Nei giorni scorsi è stato presentato il circuito Race Across Series. Si tratta di 6 prove ultracycling, disegnate in Francia, Belgio, Svizzera, Spagna e Canada, di lunghezza fra i 300 e i 2.500 chilometri che promettono di far conoscere il territorio attraverso una competizione per bici da strada o gravel, in autonomia. Il periodo va da aprile ad agosto e la risposta è già molto positiva, anche perché il circuito nasce sull’onda del fascino che sempre esercita la “madre” di questi eventi: la Race Across America o RAAM.
La prima edizione della grande traversata americana si disputò nel 1982, o per meglio dire quell’anno 4 concorrenti, tra cui l’inventore John Marino, decisero di affrontare un viaggio in bici che già solo nell’idea univa i brividi dell’imponderabile al fascino dell’ignoto: partire dalla spiaggia di Santa Monica in California per ritrovarsi alla fine all’Empire State Building a New York. Ci volle poco perché l’idea prendesse piede, già quattro anni dopo era diventata oggetto dell’attenzione del network ABC per la partecipazione di centinaia di concorrenti provenienti da tutto il mondo.
Un problema di organizzazione
Tanto è cambiato nel corso degli anni, a cominciare dalle località di partenza e arrivo. Le ultime edizioni hanno preso il via da Oceanside sempre in California per concludersi a Annapolis (Maryland) dopo oltre 4.900 chilometri. Ma non è cambiato solo questo: «Rispetto ai miei tempi la RAAM ha perso molto del suo fascino. Basti pensare che una volta il briefing dove venivano date le indicazioni per la gara era un evento di per sé, in un grande luogo al chiuso con televisioni e giornalisti. Oggi ci si incontra sulla scalinata davanti alla spiaggia e via…».
A parlare è Nico Valsesia, uno dei più famosi viaggiatori in bicicletta non solo d’Italia. E’ stato presente per ben 5 volte alla corsa, portandola sempre a termine, affrontando mille peripezie e raccontando le sue esperienze in libri e anche in un docufilm, ancora visibile su Prime. La RAAM, a uno come lui che ancora oggi gira continuamente per lavoro e per passione, con la sua fedele bici, è rimasta nel cuore.
La RAAM e il sogno americano
«La Race Across America è la rappresentazione più pura del sogno americano. Significa riattualizzare, attraverso la bici, l’idea del viaggio degli anni Cinquanta e Sessanta, la Route 66, quell’humus sociale e culturale dal quale è scaturita la grande letteratura a stelle e strisce. I romanzi di Kerouac per dirne una. Quando partecipavo a quell’evento, tutto quel carico di mito lo sentivo sulla pelle e mi accompagnava lungo tutto il viaggio».
Già, il viaggio. Perché il fascino della RAAM è dato proprio da tutto il contorno. «Intendiamoci: quella è una gara e se la interpreti come facevo io, con grande spirito agonistico non vedi niente intorno a te, l’America non la conosci. Io l’ho intravista, ma poi sono entrato nel suo spirito, l’ho vista davvero nei miei tanti viaggi come guida cicloturistica. Resta però il suo fascino dato soprattutto dal continuo cambiare di paesaggi, climi, sensazioni.
Da 48 a zero gradi…
«Si parte dal sud della California e la prima parte, oltre 2.000 chilometri è davvero molto bella, pedalando al caldo, in certi tratti anche troppo caldo. Io ho toccato i 48 gradi… Poi si arriva a Parker in Arizona e lì si comincia a salire in diagonale per le Montagne Rocciose. Il paesaggio cambia, ma anche la temperatura. Arrivando in Colorado si sale sui suoi principali passi, superando i 3.000 metri e la temperatura scende anche sotto zero. Quella è la parte dura, ma anche la più bella in assoluto, la Monument Valley: non nascondo che anch’io che competevo per la vittoria non riuscivo a non fermarmi, a non guardare…».
Dopo però inizia la parte più difficile: «Quando arrivi in Kansas ti trovi un lungo rettilineo, ma lungo davvero: oltre 600 chilometri dove non c’è niente, non trovi grandi riferimenti, anche il paesaggio non cambia mai e ti trovi spesso a pedalare controvento. Per questo la leggenda della RAAM dice che se superi il Kansas, allora sì che hai buone possibilità di arrivare al traguardo. Infatti la parte successiva, tra Missouri, Indiana, fino all’approdo all’East Coast è più semplice anche perché cominci a sentire “l’odore” del traguardo, della meta conquistata».
La privazione del sonno
Qual è la difficoltà maggiore che comporta la Race Across America? «Sicuramente la mancanza di sonno. Anche chi non compete per arrivare primo (nel qual caso dormi si è no un’ora al giorno) vedi i tuoi ritmi completamente stravolti con brevi riposi per poter recuperare, ma dovendo fare i conti con tanti problemi che da questa mancanza derivano. La privazione del sonno non è qualcosa che si allena, alla quale ti abitui e quindi devi farci i conti nell’assoluta inconsapevolezza delle sue conseguenze».
Proprio la mancanza di sonno rendeva quel lunghissimo tratto del Kansas un vero tabù: «Non vedevo l’ora che passasse, ma era durissima, anche avendo un mezzo al seguito come capitava a me come anche ad altri che viaggiavano per vincere. Ho anche avuto le allucinazioni, perché pedalavo, pedalavo e mi ritrovavo sempre allo stesso posto. Serve una grande forza mentale per superare momenti come quelli».
Un’impresa da 50 mila euro
Ma chi partecipa a un evento del genere? «E’ questo l’aspetto che sta portando la Race Across America al suo decadimento. E’ un’impresa che ha costi enormi, devi preventivare almeno 50 mila euro solo per prendere parte. Chi partecipa allora? O corridori affermati, specialisti come il compianto sloveno Jure Robic (scomparso nel 2010 perché investito in allenamento, ndr) che l’ha vinta 5 volte o l’austriaco Christoph Strasser primo per 4, oppure chi riesce a trovare sponsor per lo supportino. Ma chi investe al giorno d’oggi su un evento del genere, che anche dal punto di vista mediatico raccoglie meno attenzione soprattutto sul mercato interno? Perché il fascino mondiale resta intatto, è sempre la rappresentazione del sogno, ma puoi affrontarlo solo se sei davvero ricco, se riesci a sostenere una spesa del genere. E questo sinceramente è un peccato, un dolore per chi ha amato visceralmente quella manifestazione».