e li ha portati alla politica.

Quali sono le facoltà più coinvolte in quest’ambito?

Tendenzialmente sempre quelle di urbanistica, perché è lì che veramente sta cambiando l’approccio alla città, quindi forse proprio da lì parte l’idea di ripensare le strade come spazio pubblico. Meno quelle di ingegneria. Anzi, come disse senza peli sulla lingua Mikael Colville-Andersen, considerato il “guru” a livello mondiale della mobilità, i problemi delle città nel mondo sono stati gli ingegneri del traffico. Cioè pensare che le automobili debbano scorrere ed eliminare attraversamenti pedonali per fare spazio a sovrappassi e sottopassi. Siamo nel 2025, non più negli anni Sessanta dove le strade urbane erano viste solo come assi di scorrimento.

“Streets for Life #Love30” è una campagna dell’Organizzazione Mondiale della Sanità divulgata anche dallo stesso Dondé
“Streets for Life #Love30” è una campagna dell’Organizzazione Mondiale della Sanità divulgata anche dallo stesso Dondé
E’ palese che in Italia siamo indietro: dato che ancora è questa la mentalità vigente…

Si, ma se andiamo a vedere i PUMS (Piani Urbani della Mobilità Sostenibile, ndr) si vede una differenza abissale nell’approccio italiano, ancora molto ingegneristico, ancora molto sulla fluidità del traffico e sulle infrastrutture. Se andiamo a vedere i nuovi PUMS fatti in Olanda, in Francia, in Germania, in Danimarca, ormai si parla quasi unicamente di “place making”, di spazio pubblico, di restituire le strade alle persone, di strade condivise (foto in apertura Facebook / Matteo Dondé). La base è la bassa velocità che consente di cambiare completamente il linguaggio della strada e quindi le strade diventano dei luoghi di vita. In quei documenti le parole d’ordine sono qualità della vita, benessere, socialità, non più scorrere o fluidità del traffico.

Perché in Italia il mondo accademico latita?

Bella domanda, il perché non è facile da capire, nel senso che su questi temi le università non ci sono, a parte poche eccezioni. Non si espongono, c’è molta timidezza, non si fa ricerca su questi temi, non c’è la forza che c’è stata ovunque nel portare i dati, nel creare un dibattito serio a livello pubblico.

In Olanda si stanno pian piano smantellando le infrastrutture ciclabili. Dove ci sono le zone 30 non c’è bisogno di separare i flussi
In Olanda si stanno pian piano smantellando le infrastrutture ciclabili. Dove ci sono le zone 30 non c’è bisogno di separare i flussi
Può dipendere dalla mancanza di peso politico, da motivazioni culturali o, addirittura, da scarsa competenza in materia?

In realtà è un dibattito che le università italiane non hanno mai affrontato seriamente. Si è sempre guardato all’urbanistica intesa come sviluppo dei nuovi quartieri, ma mai con lo sguardo sulla strada che cambia. Oggi pian pianino le università si stanno svegliando, alcuni professori, alcune sezioni delle università si stanno rendendo conto che invece questo è il tema per eccellenza. Penso ad esempio allo Iuav di Venezia, da dove sono usciti molti tecnici competenti in materia. Ma in generale non c’è un serio dibattito a livello accademico, c’è timidezza. Ad esempio, quando come tecnici ci siamo mossi per difendere Bologna 30 contro il ministro, in realtà l’appello ha avuto diverse firme dagli urbanisti ma quasi nessuna dagli ingegneri..

E’ un mondo accademico troppo conservatore? 

Esatto, molto attento a preservare se stesso, a non disturbare, a non essere elemento di rinnovamento, proprio perché si possono creare delle tensioni. Allora è meglio un profilo basso, molto appiattito sulla politica invece di rinnovare ed essere forte nel chiedere un cambiamento che oggi è sempre più necessario. Se pensiamo che siamo un paese che ha otto morti al giorno e le università su questo non dicono niente, fa capire bene il problema.

Matteo Dondé fa convegni da 25 anni sulla mobilità attiva. Collabora anche con la Fondazione “Michele Scarponi”
Matteo Dondé fa convegni da 25 anni sulla mobilità attiva. Collabora anche con la Fondazione “Michele Scarponi”
In Italia è solo un problema di cultura?

Se Parigi arriva a dire: tolgo 30.000 posti auto lungo le strade e li sostituisco con 30.000 alberi, c’è una visione di città dietro. C’è la politica (che ha anche il grande ruolo della comunicazione) ma ci sono anche le strutture tecniche e le università a spingere questo cambiamento. In Italia ciò che manca davvero è lo “sharing space”, cioè l’idea della strada condivisa. La quale non solo non sta nella logica dei cittadini (e ci mancherebbe: se nessuno glielo spiega è normale che ci sia un problema culturale) ma nemmeno nei tecnici, nei politici e negli accademici. E invece questo è quello che è alla base di ogni Pums europeo. 

Matteo Dondé

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