| 19 Febbraio 2025

Bike to Work, fatiche italiane. Gli ostacoli del Mobility Manager

Si cominciò a parlarne nel 1998, ma fu il Decreto Rilancio del 2020 a rendere obbligatoria la figura del Mobility Manager. Ne scrivemmo qualche tempo fa in una precedente intervista, ricordate? Si cercava di uscire dal Covid. Credevamo di aver capito la necessità di rendere il mondo un po’ migliore grazie a comportamenti virtuosi. E così fu deciso che le aziende dovessero dotarsi di questa figura per ottimizzare gli spostamenti dei dipendenti, offrendo loro soluzioni e incentivi per lasciare l’auto a casa.

Vicentina che vive a Verona, Linda Del Ceredo gestiva la flotta di veicoli commerciali in una multinazionale nel settore alimentare, ma decise di iscriversi a un corso del Gruppo Len. Il Mobility Manager non era ancora previsto come un obbligo, fu piuttosto una sua iniziativa nata dalla necessità di approfondire il discorso. Era il 2016, il corso era piuttosto corposo, durava 80 ore e le diede tutti gli strumenti per formarsi e trovare successivamente un altro impiego. Oggi si occupa di progetti di mobilità sostenibile e di PSCL (piani spostamenti casa lavoro) e a lei ci siamo rivolti per capire se davvero ci sia il modo di rendere l’Italia un posto migliore o se le buone abitudini di quei mesi siano ormai del tutto svanite.

Linda Dal Ceredo è Mobility Manager dal 2016
Linda Dal Ceredo è Mobility Manager dal 2016
Che cosa intendiamo effettivamente nel quotidiano per mobilità sostenibile?

Sono tutte le attività finalizzate a restringere all’osso qualsiasi spostamento privato in auto, quelli in cui vediamo un’auto e una persona. Tutto ciò che è finalizzato a portare più persone all’interno di un’auto per compiere lo stesso tragitto, meglio ancora a non utilizzare l’auto. Provare a incentivare l’uso di altre tipologie di mezzi di trasporto, come la bicicletta o il monopattino, magari in multimodalità, ricorrendo dove è consentito al supporto del trasporto pubblico locale. In sostanza, l’obiettivo del Mobility Manager è l’abbattimento dei fattori inquinanti e di stress sulla strada, quindi tutto ciò che crea traffico e le problematiche connesse.

Qual è il tipo di resistenza che eventualmente si incontra nel proporre queste alternative?

Innanzitutto ne troviamo nei rapporti con il trasporto pubblico locale. L’azienda per cui lavoro attualmente ha 13 direzioni regionali. Abbiamo lavorato in maniera piuttosto importante per riuscire a trovare delle soluzioni comuni, ma anche indipendenti. Le regioni non sono legate una all’altra, quindi le soluzioni per forza di cose non sono mai coerenti fra loro. La problematica comune però è che se abiti e lavori in una zona servita, le cose sono relativamente semplici. Diversamente diventa difficile coordinare un trasporto, il transfer di una persona da un luogo all’altro, se non c’è la fermata dell’autobus vicina, se la fermata non è coperta e se le tratte non sono adeguate anche per i loro orari. Oppure, se non c’è una pista ciclabile ben fatta.

Nel vostro caso?

Noi non abbiamo piste ciclabili sicure e quindi come azienda non ci permettiamo di proporre o incentivare una soluzione che risulti poco sicura per il collaboratore. In alcuni casi abbiamo creato delle collaborazioni con gli enti di trasporto pubblico locale. Siamo riusciti a spostare la fermata dell’autobus e adeguare gli orari delle corse, in modo che i dipendenti arrivino in ufficio in orario e con una certa comodità. Siamo riusciti a ottenere una scontistica sugli abbonamenti. Tanti dettagli e attenzioni che fanno la differenza al momento di scegliere una modalità piuttosto che un’altra.

