In pochi giorni Daniel Oss si è trovato a fare il giro del mondo, o quasi. A fine febbraio era a pedalare nel deserto marocchino alla Sahara Gravel, mentre pochi giorno dopo la cornice del quadro è cambiata passando al verde della foresta amazzonica. L’ex professionista è stato protagonista, in Brasile, della prova UCI Gravel World Series. Due mondi così lontani uniti da una disciplina che ha fatto capire quanto sia importante condividere esperienze e momenti che possono risultare davvero unici.
«Todo bein (tutto bene in portoghese, ndr) – risponde scherzoso Oss dall’altra parte della cornetta – sapete, saluti e ringraziamenti sono alla base di tutto per entrare in contatto con una cultura diversa. Ho imparato anche altre parole in portoghese: oi galera che si usa per salutare un gruppo, oi cara sempre un saluto ma più colloquiale. Poi ci sono i soliti termini come obrigado, che vuol dire “grazie” e bom apetit “buon appetito”».
«In arabo ho imparato il classico saluto salamaleku, e anche inshallah e shakram che rispettivamente vogliono dire “vai tranquillo” e “grazie”».
Partiamo dalla Sahara Gravel? Che manifestazione era?
Una gara gravel di quattro tappe che da Ouarzazate, una cittadina a tre ore di distanza da Marrakech, ci ha portato fino ai confini del deserto. Ogni mattina partivamo da quella che la sera precedente era stata la città di arrivo. Si saliva in bici presto e la fine delle tappe era sempre tra mezzogiorno e l’una di pomeriggio.
Come era organizzata?
L’iscrizione alla gara prevedeva tutti i servizi, quindi da questo punto era molto semplice. L’organizzatore ci dava gli hotel nei quali avremmo poi alloggiato tappa dopo tappa. Per il resto c’era uno striscione alla partenza e uno all’arrivo di ogni frazione. Una vera e propria gara a tappe.
Che paesaggi hai attraversato?
Tanto diversi tra loro. Ouarzazate è sulle montagne e famosa per il cinema, tanti film sono stati girati da quelle parti. Anche alcune scene del Gladiatore. L’aggettivo giusto per descrivere il paesaggio è: mozzafiato. Nella sua semplicità è stupendo. Nelle varie tappe si attraversavano zone poco abitate nelle quali capitava di incrociare dei pastori con il loro gregge di pecore e tanti bambini. Andando verso il confine con l’Algeria e avvicinandoci al deserto tutto diventava più arido.
Un cambio drastico?
Non dovete immaginare che da un momento all’altro arriva il deserto, ma è un cambio di paesaggio lento. La vegetazione diventa sempre più rada fino ad avere davanti agli occhi solamente sabbia. All’inizio i percorsi erano per lo più sentieri di montagna, proseguendo verso il deserto ti rendevi conto di essere in Africa.
Hai avuto modo di entrare in contatto con la cultura locale?
Sì e mi ha colpito la loro gentilezza e l’ospitalità. Gli ultimi due giorni abbiamo dormito in un campo tendato dove c’era uno spazio comune per tutti. In un contesto così semplice ma davvero suggestivo abbiamo avuto modo di assaggiare i piatti tipici, di vedere le loro danze e di ascoltare tanti racconti sulla vita che c’è lì. Poi sapete, il cibo fa da collante tra tutti i Paesi e le culture.
Quale piatto ti ha incuriosito di più?
Il tajine. Si tratta di un tegame in terracotta che viene cucinato sul fuoco: alla base c’è il riso, poi viene condito con carne oppure verdure. Sei seduto in cerchio e ti arriva questo piatto rovente con il pane e tu mangi insieme a tutti gli altri. Un’altra cosa che ti colpisce è l’uso delle spezie, non ho mai visto usare così tanto coriandolo. A me è piaciuto parecchio!
Poi hai rifatto le valigie e sei andato in Brasile…
Si trattava di una gara dell’UCI Gravel World Series, è la prima che si tiene in America Latina e Specialized (azienda della quale Oss è ambassador, ndr) ci teneva ad avere tanti atleti. Ci trovavamo a Camboriu, ad appena un’ora da San Paolo, in un clima tropicale con temperature alte e tanta umidità.
Un clima tanto diverso da quello del Marocco?
Lì c’era un clima invernale, al mattino e alla sera la temperatura era intorno ai dieci gradi centigradi. La notte faceva freddo, mentre di giorno il sole scaldava tutto, ma con un clima molto secco. Tanto da non aver mai sudato. In Brasile era il contrario, ci trovavamo in piena estate con tutta la vegetazione in fiore e la gente in maniche corte.
Si è trattato di un evento più istituzionale?
Ho avuto modo di conoscere il movimento gravel locale, che è in grande crescita come lo era da noi tre anni fa. Sono molto curiosi e anche grazie a Specialized abbiamo portato la nostra esperienza con delle conferenze e alcune presentazioni.
Che cultura hai trovato?
In realtà simile a quella che c’è da noi, complice il fatto che ci fossero molti figli di immigrati europei. Una cultura molto più colorata, ma con musica e cibo molto vicini al nostro modo di vivere. Usano molto la tapioca, un tubero dal quale ricavano la farina per fare il pane e altre preparazioni. La cosa di cui sono rimasto molto sorpreso è la lingua, che in certi momenti ha forti cadenze europee, tanto che spesso parlavo italiano. Questa esperienza l’ho vissuta in un contesto maggiormente sportivo, ma tornerò a scoprire altri segreti…