| 11 Febbraio 2024

Pedalare nelle Fiandre: Martinelli ci fa da guida

E’ il sogno di tutti noi appassionati di ciclismo o almeno della maggior parte. Una pedalata sui muri delle Fiandre, immergendosi in un mondo dove la bici è la padrona di casa (foto Too Soon Too Late in apertura). Non serve avere lo spirito competitivo, ma la voglia di fare qualcosa di unico. Pedalare su queste strade è anche un modo per scoprire un territorio, un paesaggio diverso. E se è vero che la bici è un viaggio allora serve avere il mezzo adatto, per goderne appieno

E’ bene avere anche dei pratici consigli, su come inoltrarsi in questa terra di ciclismo. Noi li abbiamo chiesti a Davide Martinelli, che di recente ha pedalato su queste strade, lontano dalle corse, scoprendole con un occhio nuovo. Il bresciano aveva appena chiuso la sua carriera da professionista e si è accomiatato dal ciclismo agonistico con un giro sulle strade delle Fiandre

«Quello che più mi ha colpito – racconta Martinelli – è il paesaggio, la sua semplicità è allo stesso tempo unica e davvero bella. La cornice di questa pedalata è rurale, sei sempre circondato dalla natura: campi, alberi, animali… E’ calmissimo, non c’è traffico, le strade sono strette ma sempre libere. Se amate pedalare lì ne potrete godere al 100 per cento. La cosa che si nota subito è la totale assenza di pianura. Uno pensa che le Fiandre siano piatte, non è vero. La strada o sale o scende, una piccola pendenza c’è sempre».

Il muro più iconico è quello di Geraardsbergen con la cappella votiva in cima (foto Too Soon Too Late)
Il muro più iconico è quello di Geraardsbergen con la cappella votiva in cima (foto Too Soon Too Late)
E poi ti trovi davanti quei famosi muri…

Abbassando i ritmi, in solitudine, riesci a renderti conto delle varie pendenze. I Muri non li aggredisci, ma te li godi metro dopo metro. Il Koppenberg è il tratto che più impressiona, a mio modo di vedere. Arrivi all’inizio, giri a destra e hai letteralmente un muro. La strada si inerpica sotto gli alberi e va su piano piano. E’ corto, saranno 400 metri, ma è davvero il più duro di tutti. Le pendenze arrivano anche al 20 per cento.

Come si pedala su quelle pietre?

Il consiglio che mi sento di dare è quello di non aggredirle, non porta a nulla di buono. Si deve tenere un ritmo costante dall’inizio alla fine, tanto la fatica prima o poi arriva. Meglio partire con due chilometri orari in meno che trovarsi piantati a metà. A quelle pendenze non si riparte più. 

Koppenberg, pendenze da capogiro e una “galleria verde” tra foglie e rami (foto Too Soon Too Late)
Koppenberg, pendenze da capogiro e una “galleria verde” tra foglie e rami (foto Too Soon Too Late)
A livello tecnico la bici come si prepara?

Per avere una pedalata rotonda e piena, cosa fondamentale, serve avere un paio di denti in più. Serve agilità ma non troppa, altrimenti il rischio è quello di saltellare e non si va avanti. Chi è abituato a pedalare può scegliere come rapporti un 40 davanti e un 30 dietro. Se si è dei neofiti meglio alleggerire ancora con un 36 nella corona anteriore e un 34 al posteriore. 

Insomma la gamba va “salvata”…

Assolutamente, anche se il vostro focus non è la prestazione serve alleggerire. I momenti più difficili sono alla fine dei muri, quando nella vostra testa la strada spiana, ma vi assicuro che non è così. Proprio alla fine del Koppenberg ci sono altri 200 metri in asfalto dove si sale ancora. 

Quasi meglio, per partire, scegliere un rapporto unico per affrontare tutto il muro. 

Sì, senza dubbio. Se si deve cambiare meglio farlo per indurire che per alleggerire. Sembra paradossale, ma se la catena la spingiamo verso il basso il rischio è che cada a causa delle vibrazioni. Se, al contrario, la facciamo salire verso l’alto, rimane più “composta”. 

Altri consigli tecnici?

A livello di ruote meglio rimanere su un profilo di altezza media: tra i 35 e i 42 millimetri. Per gli pneumatici direi di optare per dei tubeless da 30 millimetri con pressioni tra le 4,5 e le 5 atmosfere. E infine c’è il fattore dolore alle mani. Per quello non ci sono soluzioni, si mettono i guantini, ma dopo un po’ non servono a molto (dice con una risata, ndr).

Ecco la fine del Paterberg, anche qui le pendenze sono da capogiro (foto Kramon)
Ecco la fine del Paterberg, anche qui le pendenze sono da capogiro (foto Kramon)
Poi c’è il vento…

Quello dà davvero fastidio. Sali fino in cima ad un muro, pensi di rifiatare e ti trovi controvento. Fai una fatica immane a riprendere velocità. Serve sapersi gestire, sempre, anche a livello di alimentazione.

Spiegaci.

Pedalare sulle pietre porta a consumare tantissimo. La strada sale e scende, difficile trovare un passo continuo per tanto tempo. Anzi, si sommano sforzi brevi, da 2, 3 o 4 minuti l’uno. Pedalare nelle Fiandre è un’esperienza unica, ma serve essere pronti. Spero di esservi stato utile!

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