La Sila3Vette è qualcosa che va molto al di là dell’aspetto agonistico, quasi marginale rispetto alla portata complessiva dell’evento. Quest’anno il territorio, con epicentro delle varie distanze e specialità (si affronta con le ciaspole, le fatbike, gli sci di fondo e anche in compagnia dei cani) il bellissimo borgo di Camigliatello Silano, ha accolto centinaia di appassionati, ma il tracciato principale, quello da 260 chilometri lo hanno vissuto sulla propria pelle in 3 e il migliore è stato ancora una volta Gianluigi Bellantuoni, confermatosi vincitore del percorso “Aria” che ripercorre tutto il disegno della Sila, nella sua parte cosentina come quella catanzarese.
Quando vincere non ha grande significato
Il fatto che sia arrivato primo con la sua bici è però, come detto, incidentale perché quando affronti un’avventura simile la vera sfida è con te stesso, con le tue sensazioni ed emozioni. Il racconto che il commerciante valtellinese fa prescinde pressoché completamente da ogni aspetto legato alla gara, come a dire che se non ci fosse sarebbe uguale perché le sensazioni arrivano ugualmente.
Nel suo viaggio, Bellatuoni ha impiegato oltre 60 ore: «Per me era la sesta volta che affrontavo la Sila3Vette, ma ogni volta è stata un’emozione diversa. Le prime due ho affrontato il tracciato che, allora, era il più lungo con i suoi 140 chilometri. Ma per vivere questo evento devi davvero essere al massimo: la prima volta ho mollato dopo 5 chilometri perché stavo male. L’anno dopo invece l’ho completata, grazie anche alla scarsità di neve, ma allora avevo la bici. Poi sono passato al percorso da 260 chilometri, le prime due volte non l’ho finito, era diventata una questione di principio».
Trovando riparo in una casa abbandonata
Ogni anno riservava qualcosa di diverso: «Nel 2023 ad esempio ero in gara ma ci trovammo in una vera bufera di neve. Non si vedeva nulla, pedalavo nell’assoluto buio ma per fortuna trovai nella discesa verso il lago alcune fettucce rifrangenti che mi indicarono una casetta abbandonata dove mi sistemai per la notte con il mio sacco a pelo. Al mattino mi risvegliai e pareva davvero di essere in Norvegia: tutto bianco, con un cielo limpido. Mi commossi di fronte a tale spettacolo….
«Per affrontare un viaggio come questo devi essere al massimo e io me ne sono accorto quando mi presentai al via con alcuni problemi ai tendini. Lungo il percorso mi si infiammarono molto di più, con corollario di vesciche ai piedi. Ero devastato, riuscii a raggiungere un check point dove mi fermarono d’autorità, non ero in condizioni di continuare, forse neanche mentalmente. Nelle due ultime edizioni invece ho come raggiunto un accordo con questa gara, vivendola e gustandola profondamente dal primo all’ultimo metro».
Un sonno… inatteso
Due anni completamente diversi, anche perché molto dipende da quando affronti un dato passaggio: «E’ vero, ad esempio l’ascesa del Monte Nero mi ha regalato sensazioni completamente diverse. Nel 2024 l’avevo vissuto al tramonto, quest’anno invece ero arrivato al check point precedente e mi sono fermato per rifocillarmi e riposare. Volevo restare al massimo un paio d’ore, ma la stanchezza era già tanta così mi sono risvegliato senza volerlo a mezzanotte. Sono partito all’una e ho scalato la montagna in 4 ore, spingendo la bici a piedi per la sua gran parte vista la neve che era copiosa in quella parte, affrontando la discesa sul far dell’alba. E’ stato qualcosa di magico…».
Su parla spesso dell’uomo, ma anche il mezzo ha la sua parte alla Sila3Vette: «Io ho sempre rifiutato le fatbike, ho preferito usare la mia abituale mtb, una Specialized Epic front suspended, montando ruote più larghe del solito, da 2,35 invece di 2,25 con copertoni scorrevoli Vittoria Mezcal non da fango anche se ne ho trovato molto quest’anno, proprio perché buona parte del tracciato era senza neve. Cercavo di aggirare le pozze, molto frequenti e quando era davvero troppo scendevo di bici. Il problema maggiore erano però gli alberi caduti, ne ho trovati molti».
I panini rimasti nello zaino
Come si è gestito fra dormire e mangiare? «Ho avuto modo di riposare, sfruttando i check point dove possibile ma anche arrangiandomi perché per mia sicurezza sono sempre equipaggiato. Infatti una notte ho scelto di fermarmi sotto un porticato, sistemandomi in maniera riparata per dormire un paio d’ore abbondanti. Nella seconda notte ero arrivato all’albergo del Lago Ampollino, aperto per l’occasione alle 16. Ho mangiato un po’ di pasta, poi ho sfruttato la camera messa a disposizione e come detto il sonno mi ha vinto…».
E per il mangiare? «Prima di partire sono ormai d’accordo con un commerciante locale dove mi faccio preparare 4 panini con capocollo e formaggio del posto. Solo che erano enormi, così me li sono fatti dividere. Ma alla fine, sfruttando anche i punti di ristoro dove trovavo piatti caldi, non li ho neanche consumati tutti. A proposito però mi è rimasto nel cuore l’arrivo al Villaggio Verderame, gestito da due anziani austriaci che fanno da custodi e lo aprono per l’occasione. Sono arrivato di sera tardi, eppure mi hanno fatto trovare una zuppa di fagioli buonissima».
La solitudine come amica
Che cosa significa affrontare un’esperienza del genere, soprattutto confrontandosi con la solitudine? «Ecco, questo è un aspetto da considerare, perché salvo nei primi chilometri non si trova davvero anima viva sul percorso, se non nei punti prestabiliti dall’organizzazione. A me non pesa, anzi amo questa manifestazione per quello. E’ un confronto con se stessi, dove ogni aspetto viene amplificato, come le tracce di lupo che ho trovato sul percorso, senza però vederne uno e mi è rimasta l’amarezza in bocca per questo».
Perché farlo? «E’ una domanda che mi pongono spesso. E una risposta non l’ho ancora trovata, so solo che ogni volta sento il bisogno di alzare l’asticella, di chiedere qualcosa di più e spostare in avanti i miei limiti, godere della soddisfazione nel superare ogni difficoltà. Chissà, forse è un modo per non invecchiare…».