Manuela Ansaldo è una psicologa e psicoterapeuta che opera a Roma. Dato che è anche una ciclista praticante, le abbiamo chiesto dei benefici che il ciclismo ha sulla nostra psiche. La dottoressa ha anche portato avanti dal 2015 al 2024 il progetto “Teraplando – La mia terapia… pedalando” in cui guidava delle sessioni di indoor cycling con alcuni suoi pazienti, anche con patologie importanti. Parliamo al passato perché purtroppo questo progetto di psicoterapia si è chiuso per mancanza di fondi (per lo più privati), ma speriamo che possa rinascere.
Dottoressa, quali erano le peculiarità di Teraplando?
Attraverso la bicicletta, con tutta la cascata biochimica che comporta l’attività aerobica, andavo ad integrare la psicofarmacologia che i miei pazienti seguivano presso i centri di salute mentale. L’attività fisica permetteva loro di incidere sul tono dell’umore in maniera naturale e poi anche essere parte integrante della propria salute facendo in modo che l’attività fisica venisse scelta da loro stessi.
Era così importante che le persone scegliessero volontariamente l’attività ciclistica?
Adesso dire “malattia mentale” è un termine forte e in genere chi non ha esperienza pensa allo schizofrenico piuttosto che a chi ha disturbi psicotici importanti. In realtà la malattia mentale è la sofferenza emotiva e, quindi, in questi casi, far capire alla persona che lei stessa può fare qualcosa per migliorare il suo stato di salute, il suo umore, è già una svolta importantissima.
Come portare a fare fatica sulla bici da palestra una persona con queste problematiche che magari non l’ha mai fatto prima?
Per prima cosa ci deve essere una persona in cui loro hanno fiducia, in genere può essere il medico, ma anche un accompagnatore fidato. Quando approcciano ad una figura che li accompagna per mano e di cui hanno simpatia e fiducia sin dall’inizio, loro vengono traghettati in maniera così naturale che non se ne rendono neanche conto.
Perché per la psicoterapia sceglieva il ciclismo indoor rispetto a quello all’aria aperta?
Per vari motivi: potevo controllare agevolmente le variabili finalizzate al cambiamento del tono dell’umore, come la frequenza cardiaca. Essa permette un tipo di attività metabolica e quindi di conseguenza anche un intervento sulla biochimica del sistema nervoso centrale e del cervello. Li conducevo ad un certo tipo di allenamento affinché loro lo potessero poi sopportare. Un’ora ad una certa intensità, perché i benefici maggiori si hanno quando l’allenamento si svolge ad intensità un po’ più elevate. Ad esempio andava benissimo il fartlek (una sorta di via di mezzo tra l’allenamento aerobico e l’interval training, ndr).
E poi?
Un altro motivo è che non tutti avevano le bici per andare in esterna. Infine, soprattutto nei soggetti con una psicofarmacologia più importante, quindi con una motricità rallentata, non si ha una confidenza con la bici tale da stare su strada a fare questo tipo di allenamento. Al chiuso invece c’è l’enfasi della musica ed anche un divertimento socializzante che in questo caso fa molto gruppo.
Che riscontri ha avuto?
Teraplando ha avuto un exploit meraviglioso con testimonianze, da parte dei pazienti, da brividi. Alcuni dicevano: «Mi toglie dal buio che ho dentro e che non trovo altri spazi per far uscire. Invece qui grazie al gruppo, grazie all’incitazione riesco a tirare fuori parte di me che io non sapevo neanche di avere». E’ fondamentale la figura dell’accompagno, in quel caso ero io e loro avevano una fiducia spropositata in me.
Parlando dei benefici del ciclismo praticato su strada cosa può dirci?
Se parliamo di un neofita che prende la bicicletta per aggregarsi ad un gruppo, secondo me tra i fattori primari c’è la condivisione, quindi l’aspetto sociale. Questo diventa un approccio proprio bio-psico-sociale di psicoterapia che va a incidere sulla biochimica del cervello. Se il neofita all’inizio vive delle difficoltà di fare questa cosa che è nuova, si espone ad una paura. Ma dal momento in cui lo fa, la volta successiva, sapendo che già ci è riuscito, può avere un rimando di autostima dicendosi: «Se l’ho fatto, lo posso rifare. Io posso fare qualcosa per me».
Ci sono poi i vantaggi dello stare all’aria aperta…
Ormai è rinomato che l’attività aerobica come la bici rilasci sostanze come la serotonina, il neurotrasmettitore della felicità, oppure la dopamina, il neurotrasmettitore che agisce sul circuito della ricompensa del piacere. E poi, sì, c’è la prerogativa dello stare fuori, dell’esplorazione dell’ambiente, capire che attraverso la bicicletta io posso muovermi e vedere nuovi posti che non conoscevo. Quindi c’è tutto un aspetto di curiosità che si apre.
Le sostanze che ha nominato influiscono positivamente anche nella vita quotidiana, lontano dalla bici?
Serotonina, dopamina, ma anche beta-endorfine e i meno conosciuti endocannabinoidi, sono tutte sostanze che ci produciamo naturalmente. Hanno spesso anche un effetto analgesico. Ad esempio, quando un ciclista cade tende a riprendere la bici e a ripartire, proprio perché c’è una finestra temporale che copre il dolore. Ma anche nella vita di tutti i giorni, se facciamo attività fisica in maniera costante e regolare, abbiamo un assetto che ci protegge anche quando non pedaliamo. E’ come se avessimo molecole del buon umore anche quando in realtà non stiamo svolgendo l’attività perché, allenandoci, ne abbiamo più a disposizione. Un po’ come la vasodilatazione che crea nel tempo una capillarizzazione maggiore e che ci protegge da infarti ed ictus.
Rispetto ad uno sport al chiuso il ciclismo ha dei benefici psicofisici dovuti all’esposizione al sole?
Certo, poi c’è tutta la parte sensoriale, multisensoriale dello stare fuori. Generalmente i ciclisti si spingono verso il verde, quindi nella parte più naturalistica. E’ importante ricordarsi che siamo mammiferi da esterno che vivono in mezzo alla natura. Non a caso l’incidenza della depressione è andata di pari passo con la costruzione di palazzi, in cui ognuno è isolato all’interno delle mura. E la mancanza di vitamina D è uno dei segnali più preoccupanti. Invece il cervello è fatto per stare all’aria aperta, anche perché, evolutivamente parlando, ciò ci riporta alle origini (immagine in apertura depositphotos.com). L’integrazione multisensoriale è quello di cui il cervello ha bisogno e che con la bicicletta possiamo nutrire in maniera naturale.