Le città cambiano, si evolvono, mutano e lo fanno rispondendo alle esigenze dei cittadini, i quali cercano modi di vivere sempre più sostenibili, sia in termini di impatto ambientale sia per quanto riguarda uno stile di vita sano e meno caotico. Pedalare è diventato, o sta diventando, un modo per spostarsi sempre più comodo ed efficace. Nel mondo gli esempi non mancano: da Montreal in Canada, passando per New York (in apertura foto Depositphotos.com) e arrivando fino al Nord Europa. Spostarsi in bicicletta risponde alle esigenze di un mondo che cambia e muta, così come fanno le città.
Tuttavia per cambiare servono delle regole e dei piani urbanistici, è importante seguire uno schema e garantire a tutti i giusti spazi. Non si tratta di una guerra di posizione, ma di fornire differenti metodi di spostamento all’interno delle aree urbane.


Confronto
All’interno della BIT 2026, la fiera che si terrà a Milano dal 10 al 12 febbraio prossimi ci sarà un nuovo progetto: un Think Tank dove professionisti ed esperti della mobilità, e non solo, lavoreranno insieme sui grandi temi di attualità e sulle sfide strategiche del futuro. Una delle voci di questo progetto sarà quella di Paolo Verri, direttore della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, e che tra le altre cose si divide su progetti tra Milano e Torino.
«All’interno della fiera di Milano – ci racconta – avremo modo di invitare una serie di soggetti con esperienza nel settore della mobilità urbana, sarà un’occasione per raccontare i tanti progetti e le realtà presenti in ogni parte del mondo. Uno degli esempi che porteremo, e speriamo di averli anche in presenza, sarà quello di Parigi. Questa città ci ha mostrato come si possa intervenire anche su aree urbane molto vaste senza negare nessun altro tipo di mobilità. Non si tratta di escludere, ma includere».
«Inoltre per noi – continua Verri – è importante evidenziare come non debba esistere una distinzione tra cittadini e turisti. Quest’ultimo non è altro che un cittadino temporaneo, il quale vive la città per un minor numero di giorni e sono totalmente partecipi della realtà che si vive all’interno dell’area urbana».


La paura di cambiare
L’Italia sembra andare a un passo più lento rispetto ad altre parti del mondo. Non c’è la voglia, da parte delle amministrazioni, di dettare il passo ma di subirlo, come se la paura guidasse le scelte nel breve e medio periodo.
«In Italia si dovrebbe parlare di paura del giudizio – analizza Paolo Verri – perché si ha paura del giudizio dei cittadini, e nel progettare si guarda al non perdere voti nell’immediato piuttosto che pensare a qualcosa di utile nel futuro. Nelle nostre città dal 2000 ad oggi ci sono state tantissime pedonalizzazioni dei centri abitati, paradossalmente a queste non sono state associate delle forme complementari di mobilità. In particolare per quanto riguarda le due ruote».
«Inoltre – prosegue – non si sono fatti dei progetti di collegamento, oppure questi progetti pedonali sono stati fatti in aree centrali e non periferiche, dove sarebbe stato semplice collegare al centro attraverso progetti di mobilità sostenibile».




Coraggio
Serve una dose generosa di coraggio per dimostrare che il cambiamento è possibile, i cittadini devono avere modo di vivere e spostarsi con mezzi diversi dalle automobili ma per farlo è necessario provare a cambiare la mobilità. Al momento gli interventi fatti non sono sufficienti, in città come Bergamo e Milano la rete ciclabile si limita a strisce bianche dipinte sull’asfalto. Una soluzione che toglie spazio a tutti creando conflitti, per cambiare serve la voglia di farlo davvero.
«Credo veramente – dice ancora Paolo Verri – che esistano in molte città delle aree dove ad ora convivono automobili, biciclette e pedoni, nelle quali si potrebbe cercare una specializzazione. Al posto che togliere parcheggi da una strada per mettere una ciclabile si potrebbe cambiare la viabilità rendendo un’intera via totalmente dedicata alle bici, lasciando una giusta alternanza tra vie dedicate al traffico veicolare e a quello ciclabile. A mio avviso negli ultimi cinque o dieci anni è mancato un po’ di coraggio in tal senso».
«Esistono anche dei modelli differenti – conclude il nostro interlocutore – ad esempio ad Austin, in Texas, dal venerdì alla domenica chiudono la parte centrale della città al traffico. In questo modo invitano i cittadini a sperimentare una mobilità differente, e su una città come Milano potrebbe essere un bel modo per provare a fare qualcosa di diverso».







