Negli ultimi anni, soprattutto dopo il Covid, la sensazione è che il cicloturismo in Italia stia vivendo una specie di età dell’oro. Le amministrazioni stanno investendo moltissimo in infrastrutture, ovunque si moltiplicano eventi, festival e fiere dedicati ai viaggi in bici.
Ma oltre alle sensazioni, come e quanto sta crescendo davvero questo settore? Legambiente assieme ad Isnart (l’Istituto Nazionale Ricerche Turistiche delle Camere di Commercio) ha appena rilasciato l’annuale rapporto sul cicloturismo in Italia, che ha raccolto moltissimi dati relativi al 2024. Per capirne di più abbiamo contattato Sebastiano Venneri, Responsabile del settore Turismo di Legambiente.
Sebastiano, come è stato stilato il vostro rapporto?
Della parte diciamo così “numerica” si è occupato l’Osservatorio del Turismo delle Camere di Commercio. Hanno intervistato un campione significativo di turisti ai quali hanno posto tutta una serie di domande per approfondire i vari aspetti del fenomeno del cicloturismo. Questo è il quinto anno che pubblichiamo questo rapporto, ormai è un lavoro consolidato che ci permette di verificare il trend.
A proposito di trend, il dato che colpisce subito sfogliando il documento è l’incremento dell’impatto economico del cicloturismo nel 2024: addirittura del 78% rispetto al 2023.
Sono numeri impressionanti che hanno sorpreso anche noi. Però ci sta, alla recente Fiera del Cicloturismo di Bologna abbiamo avuto la sensazione che la crescita continui e sia davvero impetuosa. Il comparto è arrivato a sfiorare i 10 miliardi di euro, cioè il 10% di tutto il turismo italiano. Questo significa che non stiamo più parlando di un fenomeno di nicchia, ma di un vero e proprio trend generale. Oltre alla crescita economica c’è anche quella dei praticanti, che nell’ultimo anno sono aumentati del 54%.
Secondo lei a cosa è dovuto?
E’ risaputo che il settore ormai comprenda turisti di ogni età e possibilità di spesa, anche di alto livello. E passato il tempo degli anni 70 e 80 in cui i viaggi in bici erano una moda per giovani avventurosi e un po’ squattrinati. Certamente molto si deve all’innovazione tecnologica, con le e-bike che hanno dato una grande spinta: hanno reso ciclabili territori che non lo erano e ciclisti persone che non lo erano. Un esempio è la Ciclabile dell’Appennino, un percorso che va dalla Liguria alla Sicilia, la più lunga via segnalata del Paese, 3.100 km. Un tempo sarebbe stata fattibile solo per persone molto allenate, ora invece è un percorso che si può proporre anche a delle coppie e a persone over 60.
C’entra anche il grande lavoro che si sta facendo sulle infrastrutture?
Sì, nonostante in molte parti d’Italia siano ancora carenti stanno crescendo, ma puntando su una proposta a mio modo di vedere molto interessante, che potremmo chiamare “la via italiana al cicloturismo”. Cioè una proposta che fa leva su infrastrutture già esistenti, sull’enorme rete di strade secondarie poco trafficate che collegano capillarmente tutte le aree interne del Paese, stradine che stanno diventando quasi delle ciclabili di fatto. Tante vie si sono create sfruttando proprio queste strade, come la Via Silente nel Cilento, o la Via dei Parchi in Calabria. Purtroppo abbiamo mancato l’appuntamento con la realizzazione del sistema nazionale delle ciclovie turistiche.
Come mai?
