FONTE CERRETO – Dopo il Blockhaus di cui vi abbiamo raccontato pochi giorni fa, ieri abbiamo affrontato un’altra celebre salita abruzzese, quella che porta a Campo Imperatore. Stavolta, però, la compagnia era molto più nutrita: tutti i partecipanti del Gran Sasso Bike Day, un evento giunto alla dodicesima edizione che richiama tanti ciclisti da tutto il Centro Italia e non solo.
La peculiarità di questa manifestazione è l’opportunità di concedere a tutti una scalata in bici liberi dal traffico motorizzato, dato che gli organizzatori dell’Asd Bike 99 sono riusciti ad ottenere dalle autorità locali la chiusura del tratto che va da Fonte Cerreto a Campo Imperatore dalle 8,30 alle 12,30 del mattino.
Fino ai piedi del Gran Sasso
Noi abbiamo pernottato proprio in prossimità dell’arco di partenza, all’Hotel Cristallo di Fonte Cerreto. A due passi da qui, tra l’altro, parte e arriva la funivia che collega proprio con i 2.140 metri dell’Osservatorio astronomico di Campo Imperatore, tanto che per l’occasione si è potuto rientrare alla base proprio con la funivia, con un biglietto ridotto comprensivo di trasporto bici. In realtà, la giornata è stata talmente limpida che la maggior parte delle svariate centinaia di partecipanti che si sono cimentati con noi nell’ascesa, ha poi preferito ritornare ai 1.100 metri di Fonte Cerreto in bici. Ma andiamo con ordine…
Già dal primissimo mattino il sole campeggia sul massiccio del Gran Sasso tanto che, al momento dello start, quasi tutti partiamo con la mantellina nelle tasche posteriori. Il primo tratto alterna qualche tratto all’ombra ma ben presto gli alberi lasciano spazio ad ampie e brulle vedute. I chilometri iniziali vedono il serpentone colorato da tutti i tipi di ciclisti e di bici: dagli stradisti più atleti alle e-bike, dalle gravel alle mountain bike per una volta lontane dagli sterrati. E persino alcune bici “eroiche”, partecipanti alla “Coppa Gran Sasso” un evento nell’evento che fa parte del circuito di ciclostoriche Giro delle Regioni.
La vittoria di Pantani
Poco prima di un tornante raggiungiamo un partecipante con la divisa della “Mercatone Uno” e la livrea della bici Bianchi di Pantani. Quassù, nel 1999, il Pirata vinse ed indossò la maglia rosa in quello sciagurato Giro d’Italia da cui poi fu estromesso. «Me lo ricordo eccome – dice Pino, romano – era la tappa con la neve. Per me oggi è la prima volta che scalo il Gran Sasso».
E’ passato oltre un quarto di secolo da quel giorno in cui, causa maltempo, la Rai riuscì a trasmettere in diretta solo gli ultimi cinque chilometri della tappa, con la schiena di Marco che sbucò improvvisamente tra due muri di neve e lo stupore generale. Gli organizzatori del Bike 99 hanno voluto omaggiarlo riproponendo sul proprio sito internet il tempo che ci impiegò a scalare gli stessi 27 chilometri e 1.300 metri di dislivello del Gran Sasso Bike Day: 53 minuti e 50 secondi.
Oggi però non si bada al cronometro, come fanno i componenti del team CiclisticaMente, anch’esso di Roma, che si immortalano in una foto a margine della strada, nei pressi di un cartello che ci ricorda che anche la ciclovia dell’Appennino Bike Tour passa su questo itinerario.
I colpi di pedale si susseguono uno dopo l’altro senza particolare affanno poiché la salita, per quanto molto lunga, in realtà ha una pendenza costante e non troppo impegnativa, intorno al 5%. Anzi, ci sono anche alcuni tratti in contropendenza ed ampi tornanti o curvoni in cui mettere la moltiplica più grande. Animali al pascolo guardano la novità.
In memoria di Mauro
Poco prima del valico che porta all’ingresso dell’altopiano di Campo Imperatore hanno allestito un ristoro. Qui facciamo la conoscenza di Michela Mannucci ed è doveroso fare un inciso. Da quattro anni il Gran Sasso Bike Day è dedicato alla memoria di Mauro Mannucci, dirigente e pedalatore dell’Associazione Bike 99 che venne investito ed ucciso sulle strade dell’Aquilano mentre si allenava con la sua bici. Al via da Fonte Cerreto tutti noi avevamo osservato un minuto di silenzio.
Quando Michela ricorda il fratello, il suo sguardo si fa basso e velato di tristezza, com’è normale che sia. Ma basta chiederle un parere sulla pedalata odierna e torna ad illuminarsi, sia dal sole che dalla sua forza interiore: «Fortunatamente oggi è una bella giornata – dice – ed il paesaggio lo potete vedere da soli… E’ caldo (cosa che non è quasi normale qui) e ci sono tante persone. Soprattutto la strada è chiusa e spero ci si possa divertire senza pensieri, ovviamente ricordando Mauro».
Poi si apre un po’ di più, quando le chiediamo se crede che il modello di chiudere le salite alle auto e alle moto sia da proporre più spesso: «Prima conoscevo poco questa realtà (della sicurezza in bici, ndr) ora purtroppo ci sono dentro e, nonostante quello che è stato fatto, credo ci sia ancora molto da fare. Soprattutto serve una cultura differente, che a mio avviso deve partire dalle scuole. Insegnare da lì il rispetto del ciclista e che la strada è di tutti, a partire dal più fragile».
A vederla ripartire dal ristoro con la sua e-bike ci fa piacere pensare che tutto questo sciame di ciclisti, questo popolo della bicicletta, seppur in un mondo sempre più atomizzato, abbia potuto in qualche modo stringersi intorno a lei per darle un po’ di calore.
Il “Piccolo Tibet”
Poche pedalate ed entriamo nell’altopiano che l’alpinista Fosco Maraini, sul finire degli anni Trenta, definì “Piccolo Tibet”, notando delle assonanze con la valle di Phari-Dzong, sulla strada tra l’India e Lhasa. Svolta a sinistra e ci indirizziamo nel vallone che ci porterà alla meta. Facciamo in tempo a vedere il Corno Grande del Gran Sasso, leggermente sulla destra, appena prima che venga avvolto dalle uniche nubi della zona. Nell’attimo esatto in cui cala il sipario, la strada si impenna per gli ultimi 5 chilometri. Come se la montagna non volesse più distrarci e pretendesse che tutte le nostre forze fossero indirizzate sull’asfalto. Iniziano i primi sbuffi e, buon per loro, compaiono i primi ciclisti che sfrecciano già sulla via del ritorno.
I battiti si alzano e scivoliamo sul crinale tipico di chi pedala ad alte quote e si sente sia protagonista che spettatore. Brevi battute con chi ti sta servono a fianco a sdrammatizzare e a fare il conto alla rovescia. Quando avvistiamo lo scintillio della cupola dell’Osservatorio capiamo che manca davvero poco. Infine, il vecchio hotel che ospitò la prigionia di Mussolini nei giorni dell’Armistizio, sancisce la fine della nostra scalata.
Gli arrosticini come premio
Nei tavolini all’aperto dell’ostello che sorge accanto alla stazione di arrivo della funivia, ciclisti e camminatori si rifocillano. Tra di loro, due amici, partecipanti al Gran Sasso Bike Day addentano i loro ultimi arrosticini: «Fabrizio è dell’Aquila – dice Roberto -. Io invece vivo a Bologna per lavoro ma sono tornato qua proprio per la scalata».
Di lì a poco, dietro le loro teste, la vetta del Gran Sasso tornerà a sbucare tra le nuvole. Missione compiuta.