Sara Piffer, il giovanissimo talento del Team Mendelspeck è solo l’ultimo tributo che il mondo del ciclismo ha pagato alla folle gestione del traffico in questo Paese, dove la tutela dei ciclisti è solo sulla carta. L’analisi dell’Asaps, Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale, realizzata in collaborazione con Sapidata, è impietosa in questo senso: nel 2024 sono scomparsi 204 ciclisti, insieme a 475 pedoni. Numeri che sottolineano un problema strutturale nella sicurezza stradale italiana. E la situazione non è certamente migliorata nel nuovo anno, contraddistinto dal varo del nuovo Codice Stradale. Il sito dell’Asaps è costantemente aggiornato: dal 1° gennaio ci sono stati già 13 morti, sparsi per tutto il territorio italiano.
Italia, Paese pericoloso per i ciclisti
Il problema è profondo, ancorché sottovalutato e purtroppo, al di là delle sterili condoglianze espresse nell’immediatezza dei fatti, non c’è un’azione decisa verso un cambiamento, come sarebbe necessario e prospettato da chi ama profondamente la cultura ciclistica in ogni sua manifestazione. Numerosi studi dicono che l’Italia è il Paese europeo più pericoloso per chi va in bici, dove la tutela dei ciclisti è poco considerata, soprattutto nel confronto con gli automobilisti, visti (e questo è già un vizio di fondo) come nemici.
Numerosi studi sono stati fatti al riguardo. Prendiamo ad esempio l’incidentalità nelle grandi aree urbane: il tasso di mortalità dei ciclisti è intorno al 2 per cento in metropoli come Vienna, Madrid, Berlino, Parigi, ma si scende all’1 per Oslo, Stoccolma, Berna. E in Italia? Basti pensare che la media è del 6,3 con punte terribili a Catania (9,6), Messina (9,0), Verona (7,7). Roma è al 7,4, Milano al 6,6 per centro. L’unico esempio virtuoso è Genova, allo 0,6 per cento.
Casi drammatici anche all’estero
Come si può ovviare a questo? E’ indubbio che spingere sull’uso della bici è essenziale, anche se può apparire strano, ma sono i numeri stessi a dirlo. Analizzando il flusso nel corso degli anni realizzato dall’Isfort, è evidente che c’è una correlazione tra l’aumento della ciclabilità e la riduzione dell’incidentalità. Che cosa significa? Maggiore è il numero di ciclisti, maggiore è anche la loro sicurezza. La spinta di tante amministrazioni locali a investire sulle piste ciclabili, sulla circolazione alternativa a quella dell’auto è la strada giusta. Non pensando solo alle bici, ma anzi abbinando esse all’andare a piedi, all’uso del trasporto pubblico, al car sharing e così via.
Che cosa succede all’estero? La situazione anche al di fuori dei nostri confini non è così rosea come si potrebbe pensare e già lo si desume leggendo i giornali: hanno fatto scalpore i casi del gruppo di ciclisti tedeschi in allenamento a Maiorca e investiti da un’auto con numerosi feriti gravi oppure quello che ha colpito il ciclismo britannico, con la morte del giovane talento Aidan Worden vittima di una collisione con un’auto nel Lancashire.
Incidenti dei ciclisti, un dato costante
Eurostat, insieme all’Osservatorio per la Sicurezza Stradale in Europa ha reso noti i dati aggiornati al 2023 sulla circolazione stradale, dai quali si evince che un decimo delle vittime d’incidenti sulle strade europee è un ciclista. Il dato che colpisce però è che mentre negli ultimi 10 anni le altre categorie hanno tutte fatto registrare un regresso nel numero di morti, vuoi per progressi nella sicurezza delle auto figli anche degli investimenti e studi effettuati sulle macchine da corsa, vuoi per le politiche stradali, solo quella dei ciclisti rimane stabile, fluttuando tra i 19 e i 21 mila casi.
I dati forniti dall’Istat fanno ancora più male: il numero di casi d’incidente con esito tragico è per i ciclisti quasi il doppio di quelli in auto e ci si fa male oltre il 50 per cento di volte in più. La conferma che si pensa molto alla tutela delle auto, molto poco a quella dei ciclisti ed è questo trend che andrebbe combattuto, dalle associazioni di settore ma soprattutto dalla politica.
Negli Usa? Non stanno messi meglio…
Allargando l’orizzonte, si scopre che nell’ultimo decennio si è registrata una diminuzione dei casi in Paesi dove si è investito davvero sulla tutela dei ciclisti, come Lituania, Polonia, Danimarca, ideale podio virtuoso. L’Occidente invece finisce in blocco dietro la lavagna, con la Francia che fa registrare un terribile aumento del 30 per cento. In tal senso un interessante dato riguarda il numero di incidenti mortali per milione di abitanti: la media europea è di 46, con al primo posto la Svezia con 21. I Paesi più pericolosi in tal senso sono la Romania con 86 e la Bulgaria con 78.
E oltre i confini europei? Negli Usa è stato registrato un aumento del 60 per cento dei morti in bici negli ultimi 10 anni e la Nacto (National Association of City Transport Officials) ha additato gran parte delle responsabilità al mercato dei Suv, notando come ci sia una diretta proporzionalità tra l’aumento dei morti e l’aumento delle vendite. E considerando le nuove politiche americane che hanno rinnegato il “green deal” incrementando gli investimenti sui combustibili fossili, c’è davvero poco da stare allegri.