Nel 2025 la Sportful Dolomiti Race compirà 30 anni. In tre decenni è diventata una delle gran fondo più famose e dure d’Europa, con migliaia di iscritti da tutto il continente e non solo. Fin da allora è organizzata dal Pedale Feltrino, società feltrina ora presieduta da Ivan Piol.
Abbiamo raggiunto Ivan al telefono (mentre era in sede a preparare il minestrone per l’annuale gara sociale) per farci raccontare com’è nato e come si è evoluto nel tempo quest’evento (in apertura, immagine Sportograf).
Ivan, com’è iniziata quest’avventura?
A fine anni ‘80 con un po’ di amici abbiamo iniziato a frequentare le prime gran fondo, come la Fausto Coppi che è nata nell’88, lo stesso anno in cui abbiamo fondato il Pedale Feltrino. Volevamo portare qualcosa di simile anche nel nostro territorio, ma i tempi non erano ancora maturi. Per un po’ siamo andati avanti organizzando gare in circuito, quelle che andavano per la maggiore all’epoca. Poi, per caso, è capitata una di quelle occasioni che capitano nella vita.
Cioè?
Per caso sono venuto a sapere dal marmista vicino a casa mia che stava realizzando la stele per Campagnolo da mettere in cima al Passo Croce D’Aune.
Quella che ricorda l’episodio in cui a Tullio Campagnolo, proprio lì, venne l’idea dello sgancio rapido?
Esatto. Ho chiesto al marmista, che era un amico, di fissarmi un appuntamento con Valentino Campagnolo, il figlio di Tullio. Così nella primavera del 1994 Valentino venne nella pizzeria dove lavoravo e gli parlammo del nostro progetto: organizzare una gran fondo molto impegnativa con arrivo al Croce D’Aune. Lui accettò e noi ponemmo solo una condizione, cioè che l’inaugurazione del monumento slittasse all’anno successivo, il giorno della gara. Accettò anche questo. E nel 1995 esordì la Gran fondo Internazionale Campagnolo.
Come andò la prima edizione?
Molto bene. Partimmo il 25 giugno con 1.200 partecipanti che affrontarono un percorso di 197 chilometri con le salite di Cima Campo, Passo Manghen e Passo Rolle, prima dell’arrivo a Croce D’Aune. L’anno successivo raddoppiamo gli iscritti, 2.500, ma ne partirono solo 800 perchè quel giorno c’era il diluvio universale. Dopo le prime due edizioni cambiammo la zona d’arrivo, perché in cima al passo era complicato logisticamente. Ci spostammo a Feltre, prima in zona palaghiaccio e poi nella bellissima Piazza Maggiore, dove c’è il traguardo ancora oggi.
Non dev’essere stato facile, specie nei primi anni, organizzare una manifestazione del genere. C’è stato qualche particolare episodio che ti ricordi?
Difficoltà ce ne sono sempre, ma un anno abbiamo dovuto cambiare percorso perché nell’edizione precedente gli abitanti di una zona avevano cosparso la strada di puntine. Però poi abbiamo parlato con le amministrazioni, tutti insieme abbiamo fatto un bel lavoro diplomatico e poi non abbiamo più avuto quei problemi.
Nel 2009 la gran fondo ha cambiato nome, da Campagnolo a Sportful, e negli anni sono nati molti altri eventi con Feltre al centro.
Sì, nel 2000 abbiamo organizzato la prima gran fondo per i bambini in Italia, la Mini Gran Fondo Sportful. Sempre quell’anno ci siamo inventati la 24 Ore sul circuito cittadino del centro, e nel 2021 ci siamo buttati sul gravel, con la Sportful Dolomiti Gravel.
Secondo te qual è il segreto del successo della Sportful Dolomiti Race?
Sicuramente la durezza del percorso è quello che ci caratterizza, lo abbiamo voluto così fin dall’inizio. Di paragonabile c’è solo l’Oetztaler in Tirolo. Le persone partecipano perché cercano l’impresa, qualcosa da fare una volta nella vita oppure tornare per migliorarsi anno dopo anno. Poi certamente c’è l’aspetto sociale, abbiamo tantissimi volontari che ci aiutano, cosa che ha fatto diventare la gran fondo un evento molto sentito dai feltrini.
Per esempio?
