| 28 Marzo 2024

Cigala e la sua Patagonia Expedition, la scoperta di un nuovo ciclismo

24 giorni, 2.461 km, 211h 18min, 31.960 metri dislivello e 58.234 Kcal. Numeri da capogiro portati a termine da Matteo Cigala e la sua compagna Marine Lenehanu. Un viaggio attraverso la Patagonia, fino alla fine del mondo in sella alle loro Guerciotti Escape. Da San Carlos De Bariloche a Punta Arenas, percorrendo tutta la Carretera Austral Chilena (Ruta 7) e attraversando i più bei parchi nazionali Argentini e Cileni, come Torres Del Paine, ottava meraviglia del mondo. Montagne, ghiacciai, laghi, fiordi, deserto, mare, vulcani e colline. La scoperta di un nuovo ciclismo fatto di esperienze lontane dall’ossessione della performance. 

Perchè hai deciso di intraprendere questo viaggio?

Ho sempre sognato di andare in Patagonia perché mi piace molto la natura. Come destinazione mi ha sempre attirato perché è molto lontana da noi.

E’ stato il tuo primo bikepacking?

Sì e spero non sia l’ultimo. Il mio problema sono le competizioni, siccome faccio ancora gare amatoriali, vivendo in Irlanda e gareggiando in giro per l’Europa, l’attività copre tutto l’anno. Il resto del tempo mi divido tra il mio lavoro, che consiste nell’organizzare tour di ciclismo, la preparazione e il negozio online (Cigalacycling, ndr) dove vediamo prodotti per il ciclismo. I mesi in cui sono più libero sono novembre, dicembre, gennaio.

Come avete pianificato il viaggio?

La prima cosa che abbiamo considerato è che non potevamo stare in tenda o comunque nei vari campeggi, per il semplice motivo del lavoro. Ovvero ogni pomeriggio o sera quando si finiva la pedalata mi serviva l’accesso a internet o comunque l’elettricità perchè dovevo portare avanti i miei progetti da remoto. Volevamo arrivare fino alla fine del mondo a Punta Arenas, facendo tutta la Carretera Austral Chilena e visitando i parchi nazionali, famosi per il trekking come Torres del Paine. Abbiamo combinato questi due requisiti e abbiamo creato il viaggio in base ai giorni a disposizione. Non è stato facile, perché chi fa la tratta che abbiamo percorso noi, ci mette molto più tempo o se ha una tenda può decidere di fare delle soste dove vuole. Essendo un luogo dove i punti di appoggio sono molto distanti, certe tappe sono state molto lunghe dal punto di vista delle ore in bici e dei chilometri. Per esempio l’ultima tappa della Carretera Austral è stata di 155 chilometri con 2.500 metri di dislivello e una barca da prendere, ma l’abbiamo fatta tranquillamente. Siamo partiti alle 8 del mattino e siamo arrivati alle 15,30.

Un approccio un po’ inusuale per questo tipo di viaggi…

Sì, noi andavamo via molto veloci. Quando eravamo in bici pedalavamo ad un ritmo buono, poi ci fermavamo parecchio perché avevamo tante foto e video da fare. Ogni volta però alzavamo lo sguardo e ci godevamo il paesaggio. Proprio in questi giorni sto montando un corto-documentario che caricherò su YouTube e racconta il viaggio.

Con che bici l’avete fatto?

Io e la mia ragazza abbiamo deciso di fare questa esperienza con le gravel. Abbiamo scelto la Guerciotti Escape, una bici molto performante. Un modello su cui ci sentiamo particolarmente a nostro agio, perché con esso ho vinto il campionato italiano e ho fatto secondo al mondiale amatori. Lei invece ha vinto il campionato europeo amatori e gravel ed è vice campionessa del mondo amatori. Un viaggio del genere con questa attrezzatura eravamo certi di riuscire a farlo in modo sicuro e veloce. Abbiamo percorso molti chilometri in poco tempo. C’era gente che faceva lo stesso tipo di tour in tre o quattro volte il nostro tempo. 

Guerciotti ti ha sostenuto in questo viaggio?

