| 21 Settembre 2024

Lorenzo Barone e la sua Africa: 10 Paesi, 100 giorni, 1.000 ricordi

Nel febbraio 2022, mentre il mondo faceva ancora i conti con la pandemia di Covid, il giovane esploratore Lorenzo Barone sbarcava a Città del Capo con la sua Bressan. La bici era carica di sogni e un obiettivo: pedalare dal Sudafrica fino a raggiungere la Jacuzia (una regione della Russia orientale che già aveva attraversato in inverno) seguendo l’itinerario della “strada più lunga del mondo”. Il progetto venne poi interrotto in Mongolia a causa del conflitto russo-ucraino, ma ciò che rimane è comunque un’impresa di quelle uniche, ovvero l’attraversamento dell’intero Continente Africano da sud a nord in appena 106 giorni.

Lorenzo è uomo di grandi viaggi e la scorsa settimana ha deciso di fare ripartire il suo canale YouTube pubblicando proprio il video di quell’avventura. Troppo ghiotta la tentazione per non concordare un colpo di telefono. Lo pizzichiamo una sera proprio mentre si sta accampando in tenda. In… Inghilterra.

«Ciao Andrea – saluta – sono in un campo a 2 km da un aereoporto. Sono quassù per visionare del materiale tecnico per la mia prossima spedizione. Poi vi dirò tutto a tempo debito. Volete sapere del viaggio in Africa».

Lorenzo Barone a Cape Town: il grande viaggio comincia così
Lorenzo Barone a Cape Town: il grande viaggio comincia così

Gli elefanti all’improvviso

Sì, prima che vada a nanna vogliamo sapere tutto di questa epopea di 12.000 chilometri che lo ha portato ad attraversare Sudafrica, Namibia, Botswana, Zambia, Tanzania, Uganda, Kenya, Etiopia, Sudan ed Egitto.

«Non sapevo nulla dell’Africa – comincia – e il non sapere è qualcosa che mi attrae. Del Sudafrica ricordo la tensione che si percepiva tra i bianchi ricchi ed i neri che lavoravano alle loro dipendenze. Un retaggio figlio dell’apartheid. In Namibia ricordo gli spazi sconfinati, il deserto e le jeep dei turisti che facevano i safari. Tuttavia nei villaggi si parlava ancora inglese per cui ti sentivi pressoché un turista. In Botswana le cose sono cominciate a cambiare, con la savana popolata di elefanti che ti attraversavano la strada. Uno pensa che si vedano arrivare da lontano, ma nei tratti di vegetazione alta spesso si mimetizzavano e sbucavano dal nulla. Ho anche sentito dire della presenza di leoni, ma essendo predatori notturni, di giorno è quasi impossibile incontrarli. I problemi principali, in realtà, li ho avuti con le persone e con le zanzare».

Muzungu, uomo bianco

L’Africa vera, però, racconta di averla incontrata entrando in Zambia. «Vedevo molte più persone usare la bici per spostarsi e trasportare materiale, sempre meno gente usava i cellulari. Lì si vive arrangiandosi un po’ di più. Dopo la capitale Lusaka, ai lati delle polverose strade di campagna sorgevano capanne da cui fuoriuscivano tanti bambini pieni di vita, una cosa che da noi non vedi più. A volte mi rincorrevano, a volte aiutavano la famiglia nei campi, oppure li vedevi giocare saltando con la corda. Cominciavo a percepire un’energia maggiore. Per tutto il tempo mi hanno chiamato “muzungu”, “uomo bianco”, quasi mai in senso dispregiativo, in realtà».

Ospite di un italiano

In Tanzania la difficoltà principale era riuscire ad isolarsi per piazzare la tenda, dato che i ragazzini erano ovunque e lo seguivano curiosi anche dopo il tramonto. Lorenzo racconta che ogni volta doveva chiedere il permesso al capovillaggio di accamparsi nei presso della sua casa, per avere un po’ di protezione.

«In Uganda – continua a raccontare dall’interno della sua tenda – sono stato ospite presso un italiano che ha una pizzeria nella capitale Kampala. Lui e la moglie ugandese mi hanno ospitato nove giorni in attesa dell’arrivo del visto per il Sudan. Ho ripreso il viaggio seguendo la strada principale verso il Kenya. Qui, nella regione del Turkana, ho trovato un check point militare dove mi hanno spiegato che lì finiva la zona controllata da loro e che da lì in poi sarei dovuto andare avanti a mio rischio e pericolo. C’era infatti un tratto di 30 km in mano a bande criminali che facevano agguati sparando a macchine e camion di passaggio, per derubarli». 

