| 22 Agosto 2024

Viaggio in Armenia, quattro italiani in gravel nel “piccolo Caucaso”

YEREVAN (Armenia) – La scena è la stessa degli ultimi anni: cena in terrazzo in una domenica primaverile, quattro amici che buttano sul tavolo le proposte della ciclovacanza estiva ed una che spunta più delle altre. Stavolta dal cilindro sbuca l’Armenia, piccolo stato dell’Asia Occidentale tra il Mar Nero ed il Mar Caspio.

E così, dal momento dell’acquisto dei voli, buona parte del tempo libero viene impiegato a organizzare e “farsi la gamba” per arrivare preparati all’appuntamento. Tre mesi dopo eccoci con le nostre bici sulla trafficata strada a quattro corsie che dall’aeroporto conduce al centro di Yerevan, la capitale armena. Diligentemente in fila indiana ci seguono Davide, Stefano e Daniele, tutti e tre di un piccolo paese in provincia di Ascoli Piceno: Offida.

MA PRIMA, UN BEL CHECK-UP ALLE BICI

Puntiamo con le nostre gravel al centro della capitale. Non per una visita turistica: quella ce la riserveremo per la fine del nostro anello dopo una decina di giorni. Lì sembra esserci l’unico ciclista titolato a sistemare alcuni problemi rilevati alle nostre bici una volta ritirate all’aeroporto. Quella di Daniele necessita dello spurgo dei freni idraulici, quella di Davide una registrazione alla serie sterzo.

In un cortile polveroso a due passi dalla Hraparak, la piazza principale, c’è una porticina gialla che porta da Your Bike. Qui Arthur, giovane meccanico appassionato, passa buona parte della mattinata a rimetterci in sella. Nel frattempo il suo cane Ares si gode l’aria condizionata nella penombra della piccola ciclofficina. Fuori, infatti, martellano i 35 gradi.

Finalmente possiamo iniziare il viaggio: un anello di circa 600 chilometri da percorrere in 8 tappe, con almeno il 25% di sterrato, stando ai dati di Komoot.

«Questo è il mio numero – ci saluta – se avete problemi chiamatemi. Buon viaggio!».

Il Monte Ararat visto dal monastero di Khor Virap: qui Armenia, là Turchia (depositphotos.com)
Il Monte Ararat visto dal monastero di Khor Virap: qui Armenia, là Turchia (depositphotos.com)

I CLACSON E LA VISTA DEL MONTE ARARAT

Già dall’uscita di Yerevan capiamo che i cani randagi saranno una presenza costante. Per questo ci siamo muniti preventivamente sia di spray al peperoncino (poi in realtà mai usato da nessuno di noi), sia di un dissuasore ad ultrasuoni. Non c’è alcuna cultura ciclistica nel Paese, per cui niente piste ciclabili o corsie preferenziali. Tuttavia nei centri abitati ci sono numerosi dossi che rallentano le auto. Il clacson di saluto di quasi tutti gli automobilisti che ci superano o ci incrociano ci fanno sentire “speciali” ai loro occhi. Tanto che ce li immaginiamo tornare a casa, scendere dalle loro Lada (le vecchie auto retaggio della dominazione sovietica) e raccontare in famiglia di aver visto quattro strani individui colorati su una bici.

E chissà cos’hanno pensato gli invitati ad un matrimonio nella cittadina di Artashat, a sud di Yerevan, quando ci hanno visti arrivare sul sagrato della chiesa, già belli che sudati dopo poche decine di chilometri? Ma ogni fontanella deve essere per noi una preda, compresa quella del giardino della chiesa. Sappiamo infatti che specialmente nei primi due-tre giorni troveremo molto caldo, sfiorando i 40 gradi.

Dopo l’uscita degli sposi ed il classico lancio del riso, lasciamo la scena agli invitati, vestiti sicuramente in maniera più consona rispetto a noi. Riprendiamo verso Sud-Est e alla nostra destra si staglia in lontananza il profilo imponente del Monte Ararat, proprio quello dove, stando alla Bibbia, finì l’Arca di Noè dopo il Diluvio Universale. Con un’altezza di 5.137 metri ed una prominenza di circa 3.600, è la montagna sacra degli Armeni, però oggi si trova in territorio turco per appena una trentina di chilometri.

