Il viaggio verso Capo Nord è “l’exemplum” dell’avventura. Nel corso degli anni la conquista dell’estrema punta settentrionale del Vecchio Continente è stata un motivo ricorrente nei racconti di amici e colleghi. Quanti abbiamo sentito narrare le proprie imprese, quelle estati in sella alle proprie moto, correndo nel vento, godendosi l’evasione dal quotidiano? Già, moto. A 100 e più all’ora verso l’agognata meta. Ma così che cosa resta di tutto ciò che circonda, del viaggio, che mai come in questo caso conta più del traguardo?
Da un po’ di tempo a questa parte, il viaggio verso Capo Nord viene inteso anche in maniera diversa, al ritmo lento, forse faticoso, sicuramente riflessivo della bicicletta. I giornali locali hanno riportato più casi di cicloturisti che si sono sobbarcati la lunga trasferta in assoluta solitudine e fra questi c’è anche Luca Tesser, partito il 2 luglio da Montebelluna per raggiungere la punta estrema della Norvegia il 27. Un viaggio ricco di aspettative e andato anche al di là di esse.
Un granfondista pentito
Tesser è un fotografo di professione, che progressivamente si è innamorato dei paesaggi ma attraverso il suo lavoro ha voluto anche dare un’impronta diversa alla sua stessa vita. Appassionandosi alla mountain bike: «Ci andavo già prima – racconta – ero uno dei tanti granfondisti che la domenica si metteva a testa bassa per raggiungere il traguardo, ma un giorno mi sono detto che andavo in tanti posti, eppure non vedevo nulla. La bici doveva invece darmi qualcosa di diverso.
«Due anni fa ho acquistato una nuova bici, una gravel Orbea Ter in alluminio, molto basica a adatta agli scopi che avevo in mente. L’ho attrezzata di tutto punto, ponendoci le borse da viaggio ai suoi lati e ho iniziato a viaggiare. Ho visto ad esempio le Dolomiti, dove andavo sempre a gareggiare ma che non conoscevo nella loro bellezza. Nella mia mente ha preso allora corpo il grande progetto: andare a Capo Nord, dove tutti sognano di andare, ma senza metterci quell’impegno, quel sapore di conquista che solo la bici ti sa dare».
Prima dei 50 anni
La particolarità del viaggio di Tesser è che si è trovato ad affrontare qualcosa di completamente nuovo: «Figurarsi, io non avevo mai campeggiato in vita mia… Mai dormito in un sacco a pelo. Io mi ero ripromesso di fare questo viaggio per festeggiare i miei 50 anni (ne ho 47), ma poi mi sono detto: perché aspettare? Solo che ero completamente digiuno di questo tipo di avventure. Ho cercato per giorni, non senza preoccupazione, di prendere tutto quel che sarebbe servito, leggendo, studiando su internet chi lo aveva già affrontato e alla fine devo dire di essere stato abbastanza previdente».
E’ chiaro che, al giorno d’oggi, tutto è un po’ più scorrevole, con le varie app che ti danno ogni riferimento sia sulla strada da fare che sulle proprie condizioni fisiche, ma quando fai una media di 180 chilometri al giorno come in media ha affrontato Tesser, il sapore della sfida resta: «Ho pedalato sempre, salvo un paio di giorni. In particolare uno: ero a Stoccolma e mi sono trovato di fronte a un bivio. O risalire la costa, o prendere il traghetto per la Finlandia. Avrei trovato paesaggi più curiosi, più a me affini, ma avrei perso una giornata di viaggio sulla bici. Alla fine ho scelto questo compromesso».
Cinque forature di fila
La strada era abbastanza semplice: «Partendo da Montebelluna ho fatto Austria, Germania passando per Brema, Amburgo e Lubecca, poi la Danimarca attraverso la capitale Copenhagen e lì mi è capitato un episodio. L’approdo in Danimarca non era stato dei migliori. Io abituato a giorni in Germania attraverso le sue scorrevolissime ciclabili fluviali, mi sono ritrovato a pedalare su strade piene di “scalini”. Sarà che i pneumatici, pur testati prima del via anche col pieno carico, si erano usurati, fatto sta che mi sono ritrovato ad affrontare 5 forature in un breve lasso di tempo. Arrivato in città ho deciso che dovevo cambiarli. Per fortuna lì ci sono tanti negozi, così ho montato gomme molto più pesanti, anti foratura. Ce n’è voluto per abituarmi, sentivo la bici molto “legata”. Ma la scelta è stata quella giusta, sia per il materiale che per i tempi, perché risalendo la Scandinavia ho scoperto che non avrei avuto una tale disponibilità di negozi…».
Come si era organizzato per la sua trasferta, con denaro e cibo? «Non avevo con me un fornello da campo, quindi acquistavo nei vari supermercati quel che serviva: pane, prosciutto, burro di arachidi. Alla sera andavo nei pub per mangiare, d’altronde non è che c’era molto altro e volevo evitare costosi ristoranti. Sono rimasto stupito nel vedere che in Scandinavia non avevo molta scelta. Me ne sono accorto soprattutto quando, dopo aver toccato la mia meta, avevo ancora un paio di giorni prima di prendere l’aereo di ritorno e non avevo più molta disponibilità economica. A proposito: facendomi i conti, un viaggio del genere con 1.000 euro si affronta abbastanza tranquillamente».
Altri dall’Italia, ma in moto…
Ci sono stati momenti difficili? «No, perché i paesaggi erano qualcosa di magico, bastava puntare gli occhi da qualche parte per assaporare il piacere della scoperta. Il viaggio è poi anche occasione d’incontro, di confronto fra diverse culture. Nei supermercati capitava spesso di parlare con la gente del luogo o con altri cicloturisti, tutti sorpresi da quel che stavo affrontando. Verso Capo Nord non andava praticamente nessuno, salvo quando mi sono ritrovato in Finlandia e Norvegia, dove allora la meta diventa quasi un’abitudine per chi va in bici vista la corta distanza.
«Il bello è che arrivi a Capo Nord ed è tanta la felicità che quasi ci si conosce tutti. Ho trovato anche qualche italiano, come una coppia di Bergamo che mi hanno invitato a festeggiare con una birra. Ma loro arrivavano in moto…».
La bellezza della Lapponia
Fra tanti posti quali sono stati i più belli e quelli che hanno un po’ deluso il suo sguardo da turista? «La Lapponia mi ha lasciato senza fiato. E’ quasi mistica. Pedali per ore senza incontrare nessun essere umano e specifico perché invece capita di trovare renne, a centinaia, allevate ma pure allo stato brado. Poi il pedalare attraverso quelle foreste di betulle e larici che progressivamente, con l’andare verso nord lasciano spazio alla tundra è qualcosa di magico.
«La delusione è stata invece Rovaniemi. C’ero andato pieno di speranze, forse con l’animo fanciullesco di chi vuole incontrare Babbo Natale, ma ho trovato un posto prettamente commerciale, anche – anzi soprattutto – il Villaggio di Babbo Natale. Magari d’inverno ha un impatto migliore, ma non mi ha dato alcuna emozione».
La voglia di conoscere
E ora che la meta è conquistata? «Ora si pensa a una nuova impresa. Nel prossimo luglio vorrei andare in Islanda, ma non tanto per pedalare lungo la Ringroad che costeggia tutta l’isola, voglio addentrarmi, vedere la sua realtà geologica, attraverso strade poco frequentate. Per fortuna posso farlo col pieno sostegno della mia famiglia: io e mia moglie ci stimoliamo nelle nostre reciproche passioni e poi condividiamo le nostre esperienze. Avremo presto tanto altro da raccontarci…».