Sono partito e davanti a me già poca luce. Bella, ma poca. La prima parte del giro era tutta verso est, verso le montagne che già stavano cedendo all’avanzata del mondo delle ombre.
Prima arrivi in cima meglio è, mi sono detto, se scollini con un residuo di chiaro è fatta. Quindi via, trascinando un fisico da antiscalatore fino al prossimo tornante, il freddo che brucia i bronchi; poi fino alla fontana, la salita che brucia le gambe; lassù c’è il campo sportivo, il sudore che brucia gli occhi, altri cinquecento metri ed è fatta.
Ardenne bellunesi
In cima mi attraversa la strada una volpe che sta già uscendo dal bosco per le sue perlustrazioni notturne. Devo muovermi. Dopo Belluno la traccia mentale mi riporta verso ovest, discesa prima e pianura poi. Di fronte a me le ultimissime luci del tramonto che seguo come la stella cometa. Manca poco, se pesto sui pedali forse non accenderò neanche la frontale. Allora nei tre chilometri di (più o meno) pianura faccio a finta di essere Cancellara inseguito da una muta di scalatori, più vantaggio possibile da mettere in cascina prima dell’ultima rampa, poi lì si vedrà. Svolta a sinistra verso monte, millecinquecento metri di ardenne bellunesi, vedo casa mia in cima al grande prato in pendenza.
Ho la fortuna di abitare in un territorio in cui la pianura è largamente minoritaria. Qualche chilometro a fondovalle, ma anche lì mai davvero pianura. Quasi sempre leggeri falsopiani, a scendere o a salire, vallonati dolci, ma pianura vera, pura, quella dove puoi mettere un rapporto e non pensarci più per un’ora, a dire il vero quella mai. È una fortuna ma, naturalmente anche altrettanto una sfortuna. Specie nel caso di qualcuno che, come chi scrive, non gode di un fisico da scalatore sudamericano (e nemmeno nordamericano, europeo, asiatico, africano o oceanico).
La leggendaria Z2
Questo – dislivello obbligatorio e leggerezza rivedibile – si traduce nel fatto che è complicato uscire in bici solo per un giretto rilassante, quelli che gli esperti chiamano “in Z2”. Ok ma, qualcuno dirà, anche le salite si possono fare pian pianino, godendosi il panorama e tutte le dolcezze che gli esperti decantano essere contenute nella famosa Z2. È vero. E fin qua quindi potrebbero essere solo cavoli miei.
Però qui veniamo al terzo punto, quello che poi è il vero dunque della questione, quello che mi ha fatto iniziare a scrivere questo pezzo: l’autunno. Domenica scorsa sono uscito in bici alle 16,30, quando cioè tutti i ciclisti di buona volontà erano già andati, tornati, docciati, mangiati e riposati. Io invece la mattina avevo degli impegni, dopo pranzo delle scadenze da chiudere e insomma quando ho preso la bici in mano erano le 16,30.
I ciclisti di buona volontà
Che è poi quando i ciclisti di buona volontà escono in bici durante la settimana, più o meno. Avevo i fari, posteriore ed anteriore, ma il piano era comunque di tornare a casa al massimo per le 18, meglio prima. Ok ma, qualcuno dirà, per l’autunno e l’inverno hanno inventato i rulli! Chi scrive non ne possiede né di smart né di tradizionali. E forse è felice lo stesso.
Dunque un’ora e mezza massimo, da far fruttare. Ho cercato nel database mentale un giretto di una trentina di chilometri. Da casa un po’ di vallonato, poi una salita di 3-4 km fin sopra Belluno e poi discesa e pianura prima dell’ultima rampa fino a casa. Una piccol(issim)a Liegi.
Ultime luci, ultimi metri
Quindi ora sono qua, con davanti ancora millecinquecento metri di ardenne bellunesi, in cima ai quali c’è casa mia. Come sempre l’ultimo tratto è il peggiore. Paradigma e sintesi di agonia e godimento, dolore ed endorfine, archetipo di questa strana attività umana che è il ciclismo. In qualche modo arrivo allo stop che decreta la fine della côte, linea del traguardo di questa gara immaginaria.
La muta di scalatori alla fine non si è fatta vedere, ma anche se fosse arrivata e mi avesse sbranato non sarebbe poi importato granché. C’è ancora un refolo di chiarore all’orizzonte, quel che basta per incorniciare alla mia destra lo skyline delle montagne. Seduto fuori casa con la birra in mano me lo godo tutto, assieme al freddo, alla fatica e a questo senso di urgenza che solo le corte giornate d’autunno inoltrato riescono a regalare.
Per raccogliere tutti i benefici della famosa Z2 ci sarà sempre tempo più avanti, penso. Magari in primavera, magari in estate, o magari mai.