Anche se il meteo fa le bizze, l’ora legale e i primi assaggi di caldo stanno riportando tutte le bici sulle strade e lungo i percorsi che per fango, neve o freddo sono rimasti poco frequentati negli ultimi mesi. Qualcuno non ha mai mollato, lo sappiamo bene, ma la primavera e il primo sole portano fuori anche coloro che pedalano per diletto e solo in condizioni… comode.
Alla fine dello scorso anno, l’Ancma aveva diffuso uno studio commissionato a Bain & Company che aveva evidenziato una serie di dati su cui ragionare, proprio ora che si ricomincia a pedalare. Nelle scorse settimane abbiamo fatto un giro di opinioni fra negozianti del Nord, del Centro e del Sud: come va il mercato della bicicletta in Italia? Che cosa si chiede ai negozi perché restino luoghi di aggregazione?
Gli aumenti post Covid
La pandemia, la necessità di uscire dal lockdown e quella effimera voglia di natura e benessere avevano fatto crescere il mercato del 18 per cento, con oltre 2 milioni di biciclette vendute. Il calo, prevedibile, è arrivato tra il 2021 e il 2023, ma facendo pur sempre registrare un fatturato di 2,7 miliardi di euro nel 2023, pari a un +50 per cento rispetto al 2018. A questo dato ha concorso anche la diffusione delle e-bike che hanno reso accessibile a tutti uno sport ritenuto troppo faticoso.
I numeri sono significativi: 330 mila bici a pedalata assistita vendute nel 2022, a rappresentare il 20 per cento del mercato globale. Il punto debole della vicenda è però la necessità di appoggiarsi sempre di più alla filiera produttrice orientale, con l’aumento di costi che ha fatto salire i prezzi e scendere i margini di profitto per i rivenditori.
Nonostante l’aumento dell’importazione, l’export mantiene un saldo positivo. La domanda estera di prodotti Made in Italy è ancora consistente, mentre sul fronte del lavoro gli occupati nel settore ciclo sono saliti da 15.200 a 17.600 unità.
Le utilitarie e le supercar
Eppure i segnali dai negozianti non sono così ottimistici e da più parti si iniziano a leggere inviti al Governo affinché rinnovi il bonus bici che nel periodo del Covid ne fece vendere più di 600 mila. Uno scenario da mondo auto o della moto, in cui tuttavia la bicicletta si è infilata da tempo a causa di prezzi fuori controllo. Davvero si ritiene possibile cambiare la bicicletta al ritmo di una volta se la bicicletta, per poco che costi, ha un prezzo superiore ai 5.000 euro? Davvero siamo così miopi davanti alla crisi che attanaglia le famiglie italiane?
I grossi numeri si fanno con le utilitarie, poi ci sono le supercar. Oggi la sensazione è che si facciano più numeri con le bici oltre quota 8.000 euro perché il ciclismo si è trasformato in uno sport di nicchia (elevata). Mentre alla base, dove il fine mese è un traguardo sempre più spesso in salita, si tiene bene la bici vecchia di 4 anni e ci si dice che va bene lo stesso.
Infrastrutture, non bonus
E’ uno dei motivi per cui si va meno alle Gran Fondo, che fra iscrizione e costi di trasferta sono diventate un’impresa per tanti proibitiva. Ed è il motivo per cui si tiene buona la bici e si comprano magari gli accessori per renderla più bella e funzionale per brevi viaggi.
L’età dell’oro è alle spalle, da qualche anno si è aperta l’età della ragione. Il Covid ha fatto perdere posti di lavoro, non ha soltanto fatto venire voglia di aria aperta. E la bicicletta, che era il più democratico dei mezzi per fare sport e muoversi in città, si è trasformata in un bene di lusso.
Benvengano allora le e-bike nelle città, a patto di offrire loro nelle rotte sicure. Se il confronto è con gli scooter, ce la possiamo ancora fare. Al Governo chiediamo piste ciclabili e infrastrutture, non misure che continuino a drogare il mercato.