Perché da un lato siamo partiti 30 anni dopo gli altri Paesi europei, e poi da noi è più difficile tecnicamente. Realizzare una ciclovia lungo il Reno è più facile che farla negli Appennini. Poi c’è stata anche una decisione politica che non ha aiutato. La gran parte dei soldi del PNRR destinati a queste infrastrutture sono stati dirottati su altro. Dei 400 milioni iniziali ben 350 milioni sono stati spostati su altri progetti dal Ministro Fitto, e quindi siamo rimasti fermi al palo. Per questo è molto meglio lavorare sulle infrastrutture già esistenti, lavorando più di software che di hardware. Negli Appennini abbiamo fatto così, lavorando non con l’asfalto, ma sulle segnaletiche, sulle ciclofficine, sui punti di ricarica e assistenza. Grazie a questo alcuni luoghi che soffrivano lo spopolamento sono tornati a vivere.
Ci fa un esempio?
La Sicily Divide attraversa alcuni dei territori più difficili della Sicilia, eppure ogni anno fa numeri incredibili. A Montedoro, un paesino piccolissimo in provincia di Caltanissetta, avere un flusso costante di turisti forse non svolta tutta l’economia di una paese, ma certamente dà una grande mano. Anche perché da lì nascono altre figure e professionalità, come il meccanico, la guida cicloturistica, eccetera.
Nel rapporto leggiamo che la maggioranza dei cicloturisti sono italiani. Cosa si dovrebbe fare per incrementare la presenza degli stranieri?
Gli stranieri sono abituati ad alti standard di servizi e di sicurezza. La proposta italiana è molto interessante, ma insiste su strade promiscue. Realizzare ciclovie dedicate è bellissimo ma costa tanto e servono tempi lunghi, invece servono risposte immediate, già ora. Bisogna lavorare per mettere in sicurezza le strade secondarie attraverso le zone 30, e poi sui servizi. Per esempio sul trasporto dei bagagli, officine capillari, strutture di qualità. Gli stranieri sono abituati a viaggiare comodi e seguiti, se li si manda a pedalare in luoghi dispersi senza assistenza è un problema, perché magari poi non tornano più.
Restando al documento, si trova che il 70% degli utenti sono uomini ma il trend delle donne è in crescita. Una buona notizia.
Sicuramente. In alcune zone le donne sono più presenti che altrove, anche qui dipende dai servizi, ma certamente è un settore interessantissimo a cui tutti guardano. L’anno scorso abbiamo istituito un premio dedicato alla memoria di Maria Teresa Montaruli, una giornalista che ha lavorato molto sul tema delle donne in bici. Abbiamo dato questo premio ad alcune donne che si sono spese su questo, ed è stata un’edizione molto partecipata, segno che questa fascia sta crescendo molto. Anche qui le e-bike hanno fatto molto e poi, insisto, occorre lavorare sulla sicurezza.
Sicurezza che però parte da un lavoro culturale
Certo. L’anno scorso sono stato in vacanza in bici in Irlanda e lì le auto fanno coda dietro i ciclisti e aspettano pazientemente, niente a che fare con l’arroganza che trovi nel nostro Paese. E’ un lavoro che va accompagnato a livello normativo, come per la legge del metro e mezzo, per la quale ci siamo spesi ma poi è stata molto depotenziata. A parole sono tutti d’accordo, ma poi quando si tratta di mettere davvero mano agli aspetti pratici diventa tutto più difficile. Ad ogni modo dobbiamo far capire agli automobilisti che le strade devono diventare bike friendly, cioè dobbiamo riuscire a far passare una cultura diversa.
Avete anche censito il tipo di bici usate dai cicloviaggiatori. Come si muove l’utente medio?
Di nuovo, le e-bike stanno crescendo, appunto perché attraggono un pubblico più generalista. Stiamo parlando di un settore davvero grande, che coinvolge 89 milioni di persone all’anno, quindi persone che per la stragrande maggioranza affittano la bici in loco, anche city bike, oltre che bici elettriche. C’è naturalmente anche chi viaggia in bikepacking, ma è ancora una nicchia in un settore che essendo in crescita è sempre meno specializzato. Oltre al tipo di bici è interessante il tema delle età. La presenza dei millennials sta aumentando molto, ed è un’ottima notizia in un Paese come il nostro. Perché se vuoi confrontarti con il resto del mondo devi essere all’altezza delle richieste di quel tipo di persone.