Io sono un ambassador del marchio e Alessandro (Guerciotti, ndr) mi fornisce 3 bici l’anno, di cui due da strada. Una è sempre in Irlanda e l’altra sempre in Italia e questo mi agevola per i voli. Infine c’è la gravel, con cui faccio il calendario dedicato nei mesi di agosto, settembre e ottobre. Lui mi sostiene e quando gli ho detto del viaggio ovviamente è stato contentissimo. Dopo il campionato italiano e per la Patagonia, mi ha fornito la Escape con i particolari tricolore. 

Che panorami avete incontrato durante l’itinerario?

Quando abbiamo iniziato non avevamo proprio idea di cosa aspettarci. Questa è stata la sorpresa più bella, ogni tappa aveva un panorama diverso, mai uguale e sempre unico. Da quando abbiamo iniziato a San Carlos de Bariloche, a Nord della Patagonia, a quando siamo arrivati a sud a Punta Arenas, abbiamo visto dei paesaggi totalmente diversi da togliere ogni volta il fiato. I più belli sono sicuramente i due parchi nazionali, uno è El Chalten e l’altro è il Torres del Pines. Lì abbiamo parcheggiato la bici in hotel e abbiamo passato tre giorni a camminare. Poi ci sono stati i vulcani come Osorno, Puerto Montt bellissimo, ma anche tutta la Carrettera Austral con i colori tropicali. E ancora, i fiordi i laghi e la natura nella sua interezza fino al deserto degli ultimi giorni. Puerto Bernard con i suoi colori è stato il mio giorno preferito. 

Avete incontrato difficoltà particolari durante i 24 giorni?

Devo dire di no. La maggior parte del percorso è stata su asfalto, che si alterna con un po’ di sterrato. Con i nostri copertoni da 40 mm si andava via benissimo. Si poteva fare tranquillamente anche con un 35 mm, però avendo le borse, il 40 è la scelta ideale. Essendo allenati non abbiamo trovato difficoltà dal punto di vista altimetrico. Le salite sono morbide, nulla di paragonabile alla difficoltà di un passo dolomitico. I primi giorni ci sono le Ande da superare, ma niente di proibitivo. E’ vero che non c’è mai pianura a parte agli ultimi giorni nel deserto, ma è tutto molto pedalabile. Dal punto di vista meccanico invece non abbiamo avuto nessun problema. Le temperature sono agevoli, ci sono parecchi sbalzi ma, se attrezzati bene, si è pronti a tutto. Ovviamente là era estate.

Come vi siete organizzati pranzi e cene?

Entrambi mangiamo solo pesce per stare un po’ più leggeri, per le gare, per la digestione. Per necessità avremmo mangiato carne, anche perchè lì gli allevamenti sono tutti naturali. Però devo dire che contro ogni aspettativa abbiamo sempre trovato cibo spettacolare in tutti i posti. Il pesce era buonissimo, non abbiamo mai avuto problemi a cena. Per il pranzo, tutte le mattine, dovevamo fare la scorta e prepararlo, perché non c’erano tanti minimarket sulla strada. Magari in una giornata di tour di 120 chilometri passavi in un piccolo paese e sapevi che c’era un negozio, quindi ti facevi un po’ di scorta. Io ho messo su peso in Patagonia, mi sono un po’ lasciato andare in alcune situazioni, ma è normale in quei contesti, tra biscotti e patatine fritte o birre che normalmente in Irlanda non mangio o bevo quasi mai. Gli unici problemi li abbiamo avuti la sera prima di Natale, era tutto chiuso, quindi non siamo riusciti a mangiare in un ristorante, abbiamo mangiato cibi da minimarket tipo noodle scaldati. 

Com’è stato trascorrere le Feste dall’altra parte del mondo in quelle condizioni?

Bellissimo. Qualcosa di diverso. Credo sia stato il primo capodanno in cui sono andato a letto prima della mezzanotte. Ma siamo stati talmente bene che lo rifare domani. 

Cosa ti ha regalato questo viaggio fino alla fine del mondo?

Io corro da quando ho 5 anni, ora ne ho 30 quindi sono 25 anni che faccio competizioni. La bici l’ho sempre vissuta a livello di performance, vivere la settimana per arrivare al weekend e gareggiare. Ovviamente fare un viaggio così mi ha fatto scoprire un ciclismo diverso, affascinante. Sono sicuro che sarà il primo di tanti viaggi. 

TUTTE LE CATEGORIE DEL MAGAZINE