Raccontando la sua crescente passione per la bici, l’attivista milanese Angelo Barney aveva sottolineato come questo amore fosse sbocciato, improvviso e travolgente, pedalando lungo la Ciclovia dei Borboni. Considerando che non stiamo parlando di un percorso tra i più premiati, ma sicuramente di un tracciato molto conosciuto nel corso degli anni, la cui popolarità vive quasi del passaparola, la curiosità è andata crescendo, tramutatasi nella ricerca di chi questo percorso l’ha affrontato e vissuto sulla propria pelle.
L’arteria del Regno delle Due Sicilie
Fra i tanti, spicca la figura di Filippo Sereno. Certamente non una persona comune. Per la gran parte dell’anno lavora sulle piattaforme petrolifere e quando può (e la famiglia gli dà il benestare…) si avventura nelle sue scorribande in giro per l’Italia e non solo abbinando la sua passione ciclistica a quella culinaria, tanto che ha un seguitissimo canale Youtube e un gruppo Facebook dove ha raccontato le sue esperienze, tra cui quella sulla Ciclovia che unisce la sua Napoli a Bari.
«La forza di questo percorso – racconta – nasce soprattutto dalla sua storia perché era il tracciato che congiungeva le due città nel periodo del Regno delle Due Sicilie e della dominazione borbonica. Poi la Fiab nel 2010 lo ha rilanciato attraverso il decennale della sua Bicistaffetta e da allora è molto apprezzato in ambito cicloturistico. Va detto però che non è un percorso per tutti: serve una certa esperienza e soprattutto tanta attenzione: il suo sviluppo principale prevede un quarto del suo percorso su strade ad alta percorrenza.
Un percorso alternativo (e più sicuro)
«Il suo sviluppo base è di 340 chilometri ma io ne ho fatti 280 perché la Ciclovia non ha un percorso fisso, si possono cercare anche scorciatoie e tratti a bassa percorrenza. Io ho cercato di seguire il più fedelmente possibile l’antico sviluppo, quello delle carovane che viaggiavano due secoli fa quando certamente non c’erano autostrade e una simile diffusione di autoveicoli».
La partenza del percorso è da Napoli, considerando Piazza del Plebiscito come luogo di start: «Io ad esempio ho scelto di evitare la parte verso Pomigliano d’Arco e Avellino, molto trafficata e anche altimetricamente mossa per dirigermi subito verso Salerno e da andando per Battipaglia ed Eboli versi gli Appennini, toccando il punto più alto a Calitri.
Un’oasi di grande umanità
«Da lì sono passato per la zona industriale di Melfi, dove sono stato costretto a fermarmi un giorno e mezzo a causa del maltempo, tanto che è caduta anche la neve e non era certo periodo stagionale… La cosa che mi ha colpito di più in quel territorio è come tutto giri davvero intorno agli stabilimenti della vecchia Fiat: ogni punto di ristoro, di logistica, tutto è costruito intorno alla fabbrica».
Nel suo racconto, Filippo sottolinea però anche un altro aspetto: «Non è un percorso normalmente battuto dal turismo, ma questo consente di conoscere l’umanità vera delle persone. Si passa per zone rurali dove tutto è votato all’agricoltura. Gente che non è abituata a vedere i classici “forestieri”. Un giorno mi sono trovato senz’acqua e una signora del luogo si è accorta che ero stanco, accaldato, assetato. Mi ha offerto subito da bere, mi ha invitato a casa, mi ha chiesto se avevo bisogno di altro… C’è un modo di rapportarsi al quale sinceramente non siamo più abituati».
Al traguardo con… un panino
Per affrontare il percorso ci vogliono almeno 4 giorni: «Io me la sono presa abbastanza comoda: passando dalla Basilicata sono entrato nel Tavoliere delle Puglie completamente diverso da come lo ricordavo, essendo ora diventato un parco eolico con tanti mulini disseminati lungo il tracciato. Da lì poi sono passato per Corato con sosta d’obbligo al Castello Normanno-Svevo, Patrimonio dell’Unesco (foto di apertura, ndr). La sua unicità la si comprende solamente andandoci, è davvero qualcosa di eccezionale. Infine la picchiata verso Bari, sancendo la conclusione della mia avventura con un bel panino al polpo, la specialità locale…».
Una regola vecchia ma sempre valida
Un viaggio lungo, sempre intenso, ricco di emozioni: «Si dice sempre che è il viaggio stesso lo scopo, ma assicuro che arrivare alla meta è qualcosa di fantastico, a me ha regalato un’emozione indescrivibile. Io l’ho affrontato l’avventura con una Salsa Marrakech, una bici da strada che si può considerare ideale per questo genere di viaggi, considerando che ho affrontato tutte strade secondarie ma asfaltate, ma le varie alternative che sono disponibili prevedono anche tratti sterrati dove la gravel sarebbe ideale. Inoltre io ho preparato tutta la trasferta utilizzando il Garmin Edge 830, quindi affrontando un percorso predefinito che è sempre una soluzione più sicura. Per concentrare poi tutta l’attenzione su quel che si vede seguendo una regola tramandata nel tempo: segui i percorsi di ferrovie e fiumi ed eviterai le salite…».