Michele Bartoli è stato uno dei più grandi interpreti delle classiche a cavallo degli anni ‘90 e 2000. In carriera ha vinto, tra le altre cose, due Liegi-Bastogne-Liegi, due Giri di Lombardia, un Giro delle Fiandre, una Freccia Vallone, un’Amstel Gold Race. Ha smesso di correre nel 2004, ma è sempre rimasto un attento osservatore del mondo del ciclismo, anche di quello fuori dalle corse, come testimonia un’intervista che ha rilasciato al quotidiano toscano Il Tirreno ad inizio settembre.
In quell’occasione Bartoli ha parlato della sicurezza stradale, ipotizzando qualche regola che secondo lui aiuterebbe la convivenza tra automobili e biciclette. Ha parlato di tenere la destra. Evitare di uscire in gruppi numerosi. Non passare col rosso. Indossare sempre il casco. Non fare inversione stradale. E soprattutto ha espresso l’auspicio che ci sia una migliore comunicazione. L’abbiamo raggiunto al telefono per approfondire questo tema, tanto attuale quanto fondamentale nella vita di tutti, ciclisti e non.
Michele, abbiamo letto la tua recente intervista in occasione dell’ennesima morte di un ciclista investito da un automobilista. Tu hai provato a dare qualche indicazione su come uscire da questa situazione, anche rivolgendoti direttamente a chi va in bicicletta. Certo che questa convivenza sembra sempre più complicata…
Sembra quasi che bici e auto siano ormai quasi inconciliabili. Bisogna sempre ricordare però che l’errore del ciclista non porta alla morte di un’altra persona, invece l’errore di una macchina o di un camion sì. Noi praticanti cerchiamo sempre strade secondarie e ciclabili, quando ci sono. Ma per esempio un professionista non può sempre allenarsi sulle ciclabili, perché ha bisogno anche di strade “veloci”. Invece spesso le ciclabili sono ciclopedonali, in cui non è possibile andare a 40-50 all’ora. Le ciclabili servono naturalmente, vanno bene per i ciclisti della domenica, come sono io adesso. Eppure tante volte sono pericolose, con continue interruzioni e attraversamenti.
A proposito di ciclisti della domenica, ti sei rivolto proprio a loro.
Sì perché credo che dobbiamo essere noi i primi a comportarci bene in strada, se poi vogliamo essere ascoltati. Chi esce in gruppi numerosi a volte se ne frega delle regole e va in fila di 2 e 3, ed è sbagliato. Per esigere rispetto dobbiamo anche meritarlo, così poi la protesta funziona di più.
Però come dicevi prima è chi va in bicicletta che ogni giorno rischia la pelle.
Certo è verissimo. In giro per le strade vedo pochissima pazienza, che poi porta a questo. Io essendo ciclista sto molto attento quando sono in auto, ma è difficile, molto difficile. Per dire, mio figlio gioca a calcio e io sono contento così. Tenete conto che ai miei figli non ho neanche comprato la bicicletta per girare in paese…
Detto da uno con la tua storia, fa riflettere.
A pensare ai miei figli in strada che vengono superati da un camion mi viene la pelle d’oca. Dobbiamo pensare ad una soluzione se non vogliamo che il ciclismo vada a finire. Sarebbe da capire come hanno fatto in Spagna e copiarli. Prima lì, ai miei tempi, era molto peggio che in Italia, ora invece è il contrario. Poi succederanno sempre gli incidenti, ma è la cultura che deve cambiare. Sembra che però non interessi poco.
Questa è la sensazione, sì. E le leggi che vediamo ultimamente non sembrano che confermare quest’idea.
Ed è strano perché il ciclismo è uno degli sport più praticati. Se avessimo la possibilità di contare davvero i numeri che smuove verrebbero fuori cifre incredibili, stellari. Ma è un movimento che dovrebbe essere aiutato un po’ di più.
Qualche idea a riguardo?
So benissimo che è difficile, ma secondo me dobbiamo iniziare a realizzare luoghi in cui i più piccoli possono pedalare in sicurezza, perché in loro c’è il nostro futuro. Sia a livello sportivo che culturale. Una soluzione sarebbe costruire piste ciclabili davvero ciclabili, separate dalle strade, con gli incroci protetti, dove anche un ragazzino da solo può girare serenamente. Capisco la difficoltà a far coesistere tutto, non ho la bacchetta magica. Però altre Nazioni l’hanno fatto e quindi vuol dire che è possibile.