| 2 Marzo 2024

Montane Yukon: ciclisti e podisti sulle tracce di Jack London

Un viaggio speciale, nel quale l’aspetto agonistico, molto più che in altri casi, passa decisamente in secondo piano. Perché quando porti a compimento una fatica come la Montane Yukon Arctic Ultra, sei comunque un vincitore. Impossibile considerarla davvero una gara, a meno che non sia con te stesso, una sfida ai tuoi limiti. Ma da fare sempre con il massimo della cautela, preparandosi nella dovuta maniera. Come ha fatto Laura Trentani.

Laura ci è andata quattro volte. Ha iniziato con la distanza minore, le 100 miglia. Poi 300, poi 430. Lo scorso anno, non paga di essere risultata la vincitrice della gara più lunga sulle 700 miglia ne ha fatte altre 300 per completare il traguardo delle 1000 miglia, proprio com’era la vecchia Iditarod. D’altronde la gara nasce proprio per ricalcare le gesta dei coraggiosi che affrontavano il tracciato dell’Alaska con i cani da slitta.

Il peso dell’attrezzatura nelle slitte influisce sulla velocità.. Vietato il superfluo…
Il peso dell’attrezzatura nelle slitte influisce sulla velocità.. Vietato il superfluo…

Il suono del silenzio

Parlando con la Trentani sembra davvero di sentire i suoni delle slitte, gli incitamenti dei conducenti, insomma i suoni e gli odori dei libri di Jack London. Eppure tanto è cambiato da allora, perché la Montane Yukon Arctic Ultra si percorre anche a piedi trainandosi la slitta oppure con le fatbike, o ancora con gli sci da fondo. Anche se il verbo “correre” ha forse poco senso, perché un’avventura del genere richiede saggezza nella gestione delle proprie energie, delle risorse esterne e anche nell’assaporare quello che la natura ti dà.

Su questo concetto la Trentani è molto netta: «Molti mi chiedono quali sensazioni ti dà una gara del genere e io rispondo sempre che la sensazione più forte è la natura stessa: selvaggia, incontaminata, assoluta. Nella quale ti immergi appieno, ti assorbe in maniera totale. Soprattutto quando cala la notte e sei avvolto dal buio più totale, ma anche dal silenzio. Non avevo tanta paura mentre l’affrontavo, anche se essa comunque serve per mantenere alta l’attenzione. Ma non era quella il sentimento preminente, quanto l’emozione del sentirsi così piccoli in un contesto così grande».

Da un ritrovo all’altro si corre o pedala nella solitudine assoluta. E’ il silenzio a parlare…
Da un ritrovo all’altro si corre o pedala nella solitudine assoluta. E’ il silenzio a parlare…

L’importanza della mente

La prova è organizzata in Canada, da un team tedesco che si avvale di tantissimi volontari nella sua gestione, perché si possa sempre affrontarla con quel minimo di sicurezza necessario. Perché si corre o si pedala con temperature estreme, fino a -50° con il rischio forte di congelamenti o peggio, amputazioni: «La preparazione per un evento del genere non è solamente fisica, ma anche e soprattutto mentale. Devi essere sempre presente a te stesso, saper valutare costantemente la situazione, anche nel momento peggiore, quando possono comparire allucinazioni, avere la presenza di spirito di avvertire chi è chiamato a gestire la corsa, considerando che per essere recuperati potranno passare anche ore.

«E’ una gara nella quale ci si orienta sul percorso da un checkpoint all’altro, distanti dai 50 ai 100 chilometri. Possono essere all’aperto ma ce ne sono anche al chiuso, prevalentemente in scuole, dove puoi mangiare un piatto caldo e dormire un po’ e soprattutto trovare ricovero se hai sintomi di assideramento. A me è spesso capitato di fermarmi anche per far asciugare il materiale dopo giorni sulla neve, quando l’umidità aveva ormai permeato tutto».

Si pedala sempre a temperature bassissime, fondamentale l’attrezzatura da indossare (foto organizzatori)
Si pedala sempre a temperature bassissime, fondamentale l’attrezzatura da indossare (foto organizzatori)

Combattere il freddo

Il freddo è naturalmente il grande nemico, come combatterlo? «Mi verrebbe da dire con una preparazione mirata, ma sapendo che non sarà comunque facile. In Italia non abbiamo condizioni climatiche così estreme: ci si può allenare uscendo di notte con temperature rigide e con il vento forte, per provare ad “assaggiare” quel che si troverà da quelle parti, ma sarà solo una piccola parte. E’ molto importante avere una buona condizione fisica, essere pronti e soprattutto lavorare tantissimo sul materiale da portarsi dietro.

«Io ho visto una marea di piumini esplosi ad esempio, anche di marche che vanno per la maggiore. Nella mia prima esperienza avevo una giacca di gore-tex che a un certo punto, posta nella slitta, si è indurita a tal punto da diventare una sorta di manichino e non è più tornata indossabile. Esperienze di questo tipo si affrontano innanzitutto documentandosi con chi le ha già provate, studiando quel che è necessario portarsi. Gli organizzatori poi sono molto attenti e per i concorrenti tengono anche brevi corsi prima del via, spiegano come reagire a ogni situazione, esaminano quel che si portano, se l’attrezzatura è adeguata».

Le temperature possono raggiungere i -50°. Fondamentale il riposo nei checkpoint al chiuso
Le temperature possono raggiungere i -50°. Fondamentale il riposo nei checkpoint al chiuso

L’incontro con il lupo

Dopo la partenza ci si trova da soli, nel vero senso della parola: «La cosa più emozionante è data dalla luce, quella del tramonto e quella dell’alba. Due momenti che durano molto più a lungo di quanto siamo abituati a vivere e a pensare. E’ qualcosa di straordinario, come anche gli incontri che puoi fare con i veri abitanti di queste zone, ossia gli animali del luogo. Gli orsi non ci sono perché durante la gara (si svolge nella prima metà di febbraio, ndr) sono in letargo, gli alci possono invece capitare, ma a me non è mai successo. Mi è invece accaduto, in Alaska, di incontrare il lupo.

«Io reputo quell’incontro una fortuna, un vero regalo della natura. Non avevo paura, avevo un profondo rispetto nei suoi confronti, come padrone di casa che mi accoglieva come ospite. Si è avvicinato, ha annusato, poi è andato via. Nelle notti sentivo i lupi ululare da una collina all’altra ma non ho mai temuto di essere aggredita. Anche perché lì il lupo viene ancora cacciato e normalmente si tengono a distanza dall’uomo».

Il territorio sterminato dello Yukon, che con l’Alaska condivideva il vecchio percorso dell’Iditarod (foto Mark Kelly)
Il territorio sterminato dello Yukon, che con l’Alaska condivideva il vecchio percorso dell’Iditarod (foto Mark Kelly)

Lo Yukon, una calamita…

La maggior parte affronta questa gara a piedi, come la stessa Laura, ma tanti lo fanno anche in bici: «Quando arrivi può anche capitare che non ci sia nessuno, che i locali siano impegnati in qualche opera di salvataggio. Ma quando senti di esserci, arrivi sotto quello striscione hai la netta sensazione della conquista. E’ un evento particolare che ha sofferto molto per gli annullamenti legati al covid: le sue distanze sono state ridotte, una volta era davvero allestita su 1.000 miglia e vorrei tanto che si tornasse alla vecchia formula. Di gare simili ce ne sono, anche in Italia con la Sila3Vette nella quale domenica ho chiuso terza assoluta, ma nulla ha il sapore della corsa nella natura. Sono luoghi che attraggono come calamite…».

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