Ottocento chilometri e 12 mila metri di dislivello. Quattro giorni per completare il percorso da Pucon a Pucon, nella regione cilena dell’Araucania, a metà circa del Paese che si affaccia sul Pacifico. Quattro ore di sonno la prima notte, tre la seconda, due ore la terza. Sono pochi numeri della Across Andes 2025, l’evento unsupported che Juanjo Pereira e Javier Pastore hanno affrontato sulle loro Aurum. Lo hanno fatto per far conoscere il marchio di bici per il quale lavorano. Allo stesso modo per cui nel 2024 avevano affrontato la Badlands, stessa distanza, ma dislivello di 16 mila metri. Un po’ avventura, un po’ marketing e in entrambi i casi tanta fatica.
Abbiamo dato loro il tempo per riposarsi e poi gli abbiamo fatto alcune fra le domande che ci erano venute in mente seguendoli nel live tracking della manifestazione. Dopo una settimana abbiamo visto che i loro volti erano nuovamente rilassati e li abbiamo raggiunti con una videochiamata fatta di racconti e risate.






Cosa è stata: una gara o un’avventura?
JAVIER: «Più un’avventura, ma c’è sempre la questione della competizione. Ci sono molte gare di ultra distanza che non hanno un podio e non danno premi, in cui il primo vince come l’ultimo. Across Andes è stata un po’ diversa, nel senso che alla fine c’è stata una cerimonia di premiazione. Premi simbolici, una medaglia, nessun premio in denaro…
JUANIO: «Per completare quello che dice Javi, Across Andes ha una componente competitiva e alla fine per noi, che oltre a essere Javi e Juanjo eravamo in Cile come rappresentanti di un marchio, il fatto che ci fosse la competizione ci ha messo nella condizione di stringere i denti per portare l’immagine di Aurum il più in alto possibile».
Come vi è sembrato il Cile?
JAVIER: « abbiamo visto un po’ Santiago del Cile, ma molto poco perché siamo stati lì solo un giorno quando siamo atterrati. Abbiamo avuto il tempo di fare una passeggiata in città e poi abbiamo guidato fino a Pucón, da dove è partita la gara. Abbiamo fatto 13 ore in aereo, siamo stati mezza giornata a Santiago e poi 10 ore di guida, quindi siamo arrivati un po’ stanchi. Sulla strada per Pucón, non abbiamo visto molto oltre la strada…».
JUANJO: «Che è letteralmente è una linea retta di 800-900 chilometri, non ci sono curve».
JAVIER: «E poi a Pucón abbiamo avuto due, tre giorni prima dell’inizio della gara per conoscere un po’ i dintorni. Abbiamo scattato le prime foto con il vulcano di Villarrica ancora molto innevato e i laghi vicini. Sono posti molto belli, che ci hanno accompagnato per tutta la gara. Abbiamo visto altri vulcani, ma di solito si somigliano tutti. Abbiamo visto tante araucarie, gli alberi caratteristici di quella regione. In un’altra zona, sembrava di essere su Marte, a causa del tipo di montagna che abbiamo attraversato. Siamo passati vicino ad alcune comunità Mapuche, la gente del posto. Era tutto molto diverso da ciò a cui siamo abituati in Europa».
JUANIO: «Santiago, la capitale, è piuttosto sviluppata. Ci sono aree piuttosto avanzare e per contrasto delle periferie un po’ più abbandonate. Perciò quando arrivi a Santiago, trovi tutti quei servizi e ti sembra di essere a casa. Invece sulla strada per Pucón, come ha detto Javi, si vede il vero Cile. Quello che da sud a nord è totalmente allineato con le Ande. e qui i panorami cambiano. All’inizio è tutto molto secco, tutto molto desertico. In effetti, Santiago del Cile è già al confine con il deserto di Atacama e da lì si inizia a entrare nelle Ande più umide e boscose. Quando poi siamo arrivati a Pucon, nella regione dell’Araucanía, abbiamo scoperto un altro tipo di Ande. Molti laghi, molti fiumi, vulcani: ne abbiamo visti 7/8 diversi. Ed è un ambiente che diventa rapidamente familiare perché non cambia molto, ma è comunque molto spettacolare».