Per esempio lungo il Croce D’Aune, l’ultima salita prima dell’arrivo, ci sono tanti ristori spontanei fatti da persone comuni che si mettono lì solo per il piacere di farlo. Ormai anche loro sono parte integrante dell’organizzazione. Cerchiamo di essere ancora un evento a misura d’uomo, in cui i partecipanti si sentano a casa e non solo un numero in griglia.
Hai accennato all’aspetto sociale. Che ricadute ha avuto e ha un evento con migliaia di persone per una piccola città come Feltre?
Inutile nascondere che abbiamo dei problemi con la ricezione alberghiera. Negli anni per esempio ci siamo attrezzati con dei cameroni nelle caserme. Nel frattempo sono nati tanti b&b che ci hanno aiutato in questo senso, e anche noi forse abbiamo contribuito a questa crescita.
E’ possibile quantificare questa crescita in qualche modo?
Partiamo da 4.000 iscritti, quelli che normalmente abbiamo ora. Mettiamo in conto che arrivino qui il sabato, stiano qui per il fine settimana fino a domenica sera: è un gran bell’indotto per tutto il territorio. I gestori della Birreria Pedavena ci hanno detto che la domenica pomeriggio, dopo la gara, è il momento dell’anno in cui hanno più affluenza in generale. Senza contare il fatto che molti dei partecipanti restano anche per più giorni, sfruttando il viaggio come una vera e propria vacanza. Il Sole 24 Ore ha fatto uno studio che quantifica la ricaduta economica della Sportful Dolomiti Race tra un milione e mezzo e due milioni di euro.
Nel 2025 festeggiate 30 anni, tra l’altro con un percorso nuovo molto più bellunese e meno trentino, in onore delle Olimpiadi. Come sono cambiati i partecipanti in queste tre decadi?
Diciamo che trent’anni fa c’era molta più approssimazione in tutto. Nella preparazione, nell’abbigliamento, nelle biciclette. Adesso è uno sport anche d’élite, vedo sempre di più una ricerca pazzesca. E’ raro vedere gente – specie italiani devo dire – con delle bici che non siano top di gamma o quasi. Qualche straniero c’è ancora che arriva con mezzi più rilassati, ma sono la minoranza. Lo stesso per l’allenamento. Mi ricordo che alla Fausto Coppi io andavo con meno di mille chilometri sulle gambe. Adesso se non hai fatto prima almeno tremila chilometri non ti presenti proprio.
Hai parlato della differenza tra italiani e stranieri. Ultimamente si sta diffondendo il pensiero che le gran fondo qui da noi siano troppo competitive, e che forse anche in Italia si dovrebbe fare come nel Nord Europa. Eventi senza classifiche o al massimo solo con alcuni tratti cronometrati. Cosa ne pensi?
Se è per una questione di sicurezza, noi come altri abbiamo lavorato moltissimo per avere il massimo della sicurezza stradale in gara. Poi in Nord Europa per organizzare manifestazioni del genere non ti chiedono il certificato medico, in Italia invece sì. Io sono stato alla cicloturistica del Fiandre per esempio. Si parte alla francese e dopo un breve tratto in strada ci si butta nelle ciclabili e si continua sempre lì. Questo sarebbe impossibile da noi, per il semplice fatto che di ciclabili non ce ne sono, o sicuramente non a quel livello. Senza contare il fatto che alle nostre gran fondo le strade sono chiuse, nelle cicloturistiche invece sono aperte.
Ci sono gran fondo con solo alcuni tratti cronometrati…
Un evento così l’abbiamo fatto a Roma e lì andava bene perché era in una grande città e non si poteva tenere chiuso il traffico senza creare grandi disagi. Ma pensare che le gran fondo facciano un passo indietro secondo me non ha senso. La gente comunque ci va anche per quello, per spingersi al proprio limite. Magari è vero che c’è un gruppo di 50-100 atleti che va per agonismo, ma si tratta di gente quasi professionista, le altre 4000 sono lì per divertirsi. Credo che ogni evento abbia la sua identità che è giusto rispettare. L’importante è costruirgli attorno un vestito che lo faccia funzionare al meglio. Non voglio buttare via 30 anni di esperienza e di lavoro con le prefetture e le amministrazioni locali per inseguire un modello che in Italia, ora come ora, non è attuabile.