| 11 Settembre 2024

La North Cape-Tarifa di Stefano Pellegrini, un piano ben riuscito

Qualche tempo fa avevamo raggiunto l’ultracyclist Stefano Pellegrini mentre era impegnato nella North Cape-Tarifa, una gara di 7.370 km dal punto più settentrionale a quello più meridionale d’Europa. Nel frattempo Stefano ha concluso quell’avventura, arrivando a Tarifa alle 14,30 del 28 luglio dopo 38 giorni, 14 ore e 30 minuti in sella (in apertura, il punto di arrivo a Tarifa). L’abbiamo raggiunto per farci raccontare com’è andata e quali saranno i suoi progetti futuri.

La Capo Nord-Tarifa misura 7.370 km, percorsi da Pellegrini in 38 giorni, 14 ore e 30 minuti
La Capo Nord-Tarifa misura 7.370 km, percorsi da Pellegrini in 38 giorni, 14 ore e 30 minuti
Stefano, alla fine ce l’hai fatta. Com’è andata?

Benissimo, non posso dire altro, nonostante gli inconvenienti della prima parte, ho chiuso la gara in 11ª posizione. Fantastico. Anche se devo dire che gli ultimi giorni sono stati i più duri. Ho affrontato il Pico del Veleta in Spagna con i suoi 3.392 metri di quota. Una salita costante di 40 km, in cui gli ultimi 11 erano di sterrato molto sconnesso. Al punto che nell’ultimo chilometro e mezzo ho dovuto portarmi la bici in spalla a causa delle pietre. Comunque una volta arrivato lassù mi sembrava di essere in cima al mondo, un’emozione indescrivibile.

Da lì in poi è stata tutta in discesa?

Era quello che pensavo, invece la parte difficile del viaggio direi che stava per iniziare. Un po’ per la stanchezza, un po’ per i 46 gradi che c’erano, un po’ per i saliscendi con rampe al 16-17% che ho trovato quasi fino all’arrivo. Però il corpo nonostante la fatica ha retto alla grande. Si è abituato piano piano a quel tipo di sforzo, è entrato in condizione e ogni giorno era come se sapesse di dover fare quei 250 chilometri e li faceva. 

Com’è stato arrivare al traguardo dopo quasi 40 giorni sella, dopo essere partito all’estremo nord dell’Europa?

Indescrivibile, non saprei come altro dire. Anche se me lo sono goduto giusto il tempo di una foto, poi sono dovuto correre a cercare di imbarcare la bici. Avevo l’aereo di ritorno la sera stessa e la borsa per la spedizione non era arrivata in tempo…

E come hai fatto?

Sono andato in un supermercato, ho recuperato dei cartoni e del nastro isolante e ho impacchettato tutto fuori dall’aeroporto, appena in tempo. Ma anche questo fa parte dell’avventura, occorre sapersi adattare ogni momento. Questo mi ha portato a pensare anche ai miei prossimi obiettivi e all’importanza della mente in esperienze simili, che fa il 90% del lavoro.

A proposito di mente, eri seguito da qualcuno?

Sì, ed è stato un aspetto fondamentale. Ogni sera ero in contatto con la dottoressa Manuela Marchetti, la mia mental coach. Con lei abbiamo anche condotto uno studio che si chiama “Mind & body behavior”, per andare a vedere come mente e corpo si comportano in quelle situazioni estreme. E’ grazie a lei e alle altre persone del mio staff, come il mio preparatore, se sono riuscito ad andare oltre i miei limiti.

Nelle tue avventure c’è anche un’ulteriore spinta, quella della raccolta fondi per l’ospedale pediatrico Meyer di Firenze.

Esatto, è un aspetto a cui tengo moltissimo. Io pedalo perché mi piace, perché mi fa scoprire il mondo e vivere emozioni incredibili, ma forse non riuscirei a superare i momenti difficili senza il pensiero di stare facendo qualcosa di buono anche per gli altri. Sono sempre ottimista, cerco di trasformare le difficoltà in opportunità proprio ricordandomi sempre il motivo per cui sono lì. E’ questo che mi ha portato al traguardo anche questa volta. Anche perché quei bambini li capisco molto bene, soffrendo anch’io di una patologia. (Qui il link per contribuire alla raccolta fondi “Pedalando per il sorriso dei bambini”, a sostegno dell’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze, ndr).

Vuoi parlarcene?

Da diverso tempo convivo con una patologia tumorale ed è proprio questo che mi ha spinto a mettermi in gioco. So cosa vuol dire soffrire, non avere certezza del futuro. Quindi ho deciso di partire per loro, per dare anche a loro la possibilità un domani di fare esperienze simili. La vita è una sola, la vita è oggi, dobbiamo valorizzare il tempo e quello che facciamo.

Sappiamo che presto racconterai tutto questo in un libro.

Tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo uscirà una mia autobiografia. Racconterò la mia nascita come atleta, perché faccio quello che faccio, cercando ancora una volta di spronare con il mio piccolo esempio le altre persone.

Oltre al libro hai in programma anche altre grandi avventure?

Certamente, io sono e resto prima di tutto un pedalatore. Il prossimo anno parteciperò alla Coppa del mondo di Ultracycling, un circuito di gare in cui alla fine anno si sommano tutti i punteggi, e il vincitore è il campione del mondo. Poi nel 2026 ho già nel mirino l’Indian Pacific Wheel Race, una corsa che va da una costa all’altra dell’Australia. Lì con l’esperienza che ho maturato andrò a cercare la performance, anche perché ho in serbo un altro progetto.

Sarebbe?

Qualificarmi per la Race Across America, un grande obiettivo. Quest’anno farò tutte le gare necessarie per prendere il via di quella competizione straordinaria. Sono tutte avventure oltre i limiti dell’immaginazione e il mio sogno sarebbe che tutti prima o poi potessero provarle, in un modo o nell’altro. 

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