| 23 Febbraio 2025

Il gravel di Nathan Haas: condivisione, avventura e amicizia

GIRONA (Spagna) – Nathan Haas è stato uno dei primi ciclisti professionisti che ha deciso di cambiare vita e cavalcare l’onda del gravel. L’australiano si è imbarcato in questa avventura quando il gravel era ancora alle sue origini e doveva prendere una forma. Quasi quattro anni dopo questa nuova disciplina è cresciuta, arrivando a livelli di apprezzamento mai visti prima. In parte tutta l’attenzione e la passione rivolta fa da traino, mentre il rischio è di vedere entrare gente che con lo spirito del gravel non ha nulla a che fare. Di per sé inserire delle gare prevede accendere la competitività, caratteristica di certo non principale per chi ha deciso di rifugiarsi in un qualcosa che affondasse le sue radici in un ciclismo più crudo e fatto di emozioni

Nathan Haas ci raggiunge per l’intervista nel centro di Girona dopo aver accompagnato la figlia Tallulah a scuola
Nathan Haas ci raggiunge per l’intervista nel centro di Girona dopo aver accompagnato la figlia Tallulah a scuola

La libertà delle proprie scelte

L’australiano, che da quattordici anni vive sotto il caldo sole della Costa Brava, ha preso la via della passione. Pedalare perché si ha voglia di entrare in contatto con persone, territori e culture diverse. Si definisce un pasta addicted perché ogni volta che viene in Italia a correre ne prova di differenti tipologie e ne ha una classifica personale. Non ci dice quale sia in testa, ma ci fidiamo dei suoi gusti. Nathan Haas è uscito dal mondo del professionismo nel 2021, dopo dieci stagioni nella massima serie: il WorldTour. Il suo cambiamento di vita e di abitudini è stato radicale. 

«E’ stato un cambiamento enorme – ci racconta seduto su una poltrona nella hall di un hotel in centro a Girona – e non indifferente. Sono passato da un mondo in cui tutto è curato e la tua vita è controllata da un gruppo di persone che si riunisce a novembre per decidere il programma dell’anno: dove sarai, come ti allenerai, dove ti allenerai, quali gare farai, ecc… Sai anche piccole cose, come le scarpe che indosserai. E’ fantastico perché hai l’obiettivo di vincere le gare più importanti al mondo e l’unico modo in cui puoi farlo è in agendo in questo modo. Da quando mi sono ritirato quattro anni fa il livello di microgestione è cresciuto, direi, in modo esponenziale. Questo è ciò che serve per essere un corridore professionista di successo. Ma non è un modo sostenibile di vivere».

L’australiano è al suo quarto anno nel mondo gravel (foto Instagram/PelotonBrief)
L’australiano è al suo quarto anno nel mondo gravel (foto Instagram/PelotonBrief)
Così hai cambiato vita…

Non del tutto. Ho corso in fuoristrada per tutta la mia vita agonistica e non. Nei quattordici anni in cui ho vissuto qui a Girona mi sono allenato spesso su sentieri gravel ma utilizzando la mia bicicletta da ciclocross. Poi ad un certo punto il mezzo con cui pedalavo è stato chiamata “gravel bike”. Dentro di me ho pensato: «Oh ok. Ecco cos’è ora». Ma dobbiamo ricordarci che il gravel non è uno sport, ma una superficie sulla quale si pedala (le famose strade bianche, ndr). 

Lasciare il ciclismo professionistico è stato un passaggio naturale?

Sarei potuto rimanere a correre su strada, ma avevo vecchi compagni come Lachlan Morton che già erano nel gravel. Io gli chiedevo se fosse così divertente come potesse sembrare. La sua risposta era «Amico, è anche meglio di quanto sembri. Hai il controllo di tutta la tua vita. Scegli le gare, scegli i marchi con cui vuoi lavorare». Se l’azienda con la quale vuoi collaborare non è disposta a sponsorizzarti puoi comprare i suoi prodotti e nessuno ti fermerà.  

Nathan Haas ha scoperto questa disciplina nel 2021 quando ha partecipato alla Nova Eroica (foto Instagram/PelotonBrief)
Nathan Haas ha scoperto questa disciplina nel 2021 quando ha partecipato alla Nova Eroica (foto Instagram/PelotonBrief)
La libertà di fare quello che vuoi.

Dopo anni ho costruito la bicicletta dei miei sogni. Non c’è una sola cosa che cambierei. È una sensazione incredibile. Inoltre scelgo il mio calendario di gare, dove sarò e quando. Il primo anno in cui ho fatto gravel ho cambiato cinque kit diversi tra bici e abbigliamento. Castelli e Colnago hanno fatto un lavoro bellissimo e incredibile. Vado a un evento e posso decidere che completo usare, posso indossare una maglietta con un hot dog e nessuno mi direbbe nulla. Anzi, sarei cool. 

E’ l’essenza del gravel?

Sì. E’ uno spirito nato prima negli USA e poi si è spostato in Europa con un po’ di ritardo. Ma quello che si fa qui nel Vecchio Continente ha un qualcosa di diverso. La maggior parte delle manifestazioni che ci sono negli USA sono prevedibili, c’è un po’ la “Sindrome del quarterback”. Il miglior ciclista del momento se ne va in giro come se fosse lo sceriffo della città. La sensazione è che negli USA i ciclisti europei siano delle pedine di contorno, mentre qui il ruolo centrale lo ha il ciclista. Chiunque esso sia. 

Il gravel è fantasia, scelta di colori e stili sempre diversi (foto Instagram/Nathan Haas)
Il gravel è fantasia, scelta di colori e stili sempre diversi (foto Instagram/Nathan Haas)
Ci sono anche scenari diversi…

Lo sterrato americano è molto divertente, ma io preferisco davvero correre in Europa. Trovo che sia molto più entusiasmante. C’è un mix più vario di persone che corrono qui e credo che questo sia un altro aspetto di questo sport. Nel gravel la diversità è una parte importante, si tratta di essere inclusivi

Per uno come te che è stato un professionista è più divertente?

