COPENHAGEN (Danimarca) – C’è un concetto, alla base della vita a Copenhagen come in qualsiasi altro centro abitato danese: la città deve essere costruita in base alle persone. Può sembrare un concetto banale, scontato, ma non è così. Fa parte della stessa cultura del popolo danese, legata strettamente a una parola: “hygge”. Se andate a cercare sul dizionario (o più probabilmente su Google…) vi dirà che la traduzione è “godere”, ma il concetto è più complesso e allo stesso tempo semplice: fare della propria quotidianità qualcosa che vale sempre la pena di vivere con chi si ama.


Il principio vitale dell'”hygge”
E’ la ricerca della felicità quotidiana, che dà un senso di appagamento a lungo termine. Lo cogli in ogni momento: camminando per le sue strade, fermandoti a un bar, ammirando i suoi tanti monumenti, anche vivendo qualche serata spensierata a ritmo di musica. Molti si sono chiesti che cosa ci fosse alla base di questo stato, soprattutto dopo che un sondaggio dell’Unione Europea premia i danesi come i cittadini più felici del mondo. E una risposta forse la si trova tornando indietro nel tempo.
Uno dei padri di questa filosofia è un architetto, Jan Gehl che ha impostato la sua attività su una concezione completamente diversa: le città vanno costruite sulle persone, non sulle auto. Il che significa che bisogna dare alla gente un nuovo ritmo di vita. Per fare questo, Gehl si è ispirato a due concetti: innanzitutto studiare il funzionamento vero e proprio delle persone, i loro bisogni, soprattutto i loro tempi.
Poi regalare loro una struttura urbanistica più vivibile, impostata sui tempi delle due ruote. Il che non significa che i tempi si allungano rispetto all’uso dell’auto, anche perché a ben guardare anche Copenhagen ha i suoi problemi di traffico nelle ore di punta. Ed è proprio lì che le bici diventano strumenti fondamentali…


Una città da vivere ad altezza occhi…
Ma andiamo avanti col racconto del perché Gehl aveva impostato i suoi studi su un piano rivoluzionario. Invece di guardare in alto, di cogitare grattacieli e skyline, l’architetto voleva guardare la città ad altezza d’uomo. Pensare a quel che avviene a terra, non in cielo. «La vita avviene tra gli edifici, a quella dobbiamo pensare, quindi gli stessi edifici, tutto quel che c’è tra loro deve essere funzionale». Per questo l’architetto oggi ottantanovenne ha iniziato a ridisegnare interi quartieri.
Girando per la città il suo influsso è ancora fortissimo perché è impossibile non accorgersi che la struttura della Capitale, disegnata attraverso i suoi castelli incastonati nel tessuto urbano, è basata sul camminare e il pedalare. Un esempio? La piazza di Kongens Nytorv è come il centro di un ampio disegno geometrico, dal quale, a piedi o ancor meglio in bici, si possono raggiungere pressoché tutti i principali punti turistici della città, dagli stessi castelli residenziali della Corona alla Sirenetta, dai musei al famoso Tivoli, giardino di divertimenti famoso nel mondo.


I frutti del sistema “district healing”
E’ la dimostrazione che l’idea di Gehl funzionava, ma andava anche adeguata allo scorrere del tempo. Copenhagen riserva sorprese clamorose a ogni angolo: trovi ponti che si aprono e chiudono per il passaggio di navi ma che hanno anche forme non convenzionali, come quello a cerchi consecutivi. Trovi anche piste ciclabili che d’inverno (a Copenhagen l’inverno spesso regala copiose nevicate) rimangono completamente praticabili grazie a un sistema di riscaldamento che scioglie neve e ghiaccio. Un principio che rientra nel sistema “district healing” teso ad azzerare le emissioni inquinanti. D’altro canto parliamo di una città dove il 62 per cento della popolazione utilizza l’auto per viaggi lunghi (sempre che ce l’abbia…), altrimenti la tiene ferma e va al lavoro in bicicletta.
Questo significa che i parcheggi per auto lungo le strade sono davvero pochi (si utilizzano soprattutto garage e parcheggi pubblici invero piuttosto cari, anche oltre il cambio che non è molto favorevole per l’Euro) e magari si spende qualcosa in più per il confort su due ruote, ad esempio bici elettriche con manopole riscaldate, che sono considerate vere e proprie chicche non facilmente trovabili se si noleggiano.


Dove la bici diventa un mezzo sicuro…
Quel che è evidente è che, girando per la città in bici, ci si accorge subito che è il mezzo più divertente, sicuro (sembra impossibile conoscendo la nostra realtà, ma in Danimarca è così), conveniente e soprattutto veloce, molto veloce, risparmiando spazi della giornata che si potranno dedicare ad altro.
Anche grazie a un complicato sistema di “onde verdi” che per i danesi è diventato fondamentale nella circolazione in bici come in auto: adottando una velocità di base sarà possibile praticamente evitare di fermarsi agli incroci, grazie alle luci che segnalano preventivamente sul mezzo se si troverà il rosso o il verde.


L’importanza della luce del sole
«Io non parlo di trasporto, non parlo di assetto urbano, ma di salute pubblica – raccontava Gehl qualche anno fa – sostituendo le ore che nell’anno passiamo stando seduti in auto con quelle sui pedali, andiamo ad aiutare la nostra salute e se ne giova tutto il sistema sanitario. Anche la luce del sole deve dare il suo contributo e quindi dobbiamo pensare a case che abbiano una quantità minima di luce naturale». Non è un concetto astratto, a Copenhagen sono state promulgate leggi dedicate proprio alla luce diurna facendo una proporzione diretta fra luce e buonumore.
Una volta, durante una delle tante premiazioni che ha ricevuto, a Gehl dissero che aveva reso la felicità un requisito urbanistico. E probabilmente quella constatazione ebbe per lui un valore ben maggiore di quel premio che teneva in mano…