L’ANTICO MONASTERO DI KHOR VIRAP

Quanto dolore deve fare vedere la propria montagna lì davanti e sapere che è in un altro Stato che ha chiuso le frontiere col tuo Paese? Questa domanda ce la poniamo dalla balconata del monastero di Khor Virap, tipicamente raffigurato sulle cartoline con la cima dell’Ararat innevata sullo sfondo. Risale al 1600, ma al suo interno custodisce la Cappella di San Giorgio, cui si accede tramite un cunicolo strettissimo, anteriore di altri mille anni.

La prima tappa è la più breve e la concludiamo nel piccolo villaggio di Aygavan, fatto di strade polverose e piccole case. Una comoda soluzione logistica per il nostro viaggio in Armenia è quella di pernottare nelle guest houses. Le famiglie mettono a disposizione delle stanze e preparano ricche cene e colazioni per pochi dram (la moneta locale). Boris, un chirurgo giramondo in pensione, ci serve sotto al suo pergolato di vite delle pietanze di farro, carne, salse varie e verdure del suo orto. Il tutto sotto lo sguardo vigile di Hector, il suo dobermann che sulle prime ci aveva un po’ intimorito. Basta solo non alzarsi di scatto da tavola mentre dorme…

Daniele ha fatto una deroga al manuale del perfetto viaggiatore in bikepacking. D’accordo limitare al minimo i bagagli, ma ha caricato sopra la borsa posteriore un ukulele, una sorta di piccola chitarra. Con esso abbiamo strimpellato non appena saputo che Boris è un fan di Adriano Celentano e Toto Cutugno e anche questa sarà una costante del viaggio…

Acqua fresca e albicocche

La mattina successiva si inizia a fare sul serio. Sia oggi che domani abbiamo davanti due salite sotto il sole, entrambe di circa 10 chilometri al 6 per cento ed entrambe precedute da un lungo falsopiano. Ma andiamo con ordine…

Sulla salita che porta al villaggio di Lusashogh (foto di apertura) ci intrufoliamo in una casa di contadini. Facendoci capire a gesti, riusciamo a farci nuovamente riempire le borracce. Le signore sono più restie a farsi la foto di gruppo ma alla fine, divertite, acconsentono. L’anziano capofamiglia ci fa cenno di seguirlo lungo la strada. A passo lento, ci porta nel suo orto dove prima ci apre un tubo dell’irrigazione per rinfrescarci, quindi ci indica di prendere dall’albero tutte le albicocche che vogliamo. Davide fa cenno di offrire qualche dram per ricompensa, ma appena estrae il portafogli il contadino lo blocca quasi offeso. Ripartiamo e raggiungiamo il valico a quasi 2.000 metri.

ARENI, DOVE FU “INVENTATO” IL VINO

Sulla discesa verso Areni veniamo superati da alcuni mezzi militari in colonna. La cosa ci ricorda che l’Armenia è un Paese in guerra con il vicino Azerbaijan. Non solo per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, ma anche perché ci sono continui screzi lungo il confine. Noi ce ne stiamo alla larga, ma non possiamo evitare di passare a pochi chilometri dall’exclave azera del Naxçıvan per entrare nella regione del Vayots Dzor e planare quindi su Areni.

Oltre che per il vicino monastero di Noravank, quest’area è conosciuta per essere la “capitale” del vino. In alcune grotte poco distanti da qui, gli archeologi hanno trovato le… cantine più antiche del mondo. Anfore (karas), alcuni semi e gambi d’uva che hanno fatto datare l’uso del vino a ben 6.000 anni fa. Tanto che nella fresca Areni Wine Factory ci concediamo una degustazione. E la gentile Arminia, in perfetto inglese, ci omaggia anche di una visita guidata alla loro cantina, dove oltre alle botti ci sono anche dei vini conservati in anfora.

Il viaggio in Armenia è appena cominciato. Nella prossima puntata vi racconteremo di verdi altipiani, caravanserragli e antichi monasteri. Siamo solo all’inizio!

Viaggio in Armenia, prima parte

Dalla capitale Yerevan ad Areni. 126,1 chilometri con 1.572 metri di dislivello positivo. Altitudine minima 872 metri, massima 2.025.

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