| 11 Settembre 2024

Un Museo di ciclismo che è tanto altro: l’esempio di Cesiomaggiore

Un museo che è anche un centro motore per l’attività di promozione del ciclismo, soprattutto verso i più piccoli. E’ ormai qualche anno che l’Associazione Isoipse ha dato una decisa svolta all’impostazione della struttura di Cesiomaggiore (BL), aggiungendo valore a un caposaldo dell’immagine delle due ruote in Italia. Perché chi ama questo sport, chi vuole saperne di più anche solo dell’evoluzione della bicicletta nel corso del tempo, non può prescindere da una visita alla struttura.

Per capirne di più bisogna partire dalla sua storia, raccontata attraverso le parole di Valentina De Marchi, una delle dirigenti dell’Associazione che dal 2019 gestisce il Museo Storico della Bicicletta intitolato a Toni Bevilacqua, il popolare “Labron” due volte iridato nell’inseguimento, vincitore della Roubaix nel 1951.

Le responsabili del Museo impegnate in una delle attività per le scuole, sempre seguitissime
Le responsabili del Museo impegnate in una delle attività per le scuole, sempre seguitissime

Si parte da una collezione privata

«Il Museo nasce nel 2011 grazie alla donazione al Comune di Sergio Sanvido, personaggio molto conosciuto da queste parti che voleva che gran parte della sua sterminata collezione legata al ciclismo rimanesse a disposizione di tutti. Cesiomaggiore è un Comune da sempre legato alla bicicletta, basti pensare che molte vie della città sono intitolate ai ciclisti. Sergio aveva un negozio di bici che era anche un museo personale e che era diventato un ritrovo per gli appassionati provenienti anche da molto lontano. Ha fatto in modo che quel patrimonio non andasse disperso».

Il Museo è diviso in sezioni, ognuna delle quali merita tempo e spazio perché attraverso il suo percorso ci si immerge davvero nella storia di questo mezzo: «Una ad esempio è dedicata alle bici dell’infanzia – riprende De Marchi – sono presenti incredibili tricicli dell’Ottocento che sono gioielli di tecnologia a disposizione dei nobili dell’epoca, oppure mezzi con tanti piccoli particolari come gli stoppini per l’appoggio sui muri, la retina per le gomme, le figurine applicate sui parafanghi e altro.

Il celerifero del 1791

«Poi c’è la sezione centrale che attraverso i suoi pezzi racconta la storia della bici attraverso un percorso ricco quanto nessun altro in Italia. Si parte addirittura da un celerifero francese del 1791 (foto di apertura, ndr), che sembra quasi impossibile potesse solo essere utilizzato. Ci sono poi bicicli italiani, inglesi, francesi, americani tutti del secolo successivo e attraverso di loro si racconta l’avvento dei pedali, le ruote grandi, l’invenzione della catena, l’evoluzione di freni e cambi».

Il Museo ha altre sezioni, legate soprattutto all’utilizzo che si faceva del mezzo: quelle da lavoro raccontano le differenze tra il vigile del fuoco inglese, il postino svizzero, il fotografo e tanti altri mestieri dove la bici era quasi un mezzo identificativo dell’occupazione, uno strumento necessario per portarla a termine. Poi le bici militari con modelli Bianchi degli anni Venti che venivano utilizzati dai Bersaglieri. E non possono certamente mancare le bici dei campioni che Sanvido si faceva donare proprio pensando al loro utilizzo futuro, i mezzi usati da Coppi e Bartali (amico fraterno di Sanvido), un modello di Bottecchia, Moser e Saronni fino alla bici con cui Pantani vinse all’Alpe d’Huez.

Attività rivolte alle scuole

E poi le bici da pista (in onore di Bevilacqua), ma anche bici curiose come la Colnago tutta d’oro, senza dimenticare cimeli, accessori, magliette e tanto altro. Visitando il Museo ci si passano davvero ore e sembrano non essere mai sufficienti.

Accanto alla sua normale attività, però, il Museo doveva acquisire una visione più dinamica e qui è intervenuta l’Associazione Isoipse: «Valorizzare le bici non significa solamente esporle, non basta – sottolinea la dirigente – Noi ad esempio abbiamo iniziato a proporre attività didattiche nelle scuole, facendo percorsi tematici ed eventi che hanno richiamato istituti anche dalle altre province venete. La nostra idea era di rendere il Museo qualcosa di vivo, d’interattivo: abbiamo permesso ai bambini di provare alcuni modelli e di impersonare anche protagonisti di momenti storici indossando anche abiti del tempo. Oppure abbiamo creato vere e proprie caccie al tesoro e sfide di orienteering».

La sagoma del Pirata e la sua bici con cui vinse all’Alpe d’Huez nel 1997
La sagoma del Pirata e la sua bici con cui vinse all’Alpe d’Huez nel 1997

Il cellulare? Lo lasciano in tasca…

La risposta delle più giovani generazioni è stata entusiastica: «La cosa che più colpisce, quando i bambini vengono alle nostre attività, è notare come quasi tutti lascino da parte il loro smartphone o tablet, dimenticando anche di fare le foto. L’orienteering ad esempio è un’attività che piace tantissimo ai ragazzi delle scuole medie. Li facciamo correre per le vie di Cesiomaggiore, chiediamo loro di trovare le indicazioni delle vie e scoprire chi erano i personaggi a cui sono intitolate.

«Facciamo anche attività di educazione stradale, facciamo girare i bambini con le loro bici sotto stretto controllo per la città interpretando i segnali e le regole, è un modo per imparare, ma li portiamo anche a vedere il lavoro dei meccanici di bici: come si aggiusta una camera d’aria, come si cambia, come si lavora sul cambio… Per noi la bici è una scelta di vita. L’ultima idea? Il cinema all’aperto, in piazza a Cesiomaggiore, con tutta l’attività di proiezione utilizzando l’energia scaturita da 10 bici: una scelta ambientale che ha riscosso un enorme successo».

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