Guerrieri con le lance

Perciò, seguendo piste alternative di terra, sabbia e fango, Lorenzo è poi entrato in Etiopia, il Paese che considera il cuore di tutto il viaggio, dato il contrasto di emozioni che ha provato.

«Già entrando – spiega – capisci che sei in una cultura diversa. Ad esempio nella regione dell’Oromia ci sono le tribù dei guerrieri con le lance e gli anelli al collo. Vivono in una specie di igloo di lamiera, ma in realtà ogni poche decine di chilometri ci sono etnie diverse, spesso in conflitto tra di loro. E’ un Paese povero, ma ricco di vitalità. Ricordo i bambini che mi rincorrevano quando uscivano da scuola. Oppure nei villaggi potevo ritrovarmi tra due ali di folla che alzavano le mani e io ci pedalavo in mezzo come se fossi il vincitore del Tour de France».

Diciotto ore in arresto

Dopo la capitale Addis Abeba le cose si sono complicate. Capitava di finire tra le sassaiole delle bande di adolescenti. La gente gli sconsigliava di pedalare dopo il tramonto. Spesso si sentivano colpi di arma da fuoco. Aumentavano i posti di blocco tanto che in uno di essi Lorenzo è stato arrestato senza motivo.

«Temevo che i militari mi vendessero ai ribelli – ammette – in realtà sono finito nelle mani della polizia locale che mi ha trattenuto per diciotto ore. I poliziotti erano poco più che ragazzini che si sentivano onnipotenti col fucile in mano. Con me non sono stati aggressivi, mentre con dei prigionieri somali avevano ben altri atteggiamenti. Gli puntavano il fucile in faccia, mettendo davanti a loro bottiglie d’acqua che poi non gli permettevano di bere».

500 km con 3 euro in tasca

Lorenzo è potuto uscire da quella situazione scrivendo un messaggio ad un ex-poliziotto etiope di nome Abyot. Tale nominativo gli era stato suggerito da un cicloturista tedesco che grazie a lui aveva potuto attraversare la frontiera col Sudan, costellata di posti di blocco.

«In Sudan è di nuovo cambiato tutto: sono sceso dagli altipiani per entrare nell’Africa sub-sahariana. Le persone erano nuovamente ben disposte ad aiutarmi. Tuttavia nella prima cittadina incontrata non ho potuto prelevare soldi a causa di mancati accordi tra il Sudan ed i circuiti internazionali. Per cui fino alla capitale Khartoum ho dovuto pedalare circa 500 km con 3 euro in tasca, che spendevo solo per comprare del pane».

Etiopia, i soldati per ragioni di sicurezza lo hanno invitato a dormire nel loro accampamento. La mattina dopo, il viaggio prosegue
Etiopia, i soldati per ragioni di sicurezza lo hanno invitato a dormire nel loro accampamento. La mattina dopo, il viaggio prosegue

Finalmente il Mediterraneo

A Khartoum Lorenzo è stato ospite degli italiani dell’ospedale di Emergency, che gli hanno prestato i contanti per arrivare in Egitto. Non prima di aver attraversato la parte più desertica del Sudan, con temperature massime di 47 gradi all’ombra.

«Preferivo pedalare di notte – racconta – per evitare sia il caldo che i forti venti contrari che spiravano fino al tramonto. In Egitto, poi, sono stato sempre scortato dalle pattuglie di polizia, per ore e ore. Lì, se sei un comune turista, sanno tutto dei tuoi spostamenti, mentre con me che mi muovevo in bici erano costretti a seguirmi da vicino. Probabilmente lo facevano anche per tutelare me e, di conseguenza, la loro immagine del turismo. Ma quando mi hanno detto che non potevo più proseguire in bici e che avrei dovuto prendere un aereo o un treno per Il Cairo, mi sono buttato tra i sentieri del Nilo facendo perdere le mie tracce. E così, aggirando i vari posti di blocco sono arrivato fino al Mediterraneo…».

Avremmo mille cose da chiedergli, ma lo lasciamo riposare nella sua tenda. Se però volete saperne di più su questa grande avventura africana, ecco il video che la racconta per intero.

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