Il terreno è simile a quello che si trova in Europa?
JAVIER: «Molto diverso. La gara si è svolta a sud, molto più a sud rispetto agli ultimi due anni. Ed è vero che negli anni passati hanno avuto condizioni meteorologiche peggiori, ma il fondo era più semplice. Nel nostro caso, quello che è stato più difficile è che le piste avevano delle ondulazioni trasversali, che facevano tremare il manubrio, impedendoti di recuperare. Più vai veloce, più la bici trema e trema tutto il materiale e questo lo abbiamo trovato difficile. Abbiamo fatto altre gare su terreno tecnico e pietre, ma qui non era tecnico, era semplicemente difficile da guidare».
JUANJO: «Le strade principali sono ben asfaltate, specialmente a sud. Invece quelle su cui abbiano corso sono strade rurali che uniscono comunità un po’ isolate, come quelle dei Mapuche, che sono i popoli indigeni della zona. E ovviamente sono strade non asfaltate che usano per spostarsi quotidianamente con i camion, i trattori e ogni tipo di veicolo. Tutte quelle ondulazione rendono difficile usare la gravel a una certa velocità. Sei costretto ad aggrapparti al manubrio, quindi finisci per avere dolore ovunque. In Europa o almeno in Spagna, le strade sterrate di solito sono più scorrevoli, laggiù invece eravamo sempre in tensione».
Avete avuto qualche problema con le bici?
JAVIER: «Piccoli problemi, ma a dire il vero li abbiamo risolti abbastanza bene. Nei primi 30 chilometri c’erano alcuni ponti di legno, che al centro hanno delle assi. Juanjo ne ha urtata una, il manubrio si è un po’ girato e la gomma davanti si è sgonfiata. L’abbiamo rigonfiata un paio di volte con il piccolo compressore che avevamo con noi ed è andata a posto. Poi ho avuto un piccolo problema con il supporto GPS, che si è spostato proprio per le vibrazioni, ma l’abbiamo sistemato e poi ha resistito molto bene. Per il resto non abbiamo avuto forature, nessun problema con il cambio, nessun problema con le ruote».
Questa Across Andes è stata un buon test per le Aurum?
JAVIER: «Il migliore, il migliore senza dubbio».
JUANJO: «Completamente, la nostra Manto ha fatto ottimamente il suo lavoro. Inoltre, ci sono stati momenti di forte pendenza in discesa, fino al 20 per cento. Picchiate anche molto lunghe, ma abbiamo comunque tenuto il controllo. C’è stato qualche tratto molto rettilineo, c’erano pochissime curve, quindi la bici prendeva molta velocità e l’impatto contro questo tipo di terreno è stato molto impegnativo. Ci sono stati momenti in cui abbiamo sentito rumori così forti, da pensare di aver rotto una ruota o di averla fatta scoppiare. Invece è rimasto tutto perfetto. Abbiamo avuto anche una buona gestione delle pressioni, grazie al compressore che ci permetteva di modificarle in modo agile e veloce quando eravamo su terreni asfaltati o su strade un po’ più tecniche e complicate».
La Across Andes è una prova unsupported, avete portato tutto con voi. Quanto pesavano le bici?
JAVIER: «Intorno ai quindici chili, quindici e mezzo più o meno. E’ anche vero che mano a mano che la gara andava avanti, la bici pesava meno perché avevamo con noi anche il cibo: gel, barrette e tutto il resto. E alla fine si consuma qualcosa ogni giorno e si ha sempre più spazio nelle borse, che pesano sempre meno».








JUANJO: «Io l’ho pesata qui nella sede di Aurum e senza borracce era a 16 chili, mentre con le borracce piene era vicino ai 17. L’ultimo giorno non avevo quasi più cibo. Avevamo una pianificazione quotidiana su cosa potevamo consumare. Quindi, in base a questo, assumevamo ogni giorno 7-8 gel di carboidrati, 7-8 barrette e poi cibo liquido, cioè polvere da diluire in acqua. Quindi l’ultimo giorno, la borsa del tubo orizzontale non mi serviva più perché era vuota, avendo già consumato tutto quello che conteneva. Così l’ho tolta dalla bici, l’ho piegata stretta e l’ho messa dentro la borsa posteriore. E questo mi ha favorito molto. Mi ha dato più libertà e ha reso la bicicletta più reattiva».
C’erano tappe prestabilite o ci si fermava dove si poteva?
JAVIER: «Potevi fermarti dove potevi. Across Andes è iniziata domenica alle 8 del mattino e per finire avevamo tempo fino alle 17 del venerdì successivo. Hai il tracciato sul GPS, devi passare tre check point per prendere il timbro e poi non hai altri obblighi. Il nostro piano era abbastanza veloce. Il primo giorno abbiamo fatto 13 ore e un quarto, se non sbaglio. Il secondo giorno abbiamo fatto 24 ore di fila, dormendo circa tre ore. Poi abbiamo fatto più o meno 17 ore e ne abbiamo dormite due. Mentre l’ultimo giorno abbiamo fatto 11 ore. In tutto abbiamo dormito circa 8 ore».
JUANJO: «L’organizzazione della Across Andes ti permette di cercare un alloggio lungo il percorso per poterti riposare. In questo caso, gli alloggi tipici della zona sono cabine solitamente ben attrezzate. Hanno un bagno, alcune stanze, un letto dove riposare. Il primo giorno abbiamo dormito al check-point, perché c’era una sorta di sistemazione predisposta dall’organizzazione. Poi ci siamo fissati obiettivi intermedi. Se parti con la mente fissa sugli 800 chilometri che ti aspettano, diventa tutto molto difficile da gestire. Così si va avanti poco a poco fino al traguardo».










