Tutto parte dall’esperienza di Cycle to Work Scheme. In Gran Bretagna, dove il mercato delle due ruote stava languendo, è stato approntato un sistema d’incentivo all’utilizzo della bici per andare al lavoro. Consiste nella possibilità di acquistare la bici a prezzi superscontati, fino al 42 per cento in meno: il mezzo viene acquisito inizialmente dall’azienda che lo “presta” al dipendente facendoglielo pagare con piccole trattenute sulla busta paga.
La possibilità di avere un mezzo nuovo senza esborso immediato ha influenzato positivamente la popolazione inglese: secondo i dati diffusi dal presidente di Cycle to Work Alliance Steve Edgell (che ha progettato questo sistema), in un anno c’è stato un movimento economico pari a 219 milioni di sterline, ma il dato che colpisce è che il 38 per cento dei ciclisti erano al primo acquisto in assoluto di una bici.


Il meccanismo dello studio del mercato
Sono dati che fanno riflettere e che potrebbero benissimo essere replicati anche da noi. Dopo il boom assoluto negli anni del Covid, qual è la situazione del mercato in Italia? La risposta spetta a Piero Nigrelli, responsabile del settore bici dell’Ancma, l’associazione dei produttori di mezzi a due ruote.
«I dati – spiega – li abbiamo tutti gli anni intorno alla fine di marzo. A fine anno raccolgo un po’ le sensazioni delle aziende, quindi chiedo un po’ di fatturato, sento anche i negozi che sono poi coloro che fanno il sell out. A gennaio diamo mandato a una società di ricerca di mercato di contattare il maggior numero possibile di negozi, ovviamente distribuiti in tutta Italia per avere i dati i loro dati di vendita. Negozi che poi ricompensiamo con un report a loro dedicato che li può agevolare sul marketing territoriale e biglietti omaggio per Eicma. I rispondenti sono sempre un numero fra i 600 e i 700 che su più di 4.000 rivenditori rendono il sondaggio robusto e affidabile, con un margine d’errore del 3 per cento».


Le grandi catene di distribuzione
«A questo si aggiunge il canale di vendita della grande distribuzione, suddivisa fra mass market e specialist, quindi tipo Decathlon, Cisalfa Sport, Trony, Euronics che vendono prevalentemente bici elettriche. Questa lunga premessa – prosegue – per dire che quest’anno i dati sono stati abbastanza stabili, siamo a circa 1,35 milioni di biciclette vendute, con le elettriche che ormai hanno raggiunto circa il 20 per cento del mercato, fatturati naturalmente in crescita se li paragoniamo al pre Covid.
«Siamo in forte diminuzione se guardiamo i picchi del Covid 2020 2021, ma su una linea decennale c’è un trend positivo. Se io avessi dovuto dire quanto valeva il mercato della bici alla vendita 10 anni fa avrei detto un miliardo e mezzo, oggi siamo tranquillamente a 2,3».


Il lavoro diplomatico con il Governo
La soluzione adottata dalla Gran Bretagna è venuta in soccorso di un mercato asfittico. Perché a suo giudizio? «La colpa è di quei picchi post Covid che probabilmente hanno fatto più male che bene, non tanto al mercato quanto alle aziende, che si sono ritrovate in un loop di ordini nell’impossibilità a volte di disdire materiale, disdire ordini. Si sono trovati con uno tsunami di materiali che ancora non sono riusciti totalmente a smaltire. E non è una situazione solo italiana, è generalizzata in livello europeo, che sconta anche la crisi fortissima di Eurobike in cui è stata c’è lo scollamento totale delle aziende tedesche. Eurobike non ha tenuto conto della difficoltà del settore, ha continuato ad aumentare i prezzi invece che diminuirli».
Venendo all’iniziativa inglese, è uno schema che può funzionare anche da noi? «Ne parlavamo al Ministero delle Imprese e del Made in Italy e con il MEF. Ho avuto contatti con Urso, Valentini da una parte, Giorgetti e Leo dall’altra. Sto provando a spiegare i benefici dello schema, i successi, le vendite, l’incremento di fatturato delle aziende, dimostrando come nel breve, medio e lungo periodo, questo schema sia addirittura a costo zero per la fiscalità del Paese. Questo perché con il leasing aziendale, è vero che lo Stato ha un minore introito di fiscalità, inteso come riduzione dell’imponibile lordo del dipendente perché viene utilizzato per comprare la bici, ma è anche vero che intanto questa cosa è spalmata su tre anni e per il primo c’è un gettito IVA in aumento che lo Stato prende subito da tutta la vendita della bici. Poi si aggiungono altri servizi come l’assicurazione e la manutenzione, perché la bici è di proprietà dell’azienda che la compra per il dipendente, entrate che non ci sarebbero nel caso in cui l’acquisto fosse fatto dal dipendente in quanto privato cittadino».


Intanto si procede in autonomia…
Qual è la risposta del mondo politico? «Gli interlocutori dei ministeri sono quantomeno disponibili a ragionarci e a valutare le cose. Questo è un po’ il nostro lavoro che da gennaio ripartirà a spron battuto, nel tentativo di dimostrare questa opportunità. Ho sentito molte aziende che stanno spingendo in questo verso, nel mettere a disposizione propri mezzi per i lavoratori oppure utilizzando il sistema del bike sharing».
Quindi le aziende sono favorevoli? Le aziende produttrici di biciclette verrebbero incontro a un progetto del genere? «Credo che ci siano già delle iniziative e degli operatori economici che si sono messi in azione. Ci sono delle persone che mettono in contatto grandi aziende che comprano delle flotte di biciclette più o meno con sistemi di supporto al credito e queste poi le mettono a disposizione dei dipendenti, i quali decidono di spostarsi in bici. Questo vale anche come buona pratica ambientale, come impegno concreto nella diminuzione delle emissioni di CO2. Si tratta di una sorta di evoluzione del business del mercato che trova terreno fertile».


Lo stretto rapporto fra e-bike e salute
In questo quadro un ulteriore aiuto arriva dall’evoluzione delle e-bike? «Certamente. Con questo sistema di favorisce una mobilità, oltre che più sostenibile, anche più attiva e dinamica. Credo fortemente in questa definizione di mobilità attiva, perché ultimamente come Ancma abbiamo supportato una campagna pubblicitaria a favore dell’uso della bici in quanto strumento di benessere basato sugli studi del dottor Sarto, esperto di malattie cardiovascolari.
«In questi lavori, si dimostra che la bicicletta a pedalata assistita è addirittura più efficace della bicicletta tradizionale per quello che riguarda il mantenimento dei livelli di soglia del battito cardiaco e il contrasto al colesterolo. Molti ritengono l’E-bike un mezzo di serie B, soprattutto nei cicloamatori, mentre invece si rivela molto più efficace della bicicletta tradizionale, perché evita i fuorisoglia che con l’andare avanti degli anni appesantisce le pareti cardiovascolari, portando alla lunga ad avere dei problemi di natura cardiovascolare molto importanti. Me ne sono accorto personalmente: da sei anni uso l’e-bike e non ho più avuto acido lattico accumulato nelle gambe. La bicicletta a pedalata assistita ti permette la tensione massima e più opportuna per il tuo sistema cardiovascolare».







