Un valico è tante cose per chi pedala. Un viaggio da godersi in primis o forse la strada ideale per un allenamento. Di certo, è una meta. E come ogni meta che si rispetti, quando la si raggiunge c’è sempre un senso di soddisfazione, grande o piccolo che sia. Ogni volta che si arriva in cima a un colle iniziano anche i preparativi per la discesa (in apertura foto Cristina Argirò).
La mantellina, il sorso d’acqua, il guardarsi attorno o, perché no, il computerino che annota i dati della scalata. Ma quando si tratta di passi particolari, belli, storici, duri, allora ci si ferma di più. E di certo in cima a questi c’è un rifugio, una baita o un locale dove sostare, come abbiamo visto per esempio sul Passo Duran qualche giorno fa.

Andiamo “al Piccolo”
Tutto questo avviene anche al Colle del Piccolo San Bernardo, crocevia fra Italia e Francia, proprio sotto al Monte Bianco. Lassù, ai 2.188 metri del valico, sorge a pochi metri dal confine l’italianissimo Albergo Rifugio “Ristorante San Bernardo”.
Il suo gestore, François Ottoz, da anni ne vede passare di ciclisti e il suo rifugio è pronto ad accoglierli. «Da qualche anno a questa parte – ci dice Ottoz – i ciclisti, devo dire, sono sempre di più. Prima il flusso non era così forte e continuo. Venivano solo i più esperti, adesso ci sono ciclisti di ogni tipo, grazie anche alle e-bike».
Quando si parla di flussi non ci si rende conto di quanto il popolo della bici sia vasto. Ottoz parla anche di 2.000 presenze di ciclisti al giorno durante i weekend: «Specie con giornate bellissime come queste, dove in basso fa caldissimo e da noi si sta bene».
Passaggio del TMB
Il Colle del Piccolo San Bernardo è ancora abbastanza selvaggio, se così possiamo dire. In cima non si scende subito. C’è una sorta di altopiano di un chilometro, più o meno, dove passa anche la frontiera con la Francia. Salendo dal versante italiano, tra il rifugio e le montagne c’è un’ampia radura. Tanto verde. Quel verde che d’inverno si trasforma in piste da sci, ma che d’estate diventa il regno dei biker. E in qualche occasione anche dei trail runner: qui passa l’UTMB e questo rifugio spesso è stato un punto di ristoro semi-ufficiale dell’evento. Ma proprio lì dietro, su questa radura, passa anche il Tour du Mont Blanc, il TMB in mountain bike, segnalato dai mitici cartelli gialli con la scritta nera. Anche i biker spesso si fermano al rifugio.
«Si fermano – riprende Ottoz – ma devo dire che non restano poi moltissimo tempo. Una fetta di torta, la Coca Cola, questa quasi per tutti, riempiono le borracce e dopo un po’ ripartono. Se si fermano anche a dormire? No, di solito preferiscono scendere in basso, evitando di ripartire in discesa il giorno dopo. Poi magari in basso, che sia La Thuile o altre località, hanno più distrazioni».
Tra Italia, Francia, Giro e Tour
Il Colle del Piccolo San Bernardo ha due versanti, uno francese e uno italiano. Quello italiano è senza dubbio più duro. Parte da Pré-Saint-Didier e arriva ai 2.188 metri della cima dopo 23 chilometri e 1.203 metri di dislivello. La pendenza media può ingannare, perché è del 5,2 per cento, ma va detto che c’è la spianata di La Thuile: altrimenti si pedala sempre tra l’8 e il 10 per cento, con punte anche del 12. E’ una salita vera, dura. Abbastanza coperta all’inizio, più aperta e chiaramente con meno vegetazione dopo l’abitato di La Thuile.
Il versante francese invece è un po’ più lungo ma più dolce: misura 29,8 chilometri, per un dislivello di 1.378 metri e una pendenza media del 4,6 per cento. Ma anche in questo caso tale dato è ingannevole. Infatti la porzione centrale del Piccolo, versante francese, specie se si fa la strada vecchia, è alquanto dura. Dopo La Rosière, l’ultimo paese che s’incontra prima del Colle, la pendenza è invece molto dolce.
«Ricordo diversi passaggi del Giro d’Italia e del Tour de France, soprattutto. Da quando gestisco io questo rifugio almeno quattro ne ho visti. L’ultimo fu il Tour del 2009. Oggi vedo tanti gruppi. A volte, devo ammettere, quelli che salgono pedalando appaiati intralciano un po’ il traffico. I più organizzati mi sembrano i tedeschi. Loro hanno sempre un mezzo al seguito, un supporto proprio per l’assistenza, grandi carrelli. Ci sono tanti italiani, ma tantissimi dal Nord Europa».