| 30 Settembre 2024

Sarah Cinquini, mamma volante, ne ha fatta un’altra delle sue…

Sarah Cinquini è un’ultracycler milanese che vive nelle Marche e questa estate ha preso parte alla NorthCape-Tarifa, la più lunga gara europea che congiunge i due estremi del Continente. Da Capo Nord alla punta meridionale della Spagna sono infatti ben 7.370 km. Ve ne abbiamo raccontato con Stefano Pellegrini, ma ci interessava anche la versione femminile della storia.

Al di là dell’aspetto agonistico (che l’ha comunque vista concludere con un eccellente quinto posto assoluto), l’abbiamo contattata per sapere di più di questa #mammavolante. Questo è infatti l’hashtag che la contraddistingue su Instagram.

Questa volta Capo Nord è stato il punto di partenza di una grande avventura
Questa volta Capo Nord è stato il punto di partenza di una grande avventura
Sarah, come si diventa un’ultracyclist?

Mi sono avvicinata allo sport dopo la quarta gravidanza, ma dopo un infortunio al ginocchio nella corsa ho provato col ciclismo. Partecipando alle Granfondo ho scoperto in me il lato della competizione che non conoscevo. Tuttavia era un ambiente molto aggressivo e la cosa non mi piaceva. In più non ero soddisfatta dei miei risultati.

Come mai?

Essendo molto alta, ho più un’attitudine da passista, quindi nelle salite, per quanto mi piacessero, non ero troppo competitiva. Poi ho fatto il mio primo cicloviaggio in Belgio e Olanda, mi sono avvicinata all’ultraciclismo e mi sono innamorata alle lunghe distanze.

Come si prepara una prova così impegnativa come la NorthCape-Tarifa?

Ognuno ha i suoi metodi, io mi sono avvalsa di un preparatore atletico. E quindi ho sempre fatto allenamenti quotidiani da un minimo di 9 ore in bici fino ad un picco massimo anche di 20 ore quando sono in stagione. E poi una parte a secco in palestra. Ovviamente c’è stato un avvicinamento progressivo al chilometraggio ed ai giorni di gara: dapprima 5, poi 8, 9 fino a questa di 29 giorni.

In questo genere di prove ti sei avvalsa anche della figura di un mental coach?

No, anche qui sono scelte. I miei mental coach più grandi sono stati la mia famiglia. In particolare le mie figlie più grandi Veronica ed Ester, un mio compagno di team e la fidanzata di mio figlio che ha studiato psicologia. Sostanzialmente loro non mi hanno mai abbandonato, sapevano sempre ad ogni ora del giorno dove mi trovassi. E mi davano una mano nel reperire le strutture dove fermarmi.

Hai avuto bisogno di momenti di supporto?

Ho avuto alcune cadute, ma diciamo che non ho avuto grosse crisi, quindi non ho mai avuto dubbi sul fatto di non finire la gara. Quello che mi ripetevo costantemente ogni giorno come un mantra era: «Sempre più a sud». Quindi non ho mai visualizzato la gara per intero. Ecco, diciamo che un vero e proprio mental coach non l’ho avuto, però avevo loro e sapevo che non potevi deluderli. 

E’ stato questo rapporto a distanza a motivarti fini alla fine, dunque?

Sì, questo gioco che avevo appunto col mio team di scegliere dove mi sarei fermata la sera e poi arrivarci è stato decisivo. In più ci sono state due associazioni che mi hanno supportato e sopportato. Quella delle Pari Opportunità della Regione Marche e l’associazione Soroptimist che è attiva nella parità di genere nello sport. Con quest’ultima ci siamo trovate perché avevano un progetto in cui festeggiavano la figura di Alfonsina Strada, l’unica donna ad aver preso parte, nel 1924, al Giro d’Italia. Tanto che quest’anno, per il centenario, Soroptimist ha coniato un francobollo apposito con cui ho spedito loro tre cartoline. Una alla partenza da Capo Nord, una al mio passaggio ad Aosta e una all’arrivo a Tarifa.

Quella di Alfonsina Strada è una figura che ti ha aiutato nell’impresa?

S’ leggendo il libro di Silvia Gottardi, c’è un aneddoto in cui in una tappa del Meridione cade e rompe la piega manubrio. Allora un’anziana signora le dà un manico di scopa per ripararlo e tenere su i freni. Anche io quando sono caduta in Francia avevo rotto la piega e avevo deciso di non fermarmi per non perdere tempo. L’analogia con questa meravigliosa donna mi ha dato tanta energia per essere positiva ogni giorno.

Parlaci della NorthCape-Tarifa. Hai detto che hai pernottato in struttura?

Sì, mi sentivo più sicura ed ho sempre dormito almeno sette ore. C’è stato un momento in cui poteva essere in ballo la terza posizione, ma sono contenta di questa scelta… non estrema.

Sul percorso c’erano dei check point. Avevate solo quelli come riferimento oppure una traccia completa?

In questo caso l’organizzazione ha fornito una traccia completa. Anzi, ogni volta che lasciavi la traccia per andare in hotel, poi dovevi riprenderla dallo stesso punto.

Dalla Scandinavia alla Penisola Iberica quali sono stati i momenti o gli incontri più memorabili?

Tanti! L’ascesa al Pico de Veleta (la più alta strada ciclabile d’Europa a 3.400 metri di quota, ndr), con gli ultimi 3 chilometri fatti con la bici in spalla. I cinquanta gradi di un tratto sterrato in Spagna. Gli “angeli della strada” che mi hanno aiutato quando ho forato e non avevo più camere d’aria. Lynn Salvo, ultracycler americana di 75 anni che ha concluso pochi giorni fa il percorso entrando nel Guinness dei Record come la più anziana ciclista a percorrere tutta l’Europa. Anche lei, come Alfonsina Strada, è stata una sorta di madrina che ho portato nel cuore 

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