Pedalare in Islanda è il sogno di moltissimi, grazie alla sua natura selvaggia costellata di vulcani e ghiacciai, attraversata da centinaia di chilometri di strade sterrate. Caratteristiche, queste, che la rendono un territorio perfetto per il gravel,. Da qualche anno infatti da quelle parti va in scena The Rift Gravel Race. 200 chilometri fra terra lavica e torrenti, attorno al vulcano Hekla.
Il nome dell’evento deriva dal fatto, più unico che raro, che la gara si svolge nella zona della faglia tettonica tra Nord America ed Eurasia. La partenza e l’arrivo sono fissati ad Hvolsvöllur, una cittadina di poco più di mille abitanti nella costa sud dell’isola ad un centinaio di chilometri dalla capitale Reykjavík.
Lo scorso 20 luglio tra i 700 partecipanti al via c’era anche Daniele Calvi, responsabile marketing e comunicazione di Cicli Drali, lo storico brand milanese. L’abbiamo raggiunto al telefono per farci raccontare quest’avventura.
Daniele, come sei finito a pedalare in Islanda?
Da quest’anno con un amico abbiamo fondato una squadra, Undrafted Cycling. Così oltre a girare nei dintorni della Lombardia, partecipiamo ad alcuni dei più importanti eventi gravel in giro per il mondo. La nostra filosofia è pedalare e dare il massimo, naturalmente, ma anche raccontare la nostra esperienza in prima persona. Infatti con noi c’è sempre almeno un’altra persona che ci aiuta a produrre contenuti, oltre a quelli che facciamo noi con la GoPro e il telefono durante la gara. The Rift Gravel Race fa parte del circuito Gravel Earth Series che racchiude altri eventi del nostro calendario, come The Traka in Spagna o Falling Leaves in Finlandia.
Entriamo nel vivo della The Rift Gravel Race. Quali sono le caratteristiche principali di questa gara?
Come prima cosa c’è moltissimo sterrato, circa il 90%. Di asfalto ci sono i primi 7-8 chilometri, poi si svolta a sinistra e ci si butta nel gravel per qualcosa come 100 chilometri. Al terzo rifornimento c’è un altro brevissimo tratto di strada asfaltata e poi di nuovo sterrato fino all’arrivo. Poi c’è da considerare il clima. La gara è a luglio, quindi parti dall’Italia con 35 gradi e arrivi lì che ce ne sono 10-15, con meteo super variabile tra vento e pioggia. Anche se per fortuna il giorno della gara abbiamo trovato bel tempo. Un’altra cosa particolare sono i guadi che bisogna attraversare. Ce ne sono sette in tutto e devo dire che sono tratti delicati, abbastanza impegnativi.
Come li avete affrontati, in bici o a piedi?
Noi siamo riusciti a farli in sella, ma tutto sta a come li prendi. Non bisogna arrivarci troppo forte, sennò si rischia di scivolare sulle pietre e cadere, né troppo piano altrimenti ci si pianta. L’acqua non era altissima, ma ci arrivava comunque a metà ruota, all’altezza del mozzo. Poi un’altra caratteristica di questa gara è certamente la gestione delle forature, quasi inevitabili.
Come mai? Quante ne avete subite?
Tre in tutto, due io e una il mio compagno, quando in tutte le gare dell’anno non ci è successo neanche una volta. La prima l’abbiamo avuta praticamente in contemporanea nei primi chilometri. Eravamo messi benissimo, nel gruppo di testa, ma ci siamo dovuti fermare e giustamente il gruppo è andato. Un’altra l’ho avuta io verso la fine, dopo il terzo ristoro, e lì abbiamo perso altri 6-7 minuti. Credo sia dovuto al terreno vulcanico. Si corre quasi sempre sulla sabbia, che però sotto nasconde delle rocce abbastanza affilate. Infatti abbiamo sempre bucato il lato del copertone, anzi più che bucato proprio tagliato, e mai sul battistrada. Chi ha vinto la gara non ha bucato, un po’ per fortuna un po’ per bravura, ma è un aspetto che fa parte del gioco in questo genere di gare.
A proposito di forature, non dev’essere facile indovinare il tipo di coperture per una gara così particolare. Voi cos’avete scelto?
Ci abbiamo pensato molto, c’erano tantissime variabili da incrociare. Quali copertoni usare, se tubeless o no, a che pressione gonfiarli, se mettere gli inserto oppure no. Alla fine abbiamo optato per degli Schwalbe Overland da 40 mm, il modello con più protezione anche laterale. Pensate se non li avessimo avuti… Comunque parlando con gli altri ragazzi alla fine della gara, abbiamo sentito che hanno forato davvero quasi tutti, indipendentemente dalla marca o dal modello di pneumatico.
Quindi alla fine com’è andata la vostra gara?
Bene dai, alla fine siamo arrivati 38° e 39°. Togliendo la mezz’ora persa per i problemi tecnici saremmo arrivati attorno alla 15ª posizione. Noi ce la mettiamo sempre tutta, ma come dicevo all’inizio non puntiamo alla vittoria. Anche perché ormai ti trovi a correre con gente che magari l’anno scorso faceva il Tour de France. Il bello di eventi del genere, in posti del genere, è anche che trovi persone provenienti un po’ da tutto il mondo. In Islanda c’erano molti europei, direi la maggioranza, ma anche parecchi statunitensi.
Prossimi appuntamenti del team Undrafted Cycling?
A fine agosto andremo alla Monsterrando, nel Monferrato. Poi il 21 settembre voleremo in Finlandia per la Falling Leaves e termineremo la stagione il 13 ottobre in Spagna alla Ranxo Gravel, che è la finale del Gravel Earth Series.