Stefano Bergamaschi è un ragazzo di Milano che la scorsa estate si è lanciato in un’avventura un po’ folle: fare la traversata alpina in gravel da Gorizia a Ventimiglia. Alla fine sono stati 1.500 chilometri con 36.000 metri di dislivello. Ma la vera follia è stata partire con pochissimo allenamento. Però alla fine si è trattato di un’esperienza profonda che lo ha fatto molto riflettere.
Stefano, come ti è venuto in mente di prendere e partire per attraversare le Alpi da Est ad Ovest in bici?
Ho voluto rendere omaggio ad un mio mito da sempre, Walter Bonatti, che completò questa traversata con gli sci nel 1956. E’ vero che ho sempre fatto sport a livello professionale (snowboard) ed amatoriale (arrampicata e trekking), ma sono partito avendo nelle gambe non più di 500 km…
Quali sono stati i pensieri mentre si avvicinava il giorno della partenza?
La storia è iniziata per provare a fare un viaggio e raggiungere i miei limiti ed il… livello di rottura. Pochi dei miei amici hanno voglia di buttarsi a capofitto in queste sfide. Ho chiesto, ma non voleva venire nessuno. Così alla fine mi sono detto: «Vabbè, ci provo». Pensavo di durare 4-5 giorni e poi scoppiare e tornare indietro.
Invece?
In realtà ho fatto i primi tre giorni intensi, dove ho accusato dei dolori al ginocchio. Poi ho allungato un po’ la posizione in sella e tutto è filato liscio.
Ma in bici avevi mai viaggiato?
Avevo fatto un paio di cicloviaggi, uno sulla Via Francigena ed uno di tre giorni in Polonia. Niente di paragonabile a questo che è durato circa due settimane.
E cos’hai imparato?
A conoscere il mio corpo, specialmente a lasciargli il tempo di riprendersi. Anche fermarsi ad un orario decente per avere il tempo di mangiare è fondamentale. Quando inizi a fare sport di endurance ti rendi conto dei meccanismi, per cui ultimamente sto molto attento a cosa mangio. Per fare giri molto lunghi come il mio, è fondamentale saper mangiare e capire il proprio recupero. Ho imparato strada facendo a dosare le energie dopo aver dato al mio fisico uno choc iniziale.
Hai scelto di viaggiare con lo zaino e tanti hanno storto (e storcerebbero) il naso. Hai avuto problemi di postura?
Non sono arrivate in tempo le borse da bikepacking che avevo ordinato, per cui ho optato per il mio zaino di arrampicata. Neanche tanto leggero perché sulle Alpi non sai mai che meteo trovi. Tuttavia, ho trovato lo zaino estremamente comodo perché più aerodinamico delle borse laterali, compatto e concepito per estrarre facilmente la roba. Mettere peso sulle forcelle mi darebbe noia e noto che anche nelle gare di endurance in gravel alcuni lo usano, seppur più piccolo del mio.
Hai parlato del meteo, come è andata?
Sono tornato scioccato. E’ vero che ho fatto la traversata in agosto, ma ero convinto che avrei sofferto il freddo viste le quote raggiunte. Invece è stato tutto l’opposto, con temperature folli per l’ambiente montano. Un aspetto fondamentale è stata la comprensione del cambiamento climatico. MI ha fatto molto pensare, così come il traffico assurdo di auto e moto. Mi dicevano “odierai le moto” (ed io ho un passato da motociclista…). Eppure è così: sfrecciavano senza rispetto per chi quei luoghi se li stava conquistando col sudore. Io sono innamorato della natura e bisognerebbe avere lo stesso atteggiamento rispettoso di quando entriamo in una cattedrale.
Hai attraversato Slovenia, Italia, Svizzera, Francia, su passi spesso sopra i 2.000 metri come il Furkapass e il Galibier, spesso con tratti offroad. Definiresti il tuo viaggio estremo?
E’ stata dura, ma va comunque considerato che ero a poche ore da casa. Direi estremo a livello fisico, anche se penso che quasi tutti, con un allenamento adeguato, potrebbero farcela.
Hai sempre pedalato da solo?
No, a Livigno ho incrociato Matteo Ottoboni, un ricercatore milanese, vestito in maniera stramba e con una bici molto “basic”. Andava anche lui a Ventimiglia e, anche se magari non pedalavamo insieme, spesso ci davamo appuntamento alla fine della tappa. Così abbiamo fatto per quattro giorni.
Hai seguito una traccia nella tua cavalcata alpina?
Non avevo nemmeno idea che ci fosse già una traccia su Komoot che proponesse un itinerario simile al mio. In montagna funziona così: hai la strada principale e i passi te li fai su asfalto, poi nel fondovalle fai strade secondarie per evitare il traffico, spesso sterrate. La mattina ti svegli e più che ai chilometri da fare guardi i metri di dislivello da coprire…
Il paesaggio più bello?
Le Alpi sono strane perché vedi un cambiamento da un passo all’altro, vedi queste sfumature, quindi non saprei. Però posso dire che mi è piaciuta molto la Val Mora che collega la Svizzera all’Italia (fare lo Stelvio col traffico non mi ispirava). Ho spinto un po’ la bici, ma è una delle valli più immacolate perché ci passano poche persone. Pensandoci, se devo consigliare un posto, anche se è difficile da pedalare, direi la Val Veny, vicino a Courmayeur. Era brutto tempo e per raggiungere il Rifugio Elisabetta, ho spinto la bici per 7 km in un ambiente che sembrava l’Alaska. Ero così galvanizzato che non mi importava nulla. Quella sera sono arrivato alla fine della tappa senza nulla da mangiare, solo pane e acqua.
Un pensiero speciale
Stefano di mestiere fa il video-maker, tanto che ha creato un bellissimo docu-film su questa avventura. Purtroppo, però, c’è stato un finale molto, molto triste, perché proprio all’ultima tappa è stato raggiunto dalla notizia della morte del suo border collie, di nome Ugo, a cui il video è dedicato e a cui Stefano era ovviamente molto legato.
«L’ultima tappa ero da solo – racconta – avevo piantato la tenda. Ero super carico. E mentre stavo guardando uno dei tramonti più belli del viaggio mi è arrivata una telefonata dall’addestratore cui avevo lasciato Ugo. Il mio cane era morto di caldo, lo stesso caldo che avevo sofferto io in bici. In questi casi cerchi sempre una parola di conforto, ma io ero da solo ed ho passato tutta la notte in quella condizione dormendo appena un’ora. Adesso se vedo uno che butta un mozzicone per terra non la lascio più passare, vado lì e glielo faccio notare, sempre con senso educativo.
«L’idea del video è perché volevo raccontare questo viaggio ai miei genitori e alla mia famiglia. Non ambisco a diventare un influencer, ma eravamo talmente tanto legati col mio cane che mi sono sentito in dovere di espormi. Ed è stato bellissimo perché diversi miei amici, dopo che hanno visto il filmato su Youtube, hanno deciso di comprarsi la bici per fare le vacanze. E a tutti dico la stessa cosa. Se volete, buttatevi. Se pensate che il limite sia 10 non dico di fare 100, ma andate oltre quel 10 perché quello che troverete vi sorprenderà».