Avete incontrato animali particolari?
JAVIER: «Abbiamo visto cani randagi, abbiamo visto conigli, mucche, pecore, molti uccelli molto belli. Animali esotici no».
JUANJO: «C’era un’area, un parco nazionale segnalato da cartelli che dicevano di guidare con cautela perché era l’habitat naturale del puma andino. Oltre a questo, c’era una fauna piuttosto comune. C’era il guanaco, che è simile al lama. L’organizzazione nel briefing precedente alla gara ci ha avvertito che in Cile ci sono molti cani liberi, alcuni da guardia e altri nelle fattorie rurali. Le cose si complicano un po’ di notte, perché improvvisamente vai nel mezzo della notte e senti il cane correre accanto a te e praticamente non lo vedi. Non ti fanno nulla, non abbiamo avuto incidenti, ma solo un grande spavento, perché abbaiano e vogliono farti allontanare».
Le Aurum hanno riscosso successo?
JAVIER: «Succede sempre che la bici richiami l’attenzione, è incredibile l’immagine di cui gode. Molte volte le persone non hanno ancora visto una Aurum di persona, ma solo sui social media o sul sito. Abbiamo un aneddoto di alcuni uruguaiani. Alcuni amici gli avevano chiesto di fare delle foto alle nostre bici, perché non le avevano mai viste dal vivo. Quindi in questo senso è andata molto bene. Per l’occasione abbiamo lanciato un nuovo colore, in onore delle Ande, che sarà messo in vendita a febbraio, ed è stato molto apprezzato».
JUANJO: «A livello strategico, per noi era importante essere in Cile, perché era una grande scommessa di anni fa, all’inizio del brand. Avevamo un buon partner, persino Alberto Contador andò là nel 2022 e fu fatta una grande presentazione. Purtroppo però il rapporto con quel distributore non andò del tutto bene. Quindi per riprendere quella posizione strategica in Sud America e in Cile, era importante che conoscessimo la persona che seguirà il progetto, con una nuova strategia e una nuova struttura. Quindi, in termini di posizionamento del brand, è stato interessante anche per noi essere lì».




E’ stata la gara più dura che avete fatto?
JAVIER: «Molto simile a Badlands che abbiamo fatto anche insieme l’anno scorso, anche se lì ci sono pendenze più difficili. Across Andes è stato più complicata mentalmente per quello che abbiamo raccontato, a causa del terreno più complicato».
JUANIO: «Badlands ha più dislivello della Across Andes, ma qui il tipo di terreno ti impegna in modo diverso. Ed è anche più difficile trovare l’acqua, non ci sono le fontane come sulle Alpi o i Pirenei. Da quelle parti, l’acqua proviene dai fiumi, dai laghi e da ciò che si trova nei piccoli negozi e nelle piccole attività commerciali. Quindi la sfida è stata anche adattarci a quella situazione e imparare strada facendo, perché per noi era una cosa totalmente nuova. Sono piccole cose che aggiungono durezza. Per cui non so se sia stata la più dura, ma di certo c’è andata vicino. La cosa peggiore di tutte però è che dormi pochissimo, quindi il corpo non si riposa mai e si pedala accumulando stanchezza».
Badlands e ora Across Andes, l’idea è di farne una ogni anno?
JAVIER: «Al momento non abbiamo un nuovo obiettivo, vedremo (ride, ndr)».
JUANJO: «Deve anche essere strategico per il brand deve avere senso che andiamo o meno a una gara. Così tutto è allineato e si potrà fare nuovamente. Sono sicuro che qualcosa in futuro verrà fuori».







