E’ ormai evidente: la bicicletta non è solo un mezzo di trasporto o uno strumento sportivo, ma un veicolo di educazione, inclusione e crescita personale. Ne abbiamo parlato in passato, analizzando dati preoccupanti sull’uso della bici tra i più piccoli e raccontando progetti virtuosi come “Pedala Pedala in Sicurezza”.
Oggi ci addentriamo nel cuore dell’Abruzzo, a Lanciano e Fossacesia, dove l’ex professionista Moreno Di Biase ha trasformato la sua esperienza in un progetto educativo che coinvolge bambini, scuole. Con la sua scuola di ciclismo, Di Biase non si limita a insegnare a pedalare, ma forma cittadini ciclisti consapevoli, promuovendo la sicurezza stradale e l’inclusione sociale.
Moreno, puoi raccontarci come è nata la tua scuola di ciclismo e qual è la sua missione, se così possiamo dire?
Dopo aver lasciato il professionismo nel 2005, ho trascorso quasi dieci anni lontano dal mondo del ciclismo. Nel 2016 ho deciso di rientrare, non per l’agonismo, ma per mettere a disposizione la mia esperienza, focalizzandomi sulla sicurezza stradale dei ciclisti, a partire dai bambini. Così è nata la Scuola di Ciclismo Moreno Di Biase. Siamo partiti con pochi bambini e oggi contiamo due bike park, uno a Lanciano e uno a Fossacesia, entrambi chiusi al traffico. E ora siamo cresciuti…
A quanti bambini sei arrivato?
Durante le giornate dei vari corsi, abbiamo una media di 70-80 bambini. Solo una parte di loro fa agonismo. L’obiettivo iniziale è insegnare le regole di sicurezza di base, divertendosi, senza parlare di competizione. Tuttavia, per chi mostra interesse e talento, offriamo anche percorsi agonistici. Ma questo è un altro discorso.
Quali sono le principali attività che svolgete nei bike park?
Nei nostri bike park, i bambini imparano a conoscere la bicicletta come mezzo di trasporto. I bambini iniziano giocando con la bici, che però poi diventa un vero e proprio mezzo di trasporto. Noi vogliamo dare loro la consapevolezza che un giorno con quel mezzo finiranno sulle strade. E questo vale anche per i più piccoli che solitamente hanno cinque anni.
E cosa fanno nel concreto?
Insegniamo loro come salire in sella, l’uso del casco e, attraverso percorsi simulati, affrontano curve, frenate, equilibrio, e come stare in gruppo. Imparano a stare in fila indiana, a fare esercizi di equilibrio. Fanno il surplace. Imparano a stare a ruota o a mettere il piede a terra in caso di semaforo rosso o di emergenza. Abbiamo una pump track in terra battuta, importantissima per prendere confidenza con la bici, per l’equilibrio… tutte abilità tecniche che li preparano per pedalate sicure su strada.
Ecco, come avviene il passaggio dalla pratica nei bike park alle uscite su strada?
Dopo le prime lezioni nei bike park, concludiamo con uscite su strada, soprattutto a Fossacesia, dove i percorsi cittadini si prestano bene. Utilizziamo un kit di segnaletica stradale, incluso un semaforo funzionante e 24 segnali stradali, per insegnare ai bambini le regole del codice della strada. Affrontiamo insieme stop, precedenze, rotonde, e insegniamo come segnalare un cambio di direzione in situazione di traffico aperto. Questo approccio pratico fa la differenza: i bambini che escono dalla nostra scuola sono più consapevoli e sicuri quando pedalano in paese. E quando li vedi in giro, la differenza si nota…
Oggi molti bambini approcciano le due ruote con la balance bike (la bici senza pedali). Che ruolo ha nell’apprendimento?
La balance bike è uno strumento prezioso per i più piccoli, poiché aiuta a sviluppare l’equilibrio. Tuttavia, capita che alcuni bambini arrivino da noi già abituati a pedalare senza freni o regole, magari facendo attività estrema sulle strade. In questi casi, li riportiamo alle basi, insegnando loro le regole fondamentali prima di passare a discipline più avanzate. Mi è capitato persino qualcuno che voleva fare downhill. Li ho mandati in team appositi, ma poi senza avere una preparazione adeguata – e per preparazione intendo capacità tecniche, di guida, di manualità con la bici – sono subito rientrati alla base. Dico questo per far capire l’importanza di imparare prima le regole di base. E poi tutto il resto
Oltre ai bike park, svolgete attività anche nelle scuole, giusto?
Sì, fin dal primo anno abbiamo avviato progetti nelle scuole primarie e secondarie del territorio. Portiamo biciclette, segnaletica stradale e creiamo percorsi nelle palestre, simulando situazioni reali per insegnare le regole di sicurezza. E’ un impegno notevole, ma i ragazzi sono entusiasti. Inoltre, abbiamo un triciclo speciale per bambini con disabilità, che utilizziamo per garantire l’inclusione.
E questo è un aspetto molto importante e un vero pregio della bici…
Tutti i bambini, indipendentemente dalle loro capacità, partecipano alle attività. Il triciclo viene usato da tutti, per non far sentire nessuno diverso. Nelle scuole portiamo 10 bici più il triciclo. Tutti iniziano con quello, così che il bambino disabile non sia diverso neanche sotto questo aspetto. E’ un triciclo in cui il ragazzo può essere parte attiva della guida, dell’attività. E anche questo è importante. Tanti genitori e professori alla fine mi scrivono entusiasti quando vedono quanto fatto… e questo per me è un grande onore e stimolo al tempo stesso.
Quali sono le domande più frequenti che ti pongono i bambini e i ragazzi durante i corsi?
Una delle domande più frequenti riguarda l’uso del casco: «Perché dobbiamo metterlo per andare in bici?». Una “brutta” domanda, che però ci dice quanto siamo indietro su certi aspetti e quanto di fatto questi corsi siano necessari. Racconto sempre la mia esperienza personale: nel 1997, una caduta mi ha portato a passare una notte in coma. Il casco mi ha salvato la vita. Questa testimonianza aiuta i bambini a comprendere l’importanza della sicurezza. Poi domande più generali sull’utilizzo della bici.
Hai notato cambiamenti nei bambini durante il percorso formativo?
Assolutamente. Già in un mese di attività, vedo i bambini crescere, diventare più responsabili e consapevoli. Ricevo spesso messaggi dai docenti che mi ringraziano per l’impatto positivo del corso, come dicevo. Ma in generale mi accordo che sul fronte della mobilità fisica e non solo quella veicolare siamo indietro. Non immaginate quanti ragazzi, anche delle scuole medie non sanno andare in bici.