Ci sono salite o mete che ad ognuno di noi danno qualcosa in più. Trasmettono emozioni diverse dalle altre. E anche se le si affrontano decine e decine di volte all’anno, non stancano mai. Si prende talmente “possesso” di certi luoghi da diventarne quasi custodi. Come per esempio Rudi Mariolini, con il Mortirolo (in apertura foto Comune Tovo S’Antaga).
Sì, avete capito bene. Una delle salite più dure del ciclismo. Un simbolo, un tempio del nostro sport. Su queste rampe campioni sono nati ed altri sono crollati. Vi transitano amatori e turisti, granfondisti e malgari. Lassù in cima malghe e casere non mancano.


Dieci versanti
Prima di parlare con Mariolini analizziamo il Mortirolo. Si tratta di una montagna situata tra Valtellina e Val Camonica, in Lombardia. E’ un posto selvaggio. In cima c’è davvero poco o nulla.
Il Mortirolo presenta dieci versanti e quasi tutti sono “mostri”. Un vero reticolo di strade e stradine forestali. Il più noto, quello da Mazzo in Valtellina, ha una pendenza media prossima al 10,5 per cento con punte del 18 per cento. C’è un chilometro, attorno a metà salita, che recita: pendenza media 18 per cento, pendenza massima 18 per cento. Fate i vostri conti! La cima, nota come Valico della Foppa, misura 1.852 metri.
I versanti sono indicati con la località di attacco della scalata e sono: Mazzo, Monno, Monno “Recta Contador”, Tovo S’Agata, Grosio, Grosotto, Megno Deverio, Aprica, Guspessa, Tirano,




Rudi, tu vivi in Val Camonica: come mai hai scelto di essere il “custode” del Mortirolo?
Perché è qui vicino, perché è una salita che ha una fama. Se vai a fare una salita che non conosce nessuno, non viene quasi riconosciuta, mentre il Mortirolo lo conoscono tutti e gli dà più onore. Ma soprattutto è una salita che presenta tantissimi versanti: puoi farla da 9-10 strade diverse e ognuno ha la sua storia e la sua bellezza. Poi, essendo qui vicino, molto spesso lo faccio di notte.
Di notte?
Sì, facendolo di notte ha ancora più fascino. Primo perché non c’è nessuno con le macchine. Ormai il Mortirolo si è fatto molto nome, quindi anche moto e auto ci salgono spesso, ma di notte no. Di notte riassapori un po’ quell’allure mistica della salita. E’ anche un vantaggio: non vedi neanche le pendenze!
Però le senti…
Eccome! Ma scherzi a parte, di notte sei più te stesso e più con la bicicletta. Ultimamente ho incontrato molti animali. Le lepri ci sono sempre, le volpi le ho viste spesso. Le ultime due volte mi ha inseguito qualcosa che credo fosse un lupo. Poteva essere anche un cane da pastore, visto che la zona è frequentata da mucche e pecore, ma in controluce la silhouette mi sembrava proprio quella di un lupo.
E non hai avuto paura?
Non mi ha messo molta paura perché era soltanto uno. Ma se fossero stati due? O un orso? Un po’ di timore c’è stato. Di notte non c’è nessuno e vedere un animale che ti segue non è banale. Però come dico sempre anche a mia moglie, a volte mi fa più paura girare nelle rotonde in paese! Il gioco vale la candela: è molto bello anche nelle prime ore del mattino.


Ricordi la prima volta che l’hai fatto?
Il mio primo Mortirolo risale ai primissimi anni 2000. Avevo una bici da corsa con i rapporti di allora. Se montavi una compact eri visto quasi male, come se fosse da “femminuccia”. Io avevo un 52-42 con dietro un 28 e mi guardavano già storto. Poi finalmente ho scoperto la compact, mi sono deciso e da lì è andata meglio. Ma la prima volta, con quel rapporto, non fu affatto semplice.
Da quale versante sei salito la prima volta?
Da Mazzo, perché bisogna salire da Mazzo. Erano i miei primissimi anni in sella. Fino agli anni ’90 (quando ci passò il Giro d’Italia, ndr) il Mortirolo era sconosciuto. Da allora è cambiato molto: una volta arrivavi a Mazzo e non trovavi indicazioni, chiedevi agli agricoltori. Ora ci sono cartelli con pendenze, tornanti, segnaletica in cima e in fondo. Ne hanno fatto un business, giustamente, perché senza Mortirolo Mazzo sarebbe rimasto un paesino qualsiasi. Oggi è conosciuto in tutta Italia proprio grazie al Mortirolo.
Chiaro…
E di buono c’è che è migliorato anche l’asfalto. Una volta era molto peggio. Sono comparse fontane lungo il percorso e in cima c’è un albero con ristoro sempre aperto. Ha portato benefici, anche se ora ci sono molti più ciclisti. Ma è diventata una salita più accessibile.
Rudi, non possiamo dire che hai scoperto dei versanti, ma sei stato un po’ un pioniere in bici su alcuni di essi. Alcune erano strade forestali…
I versanti Monno e Mazzo li conoscono tutti. Grosio pure, ma già Grosotto pochissimi lo conoscono. Guspessa, che è durissimo, l’ottavo versante che ho fatto, non lo conosce quasi nessuno. Hanno rimesso a posto Sernio, il decimo, che allora non era asfaltato, in occasione del Giro d’Italia U23 e della Stelvio Santini. E’ bellissimo anche quello. Ma tanti versanti restano sconosciuti persino alla gente del posto. Io continuo a dire che il Giro meriterebbe di fare il Mortirolo da Megno Doverio, cioè dal Monte Padrio, completamente asfaltato e con continui cambi di ritmo. Sono quelli che fanno la differenza. Lo Zoncolan per esempio, per me, non è divertente: è sempre e solo durissimo. Doverio invece è spettacolare e va spiegato persino a chi vive qui. Un po’ come il Monte Grappa: il Mortirolo è molto lungo e ha tanti versanti. Anche il Grappa ne ha dieci e pochi li conoscono davvero. E’ la conformazione della montagna a permetterlo.




