Gravel. Una parolina magica, attraente, se vogliamo anche modaiola, ma di certo divertente. Una declinazione della bici e del ciclismo impossibile da incanalare in un unico modo, in una categoria. C’è chi la vede come bici da viaggio, chi da gara, chi come una “quasi MTB”, chi come una strada più comoda, chi semplicemente vuole divertirsi con questo “terzo” mezzo. E ad ognuna di queste sfumature ognuno adatta la propria bici. Anzi: la propria gravel bike.


Noi abbiamo chiamato in causa il grande ex biker Marco Aurelio Fontana, al quale abbiamo chiesto tre cose, tre elementi che non devono mancare sulla sua gravel – o che comunque devono essere in un certo modo. Tre dettagli che gli fanno dire: «Questa è la mia gravel».
«Per prima cosa però – ha detto Fontana – ci tengo a dire che quasi tutte le gravel su cui sono salito hanno un’anima per la quale tu sali e la bici va subito bene. Una gravel non è quella bici per cui ti fermi immediatamente a spostare la sella, regolare questo o quell’altro. No, va bene e hai il sorriso stampato addosso: il sorriso vi posso dire già che è il quarto elemento!».


Le gomme
Da buon biker, il Fonzie nazionale è partito dalle gomme. E lo ha fatto senza indugio. «Sicuramente per me – ha spiegato Fontana – la gravel deve avere una gomma scorrevole. E’ la prima cosa che voglio su una bici gravel. Deve essere un copertone che faccia un po’ di strada e di off road, perché per me la gravel è una bici che mi porta in giro. Io uso le Crusher di Kenda, ma ci sono mille brand con mille soluzioni. Quella è la prima esigenza: non esco se ho una gomma lenta, perché mi fa arrabbiare la bici che non scorre. E la scorrevolezza è imprescindibile sulla mia gravel»
E’ chiaro, che venendo dalla mountain bike agonistica, Fontana interpreta il gravel in un certo modo. Un modo più “stradistico”. Il contrario di chi viene dalla strada.
«Quindi per me una copertura semislick è quasi imprescindibile. E ultimamente prendo la gravel e posso farci un’ora, due o tre… Nel senso che è una bici che ti invita a stare in giro, a stare fuori, a fare strada a prescindere dal tipo. Non come la classica bici da corsa o la MTB in cui fai un allenamento di forza o dei lavori specifici. Per questo voglio una gomma che mi inviti ad andare e non sia lenta».


Kit riparazione
Si va avanti e restando fedele a questo dogma dell’andare, del fare strada e del restare fori, Fontana ci dice del suo secondo elemento immancabile: il multitool o comunque l’attrezzatura per essere indipendente e fare fronte ad eventuali problemi.
«Tante volte – riprende Fonzie – esci “per andare”. Adesso una cosa che prima quando ero un atleta pro’ proprio non facevo mai è quella di portare sempre con me due o tre cosette che in caso di necessità mi riportano a casa. La camera d’aria di scorta, il multitool, la pompa… Quei piccoli accessori necessari e che su una gravel stanno “da Dio”. Io, per esempio, li tengo nel portaccessori di Syncros, attaccato al portaborraccia. Però le bici gravel hanno stile anche sotto questo punto di vista».
E qui Fontana apre un capitolo interessante, quello relativo alle borse, ai portaoggetti… Accessori che in effetti su bici dal DNA racing potrebbero stonare. Sulle gravel, invece, ogni tipo di gravel il risultato di questa aggiunta ha il suo perché. Anche estetico.
Ancora Fontana: «Se vuoi mettere la borsetta anteriore, il borsellino dietro, oppure quella sul telaio, va sempre bene… Senza queste cose non parto: non vado in giro con la gravel senza avere due o tre strumenti con me. E in più, come dicevo, hanno stile. Su altre bici “stonerebbero”: se metti il borsello sotto la MTB o sotto la bici da corsa è goffo. Sulla gravel invece è naturale. E quindi, sì: per me è un must!».


Il manubrio
E poi il terzo elemento immancabile per Fontana: il manubrio, chiaramente la tipologia del manubrio. Noi ne parlammo qualche giorno fa e anche secondo lui questo è un capitolo vastissimo.
«Mi godo – dice Fontana – i manubri che stanno lanciando sulle gravel moderne. Parlo di quelli con un flare non troppo esagerato. Al tempo stesso, se prendessi una gravel con un flare a zero gradi (i manubrio da strada in pratica, ndr), mi arrabbierei. E’ quella la posizione giusta? Mi chiederei… No, è la risposta. Invece con quel manubrio mi sento subito “a casa”».
«Mi rendo conto che è complicato da spiegare, soprattutto per uno che viene dal mio mondo, un mondo molto competitivo, dove il dettaglio della bici conta davvero. Se sali sulla gravel e ti senti a casa è perfetto. Se il manubrio è troppo largo è sbagliato, perché sembra che guidi un trattore, diventa un volante più che un manubrio. Se è troppo stretto è sbagliato perché non è quella la posizione per l’offroad. Il limite è sottile e non è semplice da risolvere, soprattutto per il cliente medio e specialmente per i manubri con cockpit integrati.
«E poi neanche è semplice provarli, perché per togliere devi tagliare i cavi, spostare spessori, rivedere i passaggi dei cavi, rimettere la pipa… E’ un lavoraccio»