Una delle chiavi per ridurre il ricorso all’auto è anche l’intermodalità, laddove possibile (depositphotos.com)
Una delle chiavi per ridurre il ricorso all’auto è anche l’intermodalità, laddove possibile (depositphotos.com)
Il fatto è che l’auto è più comoda.

Il grosso ostacolo è questo. L’auto è molto comoda e se te la puoi permettere economicamente, non la molli, parliamoci chiaro. Chi non la sceglie, spesso e volentieri lo fa perché economicamente diventa un problema. Allora, quello che si può fare è andare a lavorare con il trasporto pubblico locale e trovare delle soluzioni valide affinché la cosa diventi smart e agevole. La seconda cosa importantissima è creare un po’ di collaborazione all’interno dell’azienda, per coinvolgere tutti nel raggiungimento di un obiettivo comune che sia anche eticamente sostenibile. Anche il car sharing aziendale è una risorsa, per la quale abbiamo creato una app che facilita i contatti fra persone e permette di condividere i viaggi in auto.

Ci piange un po’ il cuore nel sentire che la bicicletta in alcuni casi sia una scelta difficile…

In alcuni casi è così, purtroppo. Nel nostro, ad esempio, abbiamo sedi importanti dislocate in zone assolutamente periferiche delle città e quindi non servite da piste ciclabili. Nelle filiali cittadine invece, un po’ per normativa e un po’ per volontà dell’azienda, stiamo provvedendo ad installare una serie di colonnine di ricarica per auto ma anche per biciclette. In alcuni punti sono stati creati dei box coperti e chiusi, che si aprono con il proprio badge, in cui custodire biciclette e anche scooter. La promozione della bici nelle filiali è uno degli obiettivi che ci siamo imposti.

Ci sono aziende che per sostenere la mobilità sostenibile offrono degli incentivi economici ai dipendenti.

L’incentivazione economica è quella che attira l’attenzione e che in alcune situazioni può spostare l’ago della bilancia. Noi lo abbiamo fatto con la scontistica sugli abbonamenti, resa possibile grazie a un investimento importante sull’azienda del trasporto pubblico locale, e la prossima frontiera è valutare delle agevolazioni per i dipendenti presso le varie sedi dell’azienda. Sono cose che si fanno dove c’è la possibilità di dialogare o dove ci siano nei dintorni altre aziende con cui poter condividere certe azioni. L’incentivo economico è importante, ma non è tutto…

L’assenza di piste ciclabili sicure dissuade le aziende dal proporre l’uso della bici (depositphotos.com)
L’assenza di piste ciclabili sicure dissuade le aziende dal proporre l’uso della bici (depositphotos.com)
Cosa c’è ancora?

Io credo tantissimo nella possibilità di creare una community, una diversa gestione del trasporto. E’ l’aspetto più coinvolgente di questo lavoro. Sarebbe l’inizio di un cambio di mentalità che non è assolutamente utopistico, anche perché se siamo onesti, il traffico è sempre meno sostenibile. Ci sono delle difficoltà oggettive nel voler avere la bella macchina e guidarsela da soli, mentre si possono trovare alternative, soprattutto nelle persone più sensibili a certi temi e magari meno abituate alle comodità delle generazioni precedenti.

L’ostacolo all’uso delle biciclette è sostanzialmente l’assenza di piste ciclabili sicure?

Le strade che portano alle nostre sedi sono tutte ad alta velocità e hanno la classica strisciolina dipinta al lato della strada per rallentare il traffico, perché ovviamente lo scopo è quello. Però non c’è un cordolo, non c’è una sicurezza, non c’è una pista ciclabile che autorizzi azioni più decise. Abbiamo fatto mille ipotesi, abbiamo preso seriamente in considerazione il Bike to Work. Abbiamo pensato di proporre una sorta di contest per premiare dipendenti con il regalo di un casco. E’ stato preso in considerazione l’incentivo al chilometro, ma nel momento in cui non hai una situazione per arrivare al lavoro in sicurezza, non può essere l’azienda a chiederti di farlo.

TUTTE LE CATEGORIE DEL MAGAZINE