Se devo essere sincero penso che la Unbound sia la gara più orribile del mondo. A volte guardi il tuo computerino e vedi che la prossima curva è tra 20 chilometri, e sei solo su questa strada che sembra lo screensaver del computer. Io voglio sentire la bici, guidarla e sbagliare poi rilanciare l’andatura. La Unbound è una gara iconica per la sfida e il suo significato, ma in realtà è una gara molto noiosa. La maggior parte dei ciclisti se glielo chiedi non vuole andarci, ma bisogna farlo. Questo è il lato “business” del gravel.

La competizione c’è ma non deve diventare come nel ciclismo professionistico, il gravel deve mantenere la sua identità (foto Instagram/Nathan Haas)
La competizione c’è ma non deve diventare come nel ciclismo professionistico, il gravel deve mantenere la sua identità (foto Instagram/Nathan Haas)
A tuo modo di vedere quanta paura hai che il gravel diventi come il WorldTour e perda il suo spirito iniziale?

Questo è il rischio ed è ciò che sta accadendo a questo sport in questo momento. Ovviamente, quando i soldi iniziano a entrare in qualcosa, le cose inevitabilmente cambiano o si evolvono. Ma trovo molto poco fantasioso nel vedere che le squadre di oggi si formano quasi come una replica di come fanno quelle su strada. Tutti hanno lo stesso aspetto, tutti sono costretti a usare lo stesso equipaggiamento…

Lo si è visto con l’arrivo dello SWATT Club…

E’ un problema. E’ un po’ un cambiamento in questo mondo. Ma è un cambiamento significativo e lo stiamo facendo anche noi. Vediamo molte tattiche di squadra ora. Le gare gravel si basano su corridori solitari, perché i migliori lavorano con le aziende visto che le squadre non possono permettersi i loro stipendi. Ma gradualmente la situazione si evolverà in modo da avere solo grandi squadre. E io non voglio che questo accada. Voglio essere la prova vivente che nel gravel non è necessario far parte di una squadra, né per vincere e nemmeno per sentirsi parte di qualcosa. 

Durante un evento capita di incontrare persone nuove e condividere con loro quell’esperienza (foto Instagram/Nathan Haas)
Durante un evento capita di incontrare persone nuove e condividere con loro quell’esperienza (foto Instagram/Nathan Haas)
Si tratta dello spirito di avventura e partecipazione.

E’ il movimento, l’atmosfera, l’energia del gruppo. Queste sono le cose che contano. Vogliamo essere un monito per dire: «Guardate che se avete intenzione di prendere la direzione della strada noi conquisteremo i cuori di tutti perché saremo gli unici a divertirci». Perché non è corretto togliere il divertimento dall’ultima disciplina del ciclismo che si basa veramente su questo aspetto. Il rischio è di rovinare il nostro sport, che è anche il mio. Questo non vuol dire che non si debba gareggiare al massimo delle proprie possibilità. Tutti amiamo le corse, io sono stato un corridore e in parte lo sono ancora. Però non è corretto uccidere questo sport rendendolo così serio da costringere tutti ad avere lo stesso aspetto e a suonare allo stesso modo.

Si toglierebbe la natura del gravel…

Una delle bellezze di questo sport è che si può portare una borsa da bici su un aereo e avere comunque le stesse possibilità di vincere senza bisogno di far parte di una squadra. Essere da solo, o con degli amici, ma non in una squadra. 

Il gravel porta gli appassionati a misurarsi da soli in una sfida continua con se stessi (foto Instagram/Nathan Haas)
Il gravel porta gli appassionati a misurarsi da soli in una sfida continua con se stessi (foto Instagram/Nathan Haas)
Hai appena detto la parola chiave “amici”. Il gravel è nato per godersi la bicicletta e il rapporto con essa. 

Se chiedete ad alcune persone qual è una delle sensazioni principali che si provano con il gravel, vi risponderanno che è un modo diverso di allontanarsi da tutto. È uno sport all’interno del ciclismo che si allontana da tutte le altre assurdità. Sapete una cosa?

Prego. 

Nella mia vita credo di non aver scelto di fare il ciclista, ma che questo sport abbia scelto me. Lo stesso è accaduto con il gravel. Mi sono innamorato di questo sport nel mio ultimo anno nel WorldTour. Sono andato alla Nova Eroica e ho vissuto uno dei giorni più belli degli ultimi dieci anni. I ristori, la gente, la musica e il divertimento sono centrali. Ci si ferma al ristoro e si assaggia un bicchiere di vino e un po’ di prosciutto e si riparte in sessanta. 

Difendere lo spirito di questa disciplina è fondamentale per non perderne l’identità e il divertimento (foto Instagram/Nathan Haas)
Difendere lo spirito di questa disciplina è fondamentale per non perderne l’identità e il divertimento (foto Instagram/Nathan Haas)
Il gravel permette di vivere il territorio nel quale ci si trova… 

Ho corso per dieci anni nel WorldTour e ho girato per il mondo ma ho visto solo gli aeroporti. Ora vado in un luogo uno o due giorni prima e giro liberamente alla scoperta di tutto quello che nasconde. E poi è bello che se facciamo una gara con 2.000 persone, che tu sia il primo o l’ultimo, hai comunque vissuto la stessa esperienza. E poi si può condividerla tutti insieme alla fine. Ci si incontra e si creano questi legami. Credo che il gravel ci permetta di vivere la vita in un modo bellissimo, ma solo se ce lo lasciano fare. 

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