Qual è il tuo preferito?
Quello che mi piace di più è il classico da Mazzo. Lì voglio fare l’Everesting. E’ una spina nel fianco per me e devo riuscirci prima dei 60 anni. Ma amo molto anche Tovo, per la durezza, e Doverio, per lo scenario bellissimo. E’ esposto al sole e in cima c’è un lariceto spettacolare.
Rispetto ad altri valichi che hanno rifugi o punti di ristoro, il Mortirolo non offre molto. Dove ti fermi di solito?
Di solito al Rifugio Mortirolo. Salendo da Mazzo devi scavalcare e andare verso Edolo: è l’ultimo rifugio che trovi salendo da Monno. Quello è un po’ il punto di riferimento.
Incontri altri ciclisti?
Sì, e anche moltissimi stranieri. Fuori stagione trovi soprattutto i locali, da Tirano, Sondrio o Sondalo. Tornando agli stranieri, purtroppo io con le lingue non sono bravo, ma tra ciclisti ci si capisce sempre. Una volta ho fatto capire a un gruppo di americani che dovevano usare rapporti più agili. Presero la salita da Mazzo come fosse un cavalcavia, mi superarono a 25 all’ora e poco dopo erano già fermi a riprendere fiato.
Qualche professionista l’hai mai incontrato?
Ci credete che non ne ho mai visto uno? Un mio amico invece ogni volta manda foto di questo o quel corridore. Una volta ha incontrato Remco Evenepoel… Eppure ne passano tanti, ma io vado in orari diversi e non li incrocio mai.
Ma il Mortirolo non è solo pendenze e chilometri: è anche un posto selvaggio, unico. E c’è un altopiano, giusto?
Sì, c’è un grande pianoro in quota che dal valico sale ancora un po’ e poi scende verso Vezza d’Oglio, poco sotto Ponte di Legno. Però è sterrato. Se aggiungiamo gli sterrati, allora le strade che salgono sul Mortirolo diventano tantissime. E’ comunque abbastanza noto e si può fare in MTB. Ci sono due grandi malghe, tanti pascoli e fiori. Passa anche vicino al Monte Pagano.


A proposito di malghe, ti è mai capitato di fermarti?
Non mi sono mai fermato, anche se ogni volta sono tentato. Mi è capitato solo un paio di volte di fermarmi in case private a prendere acqua, prima che mettessero le fontanelle.
Prima hai detto che il Mortirolo è cambiato. Sono cambiati anche i ciclisti?
Sì, ora siamo di più. Soprattutto con le bici elettriche. L’Aprica d’estate è piena di gente e tanti salgono al Mortirolo con l’e-bike. Io non ne sono un grande fan, ma mi fa piacere vedere tanta gente. Più ciclisti ci sono, più migliorano strade e ristori e più cresce l’attenzione verso noi ciclisti.
Infine Rudi, sei famoso come “custode del Mortirolo” perché hai fatto tutti i versanti in un giorno solo…
Ne feci nove, perché allora Sernio non era asfaltato. Impiegai oltre 21 ore. Feci una pausa prima dell’ultima salita perché ero stanchissimo. In tutto furono più di 10.070 metri di dislivello e 144 di chilometri di sola salita. Ricordo che finii un turno di lavoro alle 14, alle 16 ero in bici e tornai a casa dopo circa 24 ore. Ho fatto cose anche più folli, ma dei “nove Mortiroli” me lo ricordano in tanti. Magari lo rifarò, ma prendendomela